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Egidius Arimond
È il 1944. Siamo sulle sponde del fiume Urft, luogo ove si erge una cittadina di minatori come tante in cui vive Egidius Arimond. Fino a poco tempo prima insegnante, ora a causa della guerra non più, l’uomo si guadagna da vivere occupandosi della tradizione di famiglia: la cura delle api. È accudendo queste ultime e vendendone i prodotti ricavati quali il miele, le candele di cera, il vino, i liquori e molti altri ancora, che egli cerca di sopravvivere. Tuttavia, Egidius, svolge anche un’attività collaterale che consiste nel condurre al confine con il Belgio i fuggiaschi ebrei in cambio di un compenso di circa duecento marchi. Uno sproposito per il tempo, si potrebbe pensare, ma l’ex docente ne ha bisogno per poter acquistare quelle che sono le medicine necessarie a fermare quelle sempre più costanti crisi epilettiche che lo colgono. Se venisse fuori che è “difettoso”, che il suo organismo lo conduce a rovinare a terra quando meno se lo aspetta, che è affetto da una patologia tale da non renderlo l’emblema della razza pura, finirebbe con lo sparire nel nulla, forse a bordo di qualche treno, forse chissà dove, ma certamente di lui si perderebbe ogni traccia.
«La legge nazista per la prevenzione delle malattie ereditarie definisce “malattie ereditarie congenite” il cretinismo congenito, la follia maniaco-depressiva, l’epilessia ereditaria, il ballo di San Vito, la cecità e la sordità ereditarie, gravi deformità fisiche e grave alcolismo. Le decisioni sulla sterilizzazione forzata e sull’eutanasia spettano al tribunale. Io sono stato sterilizzato nel vicino ospedale e, se non sono stato trasferito in un istituto come gli altri e lì ucciso, probabilmente lo devo alla posizione di mio fratello: Alfons è un eroe del nazionalsocialismo per la sua abilità di cecchino; una volta lui e la sua squadriglia sono apparsi persino al cinegiornale.»
Ecco perché con cadenza regolare si reca presso quella biblioteca di paese dove in specifici libri sono racchiusi codici e indicazioni per il prossimo trasporto, ecco perché non interrompe mai quella routine che lo porta ad alzarsi alle cinque del mattino, che lo porta ad occuparsi con costanza delle arnie, che lo fa apparire quale il più abitudinario degli abitudinari.
«L’amore è vagabondo e non indugia in nessun luogo: forse è proprio vero.»
Egidius non è un uomo perfetto. Non fa quel che fa per mera virtù o desiderio di salvare altre vite. Può apparire egoista, può apparire rude in molti dei modi che lo accompagnano e che lo portano ad allietarsi della presenza e compagnia di tante donne con cui condivide nulla più che momenti di gioia e serenità tra le lenzuola di casa. Eppure, Egidius arriva al lettore proprio per questo, perché è un protagonista cristallino, senza pretese e forte delle – e nelle – sue imperfezioni. Con il suo volto egli riesce a mettere in luce la semplice realtà del tempo dove l’obiettivo principale era sopravvivere nell’incertezza e in una dimensione dove tutto quel che era certezza e costanza è venuto meno tanto che alcuno era libero di poter vivere la propria vita senza essere controllato e punito dal regime. Egidius, ancora, non pretende di essere un eroe. Fa quello che è necessario per poter continuare a vivere, osserva, è costretto a fare scelte che nessuno dovrebbe mai trovarsi a fare, è costretto a decidere se mettere davanti la propria vita o quella altrui. Può suscitare disappunto, può non suscitare empatia, può anche far provare al lettore una sensazione di antipatia ma ciò accade semplicemente perché non si nasconde dietro a filtri o ad apparenze. È quel che è in una realtà dove non può essere altro che questo. E allora si rifugia nei testi del passato, legge, impara l’arte dell’accudire le api, prende piacere e ne dona altrettanto alle donne che volta volta lo circondano.
«Forse la verità è che non pensiamo nulla di nuovo, ma i nostri pensieri sono solo l’eco di qualcosa che è già stato pensato.»
“Le api d’inverno” di Norbert Scheuer è un titolo scandito da un ritmo narrativo costante che mai accelera ma che conduce per mano tra i ricordi e i pensieri di un tempo passato ma non ancora remoto per mezzo della voce di un protagonista che ci parla tramite il suo diario. È un libro che ha la grande capacità di riportarci agli anni della guerra così da farci respirare il clima e le sensazioni che ne caratterizzavano i giorni. È ancora, un romanzo, riflessivo e introspettivo in quanto è per mezzo della voce del personaggio principale che siamo chiamati a chiederci cosa avremmo fatto noi al suo posto e a porci ancora e altrettante ulteriori domande. È un elaborato che divide e questo probabilmente anche a causa della forma narrativa scelta, ovvero quella del diario. Eppure, “Le api d’inverno” è uno scritto che ha tanto da offrire e che una volta letto resta nella mente anche a distanza di molto tempo dalla sua conclusione.
«La guerra è finita da tempo per lui; non ne parla più, sembra che non abbia mai avuto luogo. Fortuna favet fatuis, la fortuna arride agli stolti.»
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