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L'inquieta attesa
Si dice George Orwell e si pensa a “1984”, o a “La fattoria degli animali”.
Produzione futuristica o grottesca a parte, invece, lo scrittore inglese vanta tutta una serie di romanzi di pari livello. Il libro in commento, ad esempio, è un gioiellino (non a caso lo stesso Orwell lo considerava una delle sue opere più riuscite).
In una sorta di incipit dal sapore vagamente pirandelliano, l’acquisto di una dentiera da parte del quarantacinquenne George Bowling – e dunque di una dentatura perfetta seppure finta – è l’occasione per iniziare una profonda riflessione sulla propria vita: chi l’avrebbe mai detto che il ragazzino di intelletto vivace, impegnato a escogitare il modo di pescare carpe giganti nello stagno, sarebbe diventato il grassoccio (e monotono) agente assicuratore di adesso?
Un uomo arrivato, George Bowling, e perciò imborghesito.
Consapevole di esserlo. Da ciò prende corpo il suo desiderio di “una boccata d’aria”: i molteplici ricordi di gioventù, dei caratteristici personaggi che animavano il posto in cui ha vissuto infanzia e adolescenza, dei luoghi normali o magici, del continuo aggirarsi della cricca di ragazzi alla ricerca di motivi d’interesse, risvegliano in lui la volontà di rivedere Lower Binfield, di ritornarvi, accantonando per qualche giorno ogni altro impegno familiare e professionale.
Per cogliervi cosa?
“Non so se conoscete quel romanzo di H.G. Wells in cui si racconta di un tale che si trovava in due posti contemporaneamente: era cioè in casa sua, ma soffriva di una specie di allucinazione, e credeva d’essere in fondo al mare. Girava per le stanze, ma al posto dei tavoli e delle sedie vedeva alghe, granchi enormi, e piovre che si tendevano ondeggiando verso di lui. Bé, era esattamente lo stesso. Camminavo in un mondo che non c’era .”
“Una boccata d’aria” è un inno rallentato alla nostalgia dei tempi passati, alla spensieratezza della nostra infanzia anche quando è povera (i bambini non sono mai poveri), alla speranza della nostra gioventù (ignara del proprio destino, e dunque proiettata verso tutti i destini possibili).
Ma non è un inno fine a se stesso: mentre George Bowling ritorna sui luoghi del suo passato, nel cielo d’Inghilterra il sole pallido, sfuggito alle nuvole, è ogni tanto oscurato dalla sagoma di un bombardiere, e nelle strade a volte compaiono file di ragazzini che, sotto la direzione di qualche arcigna signorina, improvvisano un’esercitazione antiaerea.
Il nucleo illuminante del romanzo è proprio qui: la ricerca delle cose passate è soltanto la reazione all’approssimarsi della paura.
E’ il 1938: il passato non esiste più, il futuro non è immaginabile. C’è solo un immediato presente, che, divisorio tra due inesistenze, è anch’esso illusorio.
“Tutte le cose che ci portiamo dentro, le cose di cui abbiamo terrore, le cose che ci illudiamo siano solo un incubo o possano accadere unicamente all’estero: le bombe, le code alimentari, i manganelli di gomma, il filo spinato, le camicie nere, le camicie brune, gli slogan, le facce enormi, i mitra che sparano dalle finestre delle camere da letto. Accadrà tutto. Io lo so – o comunque lo sapevo in quel momento. Non c’è scampo. Ribellatevi se così vi piace, o giratevi dall’altra parte fingendo di non vedere, o prendete anche voi una chiave inglese e precipitatevi a massacrare il prossimo in compagnia degli altri. Ma non c’è via di scampo. E’ una cosa che deve accadere, punto e basta.”
“1984” e “La fattoria degli animali” verranno dopo.
Ma Orwell è interamente già qui, nel piccolo capolavoro che è “Una boccata d’aria” (1939).
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Commenti
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Daniele, non so come mai Orwell non ti ispiri. A me è sempre sembrato un creatore di storie molto sottile (tanto da divenire profetico in almeno un caso).
Clangi, quando reperii questo libro era nello scaffale proprio insieme ai due libri da te nominati. "Fiorirà l'aspidistra" in particolare mi attrasse: sarà sicuramente il mio prossimo libro di Orwell. Grazie del consiglio.
Lo segno, grazie.
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