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Scuola di vita
Nella postfazione di Abigail ( 1970 ), destinato ad essere tra i romanzi più amati d’ Ungheria, divenuto anche un film per la televisione, Magda Szabo ci dice che l’ opera e’ una dimostrazione che non esiste una comunità che non venga toccata dalla guerra e solo secondariamente la vicenda di una scuola confessionale femminile al tempo di Hitler. Allo stesso tempo in ....” Abigail ho scritto tutto quello che io, che ero stata testimone e coeva, avrei dovuto fare, ed invece ero rimasta solo una osservatrice con un senso di colpa...”
Parole indispensabili per comprendere l’ essenza del racconto, laddove parrebbe un romanzo autobiografico di formazione all’ interno di vicende intrafamiliari e collegiali.
Autunno 1943, nel pieno della Seconda Guerra Mondiale la quindicenne Georgina Vitay, appartenente all’ alta società di Budapest, orfana di madre, figlia di un generale della esercito ungherese, viene improvvisamente allontanata da casa alla volta di un collegio religioso, Il Matula, lei che ha sempre frequentato una scuola statale. Viene privata di tutto, della sua vita, degli affetti più cari, l’ amata istitutrice francese Marcelle, la zia Mimo’, il tenente Ferì Kunts, di cui è innamorata, ma soprattutto del padre, un uomo che le assomiglia come una goccia d’ acqua, con cui ha un legame appassionato e vicendevole.
Perché’ una educazione migliore? Offesa ed abbattuta dietro il suo educato silenzio, poche parole, un minuto per i saluti, una destinazione sconosciuta, senza un tempo stabilito, un perché, la promessa di badare a se stessa come se fosse già adulta, forse l’ amore del padre per un’ altra donna.
Il passato è cancellato, perdendo anche gli ultimi ricordi della sua vita, trasformata in uno spaventapasseri, ignara del mondo esterno, abbandonata in un muro quadrato, l’ istituto più severo di tutto il globo terrestre, il Matula.
Qui esistono regole infrangibili, una educazione rigorosa, non c’è tempo per l’ ozio, per pensare a se’ ed alle proprie disgrazie, il nemico e’ l’ ignoranza, i contatti con l’ esterno distillati, il collegio l’ ombelico del mondo, immerso in colori uniformi, il bianco ed il nero.
Il proprio padre, alle prese con problemi di rilevanza nazionale in una vita assai difficile, non va disturbato, ma bisogna pregare anche per i soldati al fronte.
Ai suoi occhi, in quel mondo tozzo e severo, dove ci sono solo oggetti di prima necessità, letto tavolo, sedia, manca la bellezza, la abituale armonia.
Attorno a lei, istitutori, insegnanti, alunni, molteplici storie, tutte racchiuse li’ dentro, in quel fortino murato, ignari di quello che fuori succede. Zsuzsanna, Konig, Kalmar, Mici Horn, Mari Kis, Gedeon Torma, Banki, e poi Abigail, una bella opera neoclassica della fine del diciottesimo secolo, una statua simbolo che sorride, compie dei miracoli, il cui segreto va mantenuto ed a cui rivolgersi nei momento del bisogno.
In questa situazione, non potendo chiedere aiuto a suo padre, ne’ essere accettata in alcun modo dalle compagne, in un isolamento protratto, a Georgina pare impossibile sopravvivere e non le resta che il desiderio di fuga.
In suo aiuto una verità necessaria, sottaciuta, distante ma tremendamente vicina e così importante da cambiare il senso di una vita che pare sacrificata, sigillata nella propria plumbea, impotente tristezza.
Ed allora la prigione diviene rifugio, non ci si sente più sole, c’ è un segreto da mantenere, qualcuno che veglia e si prende cura di noi, che ci trae in salvo, anche se non lo glielo si chiede e si dubita di lei. E c’è chi ha potuto accomiatarsi dalla vita nella certezza che la nostra è al sicuro.
Tante volte, anni dopo, Georgina avrebbe pensato alle esperienze ed ai momenti che le avevano regalato quell’ inverno e quella primavera, la vita all’ interno del fortino, ad Abigail, che l’ aveva resa partecipe della risoluzione di sorti umane, più importante delle regole, ed al generale, che le aveva indicato una prospettiva più ampia di quella che una ragazzina allora quindicenne, che non era personalmente in pericolo, notava, o poteva notare.
La guerra, di cui li’ dentro non si poteva parlare, era presente nel profondo del proprio inconscio, non c’ era ragazza che non avesse qualcuno al fronte, ma tra le matuline non c’ era alcuna che si interrogasse sulla sua origine e fine, mentre Gina sentiva il peso di avere una visione limpida della situazione.
In verità
...” gli avvenimenti più importanti della vita di una persona accadono nella maniera più strana ed inaspettata “.... e
....” abbiamo già perso la guerra, appena e’ cominciata, è cominciata con un fine sbagliato, con mezzi sbagliati, una guerra che non avrà caduti eroici, ma solo vittime “...
Magda Szabo racconta ...” Abigail divenne un successo nazionale. Nemmeno per un attimo credetti che fosse merito mio personale. Semplicemente l’ Ungheria, con la maniera in cui l’ aveva accolto, aveva votato contro Hitler, contro la guerra e il fascismo, e a favore di coloro che avevano anche fatto qualcosa, non erano solo rimasti ad osservare, terrorizzati e schifati, come una scrittrice molto giovane, che scrittrice ancora non poteva definirsi, la quale aveva immagazzinato il materiale grezzo da costruzione: i ricordi.
Non solo un individuo, ma anche un paese può avere una reazione ritardata “....
Un racconto vivo, potente, essenziale, con tratti enigmatici ed una trama avvincente, immersa in quel immenso dolore che da personale diviene più grande, desolatamente nazionale e mondiale, oltre i limitati confini della vita e della scuola di vita di un semplice istituto.
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