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Ivo Andric e la monotonia della storia
I libri vanno sempre conclusi. È con questa legge morale, imposta alla mia coscienza, che mi avvicino alla lettura di un libro, risultato di creatività e ingegno letterario dello scrittore. Meritano pertanto tutto il mio rispetto.
Ma qui, pur stimando la storia e la sensibilità di Ivo Andric, ho ceduto. Ho ceduto perché eccessivamente monotono e disarmonico.
Il ‘Ponte sulla Drina’ si presenta fin da subito come un racconto volto a ripercorrere la storia della Bosnia e tutte le storie che accadono in quel fazzoletto di terra collegato da questa imponente opera di ingegno che ha permesso di unire culture, saperi, lingue, conoscenze e religioni. Non senza problemi. Non senza tensioni. Non senza diffidenza e paura. E lo scrittore cerca di rappresentare e tradurre la complessità della storia in questo romanzo.
La disamina storica che ne consegue è accurata e il tentativo di intervallarla con racconti narrativi a mo’ di vero e proprio romanzo storico è apprezzabile, ma non riuscita. Si è cercato di comporre un mosaico omogeneo di racconti paralleli che mettessero in luce l’eccezionalità della cittadina di Visegrad, crocevia di etnie e popoli, e che potessero essere facilmente integrati con il racconto più prettamente storico.
Tuttavia il ritmo rimane eccessivamente lento e monotono come i secoli che lentamente scorrono impassibili per la vista di quel maestoso ponte, voluto dall’impero ottomano, che domina l’intera vallata e oltre.
La cifra stilistica scelta dallo scrittore, probabilmente influenzato dalla seconda guerra mondiale appena conclusasi, non può che andare a discapito della piacevolezza e fruizione del racconto.
Il puzzle di storie sapientemente pensato mal si concilia nella trama -se così può essere definita- del libro, ma ogni singolo pezzo rimane un po’ a sé, slegato da quello precedente.
Sono consapevole di andare contro corrente, ma la colpa è mia: Ivo Andric non è adatto a tutti e io non sono adatto a lui. Le mie aspettative verso questo premio Nobel erano alte e probabilmente se fossi stato uno storico interessato a quelle terre e a quei luoghi, le righe scritte precedenti a questa sarebbero state un tripudio di giubilo e felicità.
Il racconto si rivolge a una nicchia di lettori e io non sono tra questi.
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