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Le porte di un passato scomparso
Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre fanno una prova: posso dire che il terzo romanzo da me letto di questo scrittore tedesco lo consacra definitivamente, concedendogli un posto d’onore tra i miei scrittori preferiti.
Non c’è nulla che non mi sia piaciuto di questo “La via del ritorno”. Lo stile è quello tipico dell’autore: poetico, evocativo, riflessivo, capace di scuotere mente e cuore allo stesso tempo, come Neri Pozza non fa a meno di mettere in risalto con la marchetta presa dal New York Times che piazza sul retro di ogni sua opera. C’è da dire, però, che trattasi di una delle poche marchette che forse non rendono neanche abbastanza giustizia alla grandezza di un autore probabilmente troppo poco conosciuto a discapito di altri che nemmeno accostabili.
Riguardo ai contenuti, beh, inutile negare che la guerra è la principale tematica intorno alla quale ruotano le opere di Remarque, o almeno quelle che mi sono trovato a leggere finora; ma chi crede che il massimo contributo dell’autore ci sia venuto dal famigerato - ma, ribadisco, non famoso quanto meriterebbe - “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, è invitato a leggere questo romanzo per rimanerne piacevolmente stupito. Certo, vengono riproposte problematiche già affrontate (e tornano anche nomi conosciuti), ma Remarque ha la capacità di affrontarle in modo sempre interessante, profondo, a tratti sublime.
Ma qual è il punto centrale del romanzo?
Il punto centrale è l’idea di patria; un ideale che si dimostra come un qualcosa di totalmente astratto, come un inganno perpetrato dai potenti per portare i deboli a sacrificare la vita in nome dei loro interessi, a cui hanno dato il nome, appunto, di patria. Un concetto che perderà di ogni significato e si paleserà come l’inganno a causa del quale innumerevoli vite sono state stroncate: sui campi di battaglia, ma anche sulla via del ritorno. E un altro punto focale è è proprio la via del ritorno, che una generazione di giovani innocenti si ritrova a percorrere dopo una guerra estenuante, illudendosi che la pace possa riportarli a ciò che erano, solo per rendersi conto che la guerra ha cambiato ogni cosa: tutto può sembrare uguale a uno sguardo superficiale, ma nella sostanza ogni cosa è mutata; o meglio, la guerra ha mutato la percezione di coloro che son tornati indietro, nei quali si sgretola l’illusione di poter bussare alle porte della propria giovinezza e ricominciare da dove avevano interrotto. Nessuno gli aprirà, perché ricominciare non si può: le immagini di quel passato cruento, di quell’intervallo di tempo in cui le licenze non erano altro che “intervalli tra orrore e orrore, tra morte e morte”, non faranno altro che perseguitarli giorno e notte, annullando per molti qualsiasi possibilità di ripartire. Straziante è il destino di coloro che non ce la fanno; di coloro che sono riusciti miracolosamente a non soccombere alle raffiche di spari, alle granate, e che poi non possono che cedere alla follia o al desiderio di morte in mezzo a una pace esteriore che non dà pace interiore. Quella che ci ritroviamo davanti è una generazione distrutta, e solo pochi riescono a trovare quella “via del ritorno” che in fondo è una via del tutto nuova in cui il passato non si dimentica ma si deve affrontarlo ogni giorno, permettendo alla vita di fluire e andare avanti, pur inciampando.
“È passato, penso, tutto è finito. Non perché Adele se la intenda con quel coso nero o con Karl Bröger, non perché mi trovi stucchevole, non perché si sia trasformata, no, ma vedo che io non ho più uno scopo al mondo. Ho girato e girato, ho bussato a tutte le porte della mia giovinezza, desideroso di rientrare, e pensavo che mi dovessero accogliere di nuovo, perché sono ancora giovane e perché ho desiderato dimenticare. Ma la mia giovinezza mi è sgusciata via come una fata morgana, si è infranta senza rumore, si è dissolta come l’esca quando l’ho toccata; non ho saputo raccapezzarmi, qui almeno doveva essere rimasto qualcosa, e ho tentato e mi sono sentito ridicolo e ora sono pieno di tristezza. Ma ora mi accorgo che anche in questo paese della memoria si è scatenata una guerra sorda e silenziosa, e che sarebbe stolto se volessi cercare ancora. Il tempo si è messo di mezzo come un abisso spalancato, non posso tornare indietro, non c’è altro scampo, devo andare avanti; marciare, chissà verso dove, poiché non ho ancora una meta.”
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Commenti
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E' sempre interessante leggerti.
Dell'autore assai noto, praticamente non conosco nulla. Su quelle tematiche ho letto abbastanza ; ora sono proiettato su altro.