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Questa è la Spagna franchista
“Alla memoria di tutte quelle donne che non poterono nemmeno osare prendere decisioni autonome senza essere definite puttane, che passarono direttamente dalla tutela dei genitori a quella dei mariti, che persero la libertà di cui avevano goduto le loro madri per arrivare tardi a quella riconquistata da noi figlie, ho scritto questo libro”.
Con queste parole l’autrice Almudina Grandes evidenzia la sua premura nel rappresentare la “condizione femminile” durante uno dei periodi più bui della storia di Spagna: gli anni cinquanta quando imperava la dittatura franchista che oltre ad affossare la libertà di un paese intero ha relegato la donna ai margini di una società fortemente autoritaria e paternalistica con la connivenza della Chiesa cattolica spagnola, fondendo così in una morsa letale il potere politico con quello spirituale (“La Spagna è la riserva spirituale dell’Occidente, il paese scelto da Dio, la più cattolica delle nazioni, la figlia prediletta dello Spirito Santo, della Vergine Maria e del Papa di Roma”). Merito della Grandes è quello di riuscire a mettere a fuoco questi aspetti da un punto di vista assolutamente particolare e poco noto all’opinione pubblica: la situazione all’interno del manicomio femminile di Ciempozuelos, località nei pressi di Madrid. Lo fa attraverso la voce narrante principale, quella del dottor German Velazquez, psichiatra di successo che a distanza di anni torna in Spagna accettando una proposta di lavoro nello stesso manicomio stimolato dalla possibilità di potere sperimentare una nuova cura sulle malate, dopo un esilio professionale di diversi anni in Svizzera. Sarà proprio l’esperienza vissuta dallo psichiatra attraverso il contatto giornaliero con i dirigenti medici e le suore che gestiscono la struttura, a fare comprendere l’assoluta mancanza di rispetto e di etica professionale. German riuscirà infatti a evidenziare quanto il benessere psichico delle internate, tra le quali spicca la figura di Aurora Rodriguez Carballeira rinchiusa nel manicomio a causa di una grave paranoia che l’ha portata ad uccidere la figlia, venga sacrificato senza alcuna remora in nome delle convenienze politiche e della carriera. Alla “voce” del medico si aggiunge quella di Maria Castejon, infermiera all’interno del manicomio di Ciempozuelos, che in prima persona racconta a sua volta le proprie esperienze di vita e quanto i privilegi detenuti da una classe dominante composta da fedelissimi al regime, riescano ad agire con arroganza e prevaricazione condizionando così le vite altrui (“Così capìì che le gabbie non erano sempre esterne, formate dalle minacce e dai ricatti delle persone che detenevano il potere. Potevano anche essere interiori, radicate nel corpo, nello spirito di tutte le donne perdute che accettavano mansuete un destino che non avevano scelto solo perché altri avevano deciso che era meglio per loro trasformarsi in donne decenti”).
Il libro, che si avvale dei racconti in prima persona dei principali protagonisti (German, Maria e Aurora) le cui voci si alternano come si trattasse di confessioni fatte al lettore, ha l’indubbio pregio di descrivere fedelmente l’epoca e l’ambientazione di riferimento: il manicomio femminile di Ciempozuelos è esistito veramente, così come la stessa Aurora Carballeira è realmente vissuta, internata proprio nel manicomio a causa della paranoia che l’ha portata all’omicidio della figlia. Probabilmente, a sostegno di tale autenticità, si sarebbe potuto mantenere nella traduzione italiana anche il titolo originale dell’opera, “La madre di Frankenstein” sufficientemente evocativo della pazzia di donna Aurora che era solita creare delle bambole di pezza deformi che considerava un po’ come le sue seconde figlie.
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