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Demoni dell'Apocalisse e rimorsi del passato
Michelle Paver, nata in Africa e trasferitasi prestissimo in Inghilterra, dopo una laurea in biochimica e l’esercizio dell’avvocatura, ha rivelato con i suoi primi due romanzi e ancora di più con quest’ultimo una grande abilità di scrittrice, narrando una esemplare e tenebrosa storia di fine Ottocento e mettendo a nudo recessi oscuri e imprevedibili dell’animo umano. L’ambientazione è tipica dell’epoca. Siamo in Inghilterra, nel Suffolk, ove in una landa desolata con paludi pericolose e melmosi acquitrini s’erge un maniero malandato. Il padrone è un facoltoso proprietario terriero, Edmund Stearne, bibliofilo e storico famoso: ha una moglie che partorisce un figlio dopo l’altro, per lo più morti precocemente, una figlia giovinetta, Maud, apparentemente docile e sottomessa ma incapace di adattarsi alla rigida disciplina paterna. Disciplina che si esercita sulla numerosa servitù, e che ci rivela un uomo di principi antiquati: religiosissimo, non ammette deroghe a certe sue idee preconcette, soprattutto sulla donna, considerata solo come oggetto atto al concepimento o addirittura, come descritta in certa letteratura medievalista, strumento stregonesco del demonio,”subdola, ipocrita e depravata”. Non stupisce che Stearne, da giovinetto, abbia lasciato morire la sorellina, scomparsa affogando nelle acque della palude, e che, dovendo scegliere tra la morte della moglie e la sopravvivenza di un nuovo neonato, preferisca quest’ultima opzione, nella convinzione che il piccolo, con il Battesimo, avrebbe avuto regolare accesso al Paradiso. Da un siffatto personaggio, tra l’altro profondo conoscitore ed esegeta del testo di una mistica del 1500 (ne sono riportati ampi stralci), la figlia Maud, crescendo, prende le distanze, si allontana sempre più cercando di emanciparsi ed intuendo nei comportamenti del genitore, e spiando i suoi taccuini, momenti di lucida follia, soprattutto quando Stearne subisce il misterioso fascino di un dipinto raffigurante angeli e demoni dell’Apocalisse, si sente osservato, perseguitato e sospetta la presenza di creature demoniache in ogni angolo della dimora. Il fattaccio avviene nel 1913, quando il folle uccide con un punteruolo ghiacciato, seguendo uno studiato rituale, un dipendente della casa, fracassandogli poi il cranio a martellate. Manicomio criminale per il padre impazzito, una vita ritirata e solitaria nella dimora degli avi per Maud, che, nel 1967, decide di rendere pubblica tutta la storia, unitamente ai taccuini del padre.
Michelle Paver ha scritto un romanzo che affascina fin dalle prime pagine, e riporta alla memoria i personaggi e le atmosfere di Dracula di Bram Stoker e Frankestein di Mary Shelley, due autori di origine britannica, proprio come la Paver (e non è un caso). Lo stile è accurato, elegante, tagliente e preciso nel sondare i recessi oscuri dell’animo umano, soprattutto nel tratteggiare e poi definire con scrupolo il personaggio principale, uno studioso serio e famoso, apparentemente razionale nei rapporti con i dipendenti e con la figlia, che nasconde nel profondo incertezze e timori, profondi rimorsi e debolezze tali da renderlo vulnerabile a superstizioni e credenze demoniache. La Paver riesce con maestria a rendere tutto ciò credibile, scrivendo più che un giallo, un romanzo storico sull’epoca a cavallo tra Ottocento e Novecento, e facendo presagire nel comportamento della ribelle e anticonformista Maud quelli che saranno i prodromi della lotta per l’emancipazione femminile sfociati in seguito nei movimenti delle Suffragette e nella conquista dell’indipendenza e di certi diritti civili ancora preclusi alle donne.
E ricordiamoci, come scrive la Paver citando Voltaire, che “chi è autorizzato a farvi credere cose assurde, è senz’altro autorizzato a farvi commettere ingiustizie”.