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Le confessioni di Frannie Langton
 
Le confessioni di Frannie Langton 2020-02-04 10:49:06 C.U.B.
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
C.U.B. Opinione inserita da C.U.B.    04 Febbraio, 2020
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tabula rasa

1812, Paradise, colonia inglese, Giamaica.
La notte e’ calda e afosa, dagli alloggi degli schiavi una bimba mulatta striscia sull’erba verde e fresca vicino al fiume.
Osserva silenziosa la grande casa padronale dietro lo zuccherificio, illuminata dal tremolio delle candele l’ombra della Signora che si prepara per la notte di candido lino. Ha solo sette anni e sta per essere chiamata a prestare servizio in casa, la schiavitù è reale e brutale e legale.

1826, tribunale di Old Bailey, Londra.
La sala e’ gremita, la spada e’ incisa sul muro alle spalle del giudice. Il fruscio delle toghe e’ coperto dalle ingiurie del pubblico che le grida: Assassina! Le catene alle mani, il viso chinato, gli sputi su di lei.
Vogliono vedere impiccata la mulatta criminale, sul banco le prove dell’omicidio dei suoi padroni, accanto al coltello un vaso contenente un feto umano.

Frances leggeva Milton un tempo, lui diceva che la mente e’ il proprio luogo che puo’ fare un cielo dell’inferno, un inferno del cielo. Rammentando o dimenticando.
Non ricordo risponde l’assassina, non ricordo. Io l’amavo, non lo avrei mai fatto, non ricordo. Non ricordo.

Bellissima e ricca la trama e buona la ricostruzione storica, per la maggior parte del romanzo mi successe quel che di rado mi accade. Nulla, zero, indifferenza. Apatia e privazione totale da ogni stimolo emozionale, positivo o negativo che esso fosse.
La passione non mi bruciava priva come era delle sue membra scarlatte e roventi, la violenza non mi feriva colpendomi col profondo nero di una verga sulla tenera pelle nuda. Il dolore non era intriso del denso viola di una ferita inferta e sanguinante, la menzogna era sbiadita e non mi imbrogliava col suo giallo fluorescente e beffardo, nemmeno un pugno di bianco nella tenerezza che avrebbe dovuto mondarmi. Discreta era la narrazione, senza pero’ che l’autrice riuscisse a donare la vita ai suoi personaggi.
Poi nelle ultime cento pagine la Collins ritrova il vigore e torna tra noi. La smette di incartare tonnellate di idee, ora diventa madre delle sue creature. Ora esse respirano, si disperano, palpitano.
Il tribunale si popola di uomini e donne vere, infervorati e crudeli, le grida ed i silenzi. Gli avvocati procedono con le loro accorate arringhe, l’imputata freme, urla e si dibatte.
Eccoli i colori, eccola Frances, la schiava la bambina la donna l’assassina quando soffriva, amava, leggeva, ubbidiva, quando veniva vessata e punita. Finalmente, finalmente.

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