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Parlar chiaro
All'inizio di questo romanzo il futuro imperatore Claudio racconta di una ballata, diffusa a Roma ai tempi dei primi fasti del principato, che descrive l'albero genealogico della dinastia Giulio-Claudia come un pero che produce frutti perfetti e frutti bacati, i secondi in misura nettamente maggiore rispetto ai primi. Nero Claudio Druso – o Cla-Cla-Claudio o "il povero zio Claudio", come viene "affettuosamente" definito dai suoi nipoti – è sempre stato considerato dalla famiglia uno dei frutti più bacati: zoppo, balbuziente, sordo da un orecchio, tendente ai tic nervosi, colpito nell'infanzia da numerose malattie che hanno sfigurato e danneggiato il suo corpo in ogni modo possibile, più portato per lo studio della storia che per le attività pubbliche o militari, non può certo rivaleggiare con il suo splendido fratello Germanico, l'orgoglio della famiglia, ed è costantemente oggetto di comportamenti sgradevoli che oggi sarebbero etichettati sotto la definizione "bullismo".
La sua triste situazione è però destinata a capovolgersi quando si ritrova quasi per caso a indossare la corona di alloro che ha visto poggiata sul capo di ben tre imperatori prima di lui e ad avere nelle mani il governo di uno degli imperi più grandi che siano mai esistiti. Da bravo appassionato e studioso di storia, decide allora di comporre un'autobiografia, che assume le dimensioni e le caratteristiche di una vera e propria cronaca di famiglia, a partire dalla sua nascita, e promette di "parlar chiaro", come dichiara la profezia proclamata da una Sibilla: coloro che hanno scritto prima di lui, infatti, erano costretti ad accattivarsi il favore dei suoi predecessori, tra i quali si annoverano ben due tiranni (di cui uno completamente fuori di testa); Claudio, invece, sarà libero di scrivere tutta la verità, solo la verità, niente altro che la verità e allora saranno gli altri, con le loro parole false e adulatrici, a balbettare, mentre le parole di Claudio parleranno «chiaro e con audacia» anche a distanza di secoli.
Senza dubbio si può dire che Claudio abbia tenuto fede al suo proposito e che il suo racconto sia, più che chiaro, cristallino nel tracciare un quadro terrificante e spietato della dinastia Giulio-Claudia, con i suoi personaggi inquietanti, folli, crudeli, grotteschi, e della Roma imperiale, deturpata da una corruzione senza limiti. Spiccano su tutti la terribile Livia, rappresentata come una specie di dea della morte, insensibile e spietata, capace di assassinare il proprio stesso sangue per mantenere saldo il potere, Tiberio, con la sua crudeltà fredda e calcolatrice, e Caligola, preda di una follia talmente grottesca e surreale da diventare il tiranno più spaventoso e ridicolo che sia mai esistito. Claudio giura solennemente, all'inizio del racconto, di non avere alcuna intenzione di alterare i fatti per celebrare se stesso. Dal puro e semplice racconto degli eventi, tuttavia, emerge l'evidenza della verità: che uno dei pochi frutti non bacati, in quella famiglia dissennata, in realtà è proprio lui, lo zoppo, balbuziente, impresentabile zio Claudio.
Intorno alle figure principali, poi, gravita una lunga serie di personaggi minori, tutti scolpiti alla perfezione nel modo di parlare, agire, comportarsi, dotati di pregi (ben pochi) e difetti (in gran quantità), oggetto, al pari dei protagonisti, di un'analisi psicologica minuziosissima e straordinaria: leggendo le loro parole si ha la sensazione di avvertire, ad esempio, la spacconaggine e la cupezza di Seiano, la pacata inflessibilità di Germanico, la sordida vacuità delle sorelle di Caligola, la giovanile sfrontatezza di Agrippa Postumo, l'intelligente e affettuosa ironia di Atenodoro (precettore del giovane Claudio), la dolce devozione di Cesonia (prostituta e amante di Claudio), l'orgoglio stizzoso di Tito Livio, il fermo coraggio e la nobiltà di Agrippina.
La capacità di rappresentazione efficace dei personaggi, senza perdersi in lunghe descrizioni ma facendoli semplicemente agire e parlare, è senza dubbio uno dei pregi maggiori del romanzo di Robert Graves e lo stesso Claudio, sebbene resti sullo sfondo degli eventi per la gran parte della narrazione, si rivela un personaggio divertente e multisfaccettato, ironico, acuto, intelligente e capace di sopravvivere a tutto e a tutti semplicemente passando per quello che non è, ovvero uno sciocco.
Certo, sulla veridicità del contenuto di questo romanzo ci sarebbe da discutere. Prima di iniziarne la stesura, Robert Graves traduce le "Vite dei Cesari" di Svetonio, che insieme a Tacito e a Plutarco è la fonte principale cui attinge. È risaputo che la storiografia di età classica ha trasmesso un pessimo ritratto degli imperatori Giulio-Claudii e a questa versione Graves si attiene scrupolosamente, ma è difficile stabilire quanto, in questi resoconti sulle personalità di Tiberio e di Caligola, ci sia di vero e quanto sia solo un eccesso nato dalla volontà, da parte degli storici di classe senatoria, di gettare discredito sui tiranni che hanno privato il Senato del suo ruolo autentico e originario, riducendolo a semplice cassa di risonanza della volontà dei Cesari.
Eppure, se anche nel romanzo di Graves non ci fosse neanche un briciolo di verità, cosa importerebbe? Un romanziere non è uno storico e lo stesso Graves sottolinea l'importanza della veridicità nelle opere storiografiche attraverso la discussione tra Atenodoro e Tito Livio. Nelle opere storiografiche, appunto, non nei romanzi, che hanno il privilegio di poter anche inventare di sana pianta. Resta in ogni caso il piacere di una lettura divertente, curata, ricca di uno humor sottile dal sapore molto british (Graves, dopotutto, è inglese) che riesce a far scoppiare a ridere di gusto anche nel bel mezzo delle manovre delle legioni di Germanico sul Reno. Dopo una seria riflessione, ad esempio, Claudio afferma di aver stabilito che non si preoccuperà in alcun modo del destino della sua autobiografia, perché sono molto più numerose le opere che si salvano per caso di quelle che si salvano per intenzione: se si pensa che l'imperatore Claudio (quello vero) scrisse effettivamente un'opera che raccontava la sua vita e i primi decenni dell'impero e che essa è andata perduta, come tutte le opere da lui composte, è evidente che la gustosa, talvolta amara ironia del racconto colpisce anche l'opera stessa.
"Io, Claudio" è un long-seller pietra miliare del romanzo storico, imperdibile per gli appassionati di questo genere letterario e soprattutto di storia romana. Non si può che dare ragione alla profezia della Sibilla: Claudio parla chiaro, anzi, chiarissimo.
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Che bella proposta di lettura!
Dell'autore conosco solo il libro sui miti greci, che ho trovato insuperabile nell'analisi .
Non sapevo però di questo libro che hai trovato così soddisfacente. Non mi ha sorpreso l'altissima valutazione, conoscendo l'enorme cultura e la scrittura di Graves.