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Il giardino dei cosacchi
 
Il giardino dei cosacchi 2021-01-22 12:28:43 anna rosa di giovanni
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anna rosa di giovanni Opinione inserita da anna rosa di giovanni    22 Gennaio, 2021
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la Russia zarista all'epoca di Dostoevskij

IL GIARDINO DEI COSACCHI DELL’OLANDESE JAN BROKKEN (ed. Iperborea, 2016). L’illusione di un libro di memorie autentico è perfetta: sembra davvero di leggere i ricordi del barone Alexander Igorovic von Wrangel relativi alla sua amicizia con Fedor Dostoevskij, di dieci anni più anziano (F. D. nasce nel 1821), che frequenta assiduamente dal 1854, quando sceglie per il suo primo incarico di magistrato (ha solo 22 anni!) una città della Siberia dove lo scrittore già soggiorna.

COME NASCE QUESTO LIBRO? Come si legge a p. 387, nella sezione Ringraziamenti, nel suo ANIME BALTICHE (2014) l’autore del Giardino aveva fatto fra gli altri il ritratto della nobile baltico-tedesca Anna-Liselotte von Wrangel: da lei era poi risalito al barone Alexander di cui Anna Liselotte era pronipote, del quale legge diari lettere e altri scritti personali. Anche Il giardino dei cosacchi mostra bene che Brokken ama ricostruire storie vere e ambienti storici ed è affascinato da quel mondo sconfinato e in molta parte disabitato che dall’estremo Nord dell’Europa - San Pietroburgo, per intenderci - si estende ad ovest verso l’Europa occidentale, a sud verso il Medio Oriente musulmano, i paesi della catena himalayana e la Cina, e ad est fino alla costa che si affaccia verso il Giappone: tutta questa immensità era l’Impero degli zar di Russia in cui si ambienta Il giardino dei cosacchi. Detto per inciso, mi ha molto intrigato che a un certo punto del romanzo venga detto che la lingua in cui Giapponesi e Russi potevano comunicare nell’800 era … l’olandese! e a quel punto come non pensare ai viaggi di carovane e vascelli che portavano merci da Oriente a Occidente? In particolare mi è tornato in mente il poème Invitation au voyage in cui Baudelaire evoca Amsterdam come città che trabocca di merci orientali ...

COME SI SPIEGA IL TITOLO? Alexander I. von Wrangel chiamava “giardino dei cosacchi” la casa di campagna in cui più volte ospitò il suo amico Dostoevskij. Come detto, Brokken si immedesima nel giovane barone e sulla base della sua documentazione ripercorre nel ricordo, seguendo un filo cronologico, quei dieci anni della sua stretta amicizia con l’ingegnere militare (sotto-pagato e sempre squattrinato) Fedor Dostoevskij. Questi, già trentenne, si è fatto notare come scrittore per il suo “Povera gente”, ma non ha ancora scritto i suoi grandi romanzi, avendo prima passato quattro anni in un campo di lavori forzati in Siberia per aver partecipato a riunioni di una società segreta anti-zarista, obbligato poi a prestar servizio come soldato semplice in una città della Siberia e non essendo comunque autorizzato a pubblicare. In questa stessa città il giovanissimo Wrangel (22 anni!) va a ricoprire un incarico di magistrato e siccome apprezza lo scrittore F. D. ne ricerca la conoscenza: la scintilla dell’amicizia si accende fin dal primo incontro e resta accesa per sempre, anche se poi la vita li separerà.

CONTENUTO. Pagina dopo pagina Brokken ricostituisce cronologicamente, non di rado con sorridente ironia, la storia dell’amicizia fra due uomini divisi per età, storia personale e condizione economica, ma uniti dalla sofferenza d’amore per donne che non si concedono mai del tutto. Come spesso però avviene nella realtà, la vita separerà l’uno e l’altro e alla fine il sentimento di amicizia sarà indebolito, se non spento, dall’opportunismo di Dostoevskij, che da Wrangel ha avuto una serie infinita di aiuti anche economici, ma si sottrae col silenzio alla richiesta di aiuto dell’amico quando a sua volta questi avrà bisogno di sostegno economico. Insomma, un grande scrittore indagatore della colpa non necessariamente è innocente e privo di contraddizioni. Col che non si pensi che Brokken alias Wrangel voglia “smascherare” un maestro della letteratura russa, giacché riunendo i suoi ricordi “siberiani”, Wrangel esprime sempre ammirazione e comprensione per il suo amico di un tempo - lui ormai è diventato nel frattempo un padre di famiglia - e solo dice nelle ultime pagine con grande semplicità che D. non risponde alla sua richiesta di aiuto. Queste sia pur finte memorie del barone von Wrangel permettono dunque di conoscere meglio -ovviamente- la personalità di F. D., segnato da un’infanzia infelice, dall’epilessia, dall’esperienza della “falsa fucilazione” (vedi primi capitoli), dai lavori forzati a diretto contatto con criminali nella regione del peggiore arbitrio allora come nella Russia stalinista, dalla disperazione di potersi dedicare alla scrittura, dalla precarietà economica e dall’inesauribile curiosità per le contraddizioni dell’anima, soprattutto dell’anima colpevole. La sua personalità nonchè certe situazioni che saranno per lui fonte di ispirazione per i suoi romanzi. Fra l’altro Wrangel-Brokken mette in luce più volte le ragioni che spinsero Dostoevskij a certe iniziative utili ad ottenere la grazia: l’importante era poter scrivere e pubblicare e, perchè no, anche semplicemente vivere, non marcire in una caserma siberiana.

Attraverso la narrazione di Wrangel, tuttavia, Brokken ci dà uno spaccato della società russa degli anni ‘50 dell’800, di prima dell’incoronazione del primo zar “illuminato”, Alessandro II, una società che ancora non è uscita dall’Ancien Régime, sovraccarica di un potere imperiale illimitato (e nel 1917 all’autocrazia imperiale succederà direttamente quella del partito bolscevico) e di un apparato statale in mano all’aristocrazia, che lo gestisce per soddisfare interessi di casta e personali (vedi per es. p. 152-153 nel divertente capitolo La visita del Governatore generale, in cui si parla di certe realtà che conosciamo molto bene). In questo mondo tutto è determinato dalle pressioni personali dell’uno o dell’altro, più o meno efficaci a seconda della vicinanza minore o maggiore allo zar, secondo una scala infinitamente graduata. Il movimento rivoluzionario decabrista (rivolta anti-zarista del dicembre 1825, cui partecipano anche ufficiali della Guardia imperiale) sembra esser stato digerito ed eliminato nell’immobilismo di uno stato geograficamente sconfinato, dove ancora si caccia la tigre, una lettera arriva a destinazione anche dopo 4 mesi, e popolazioni nomadi di etnie diverse coesistono, separate da migliaia di “verste”, con città dalle architetture più fastose di quelle di Versailles. Tutto ciò mentre a Occidente i fermenti rivoluzionari spingono tutti i paesi verso una graduale modernizzazione socio-politica. Un aspetto che mi è sembrato di cogliere, infine, di questa società aristocratica, è un rapporto col denaro diverso rispetto da quello che si ha in una società borghese: il denaro è per sua essenza mobile, va e viene a seconda del favore di chi sta più in alto nella scala sociale e più che essere accumulato deve garantire un certo tenore di vita: a sé e ai propri “protetti”.



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