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Monaco
 
Monaco 2020-05-06 14:22:06 Mian88
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    06 Mag, 2020
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La conferenza e accordo di Monaco del 1938

«Dovremmo sempre essere consapevoli che ciò che oggi appartiene al passato un tempo stava nel futuro.» F. W. Maitland, storico (1850-1906)

È con questa forse breve ma significativa premessa che hanno inizio le pagine di “Monaco” di Robert Harris, opera classe 2018 che concentra la sua attenzione su un fatto storico di particolare rilevanza: la conferenza di Monaco avutasi tra le date del 29 e 30 settembre 1938. A riunirsi in occasione di questa conferenza e accordo di stampo internazionale, manifestatosi un anno prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, furono i rappresentanti di Regno Unito, Francia, Germania e Italia e il suo oggetto non fu altro che quello della discussione delle rivendicazioni tedesche sulla regione dei Monti Sudeti, posta in territorio cecoslovacco ma abitata prevalentemente da popolazione di etnia germanica (i cd. Tedeschi dei Sudeti) e che si concluse con una concordia che portò all’annessione di molteplici territori della Cecoslovacchia allo stato germanico. Si noti bene che suddette trattative non furono presenziate dai delegati cecoslovacchi a cui fu impedito di partecipare. Per questa ragione da questi detta assemblea fu definita come “Diktat di Monaco”.
Una breve e sommaria premessa storica, la mia, che si rende necessaria per l’evoluzione del componimento dell’inglese. Siamo nel settembre del 1938 quando Hugh Legat, astro nascente del Servizio diplomatico britannico che lavora al numero 10 di Dowing Street, diventa il terzo segretario particolare del primo ministro Neville Chamberlain. Il clima in cui le vicende sono ambientate è molto delicato; Hitler ha dettato un ultimatum per il quale annuncia la sua prossima invasione del territorio dei monti Sudeti per consentire a tre milioni di uomini e donne di etnia germanica di tornare “a casa” sotto il terzo Reich. Di fatto dietro queste mire apparentemente giustificate dalla volontà di restituire una paternità a chi è costretto a vivere sotto un’egemonia altrui non vi è altro che una scusa per ampliare i confini dello Stato e rafforzare la propria capacità bellica. Mentre il primo ministro inglese ha tutte le intenzioni di evitare una guerra, affatto pacifiche sono invece le intenzioni del leader tedesco che soltanto di facciata si dimostra disponibile ad una contrattazione diplomatica.
Al contempo, l’aristocratico Paul von Hartmann, membro parte dello staff del Ministero degli Esteri tedesco, è passato da essere un sostenitore del Fuhrer ad esserne un oppositore tanto da far parte della cd. cospirazione anti-Hitler. Legat e Hartmann sono legati da un passato in comune avendo entrambi studiato a Oxford ma da ben sei anni non hanno tra loro più alcun contatto. Tuttavia, adesso più che mai è fondamentale che ci sia un’azione anglo-tedesca condivisa e finalizzata a fermare l’ascesa del dittatore poi passato alla storia. Cosa accadrà? Come comportarsi? Qual è davvero la scelta giusta da fare? Tradire? Non tradire? Qual è il prezzo da pagare per fermare il tiranno?

«Entrambi gli uomini rimasero a fissarlo in silenzio. Legat ebbe una strana sensazione – di cosa? Si sarebbe chiesto in seguito –, non esattamente di déja-vu, ma di ineluttabilità, quasi avesse sempre saputo che Monaco non aveva ancora finito con lui, che per quanto prendesse le distanze da quel luogo e da quel momento lui era per sempre avvinto nella sua attrazione gravitazionale e che alla fine sarebbe stato attirato nuovamente verso di esso.»

“Monaco” si rivela per questo essere uno scritto ben riuscito e accattivante tanto per tematica storica che per approfondimento quanto per l’aspetto più intrinsecamente spionistico. Se amate il genere dello spionaggio e il romanzo storico, infatti, non vi deluderà. Caratterizzato da una penna minuziosa e precisa, il testo alterna fatti storici realmente accaduti con una perfetta finzione narrativa atta a ricostruire una vicenda antefatto della guerra dopo succeduta. Il tutto grazie al mix di personaggi realmente esistiti con altri inventati che costituiscono un binomio riuscito con successo e che portano il lettore a nutrire una forte empatia. Le pagine scorrono rapide, incuriosiscono, avvincono. Il conoscitore tende a voler rallentare lo scorrimento perché, per quanto i fatti siano rapidi e si svolgano nell’arco di pochissimi giorni, il piacere di gustarselo, di volerlo scoprire piano piano, senza fretta, è maggiore alla volontà di una riscoperta sempre più verace. Per rivivere la pagina storica presentata ma anche per godersi un titolo che sinceramente resta. Effetto conseguenza del leggere è quello di interrogarsi sulle decisioni politiche prese dai capifila del tempo, di interrogarsi sulla effettiva consapevolezza del pericolo che stava per incorrere, di interrogarsi su tutti gli avvertimenti che erano stati disseminati sulla strada e disattesi.
Goliardico, avvincente, ricco di spunti di riflessione. Un peccato doversene separare.

«Questo è ciò che ho imparato negli ultimi sei anni, contrariamente a quello che insegnano a Oxford: il potere della non-ragione. Tutti dicevano… e per tutti intendo persone come me… tutti dicevamo: “Oh, è un tipo orribile, Hitler, ma non è completamente malvagio. E guardate le sue imprese. Dimentichiamo queste brutalità medievali antisemite, passeranno”. Ma il punto è che non passeranno. Non si possono scindere dal resto. Sono parte integrante del tutto. E se l’antisemitismo è malvagio, è tutto malvagio. […] Andrò avanti, suppongo. Immagino che sia così che ci si sente quando si scopre di avere una malattia incurabile: si sa che la fine è vicina, ma non si può fare altro che continuare ad alzarsi ogni mattina.»

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E' sempre interessante leggerti, Maria.
Bella recensione Maria
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