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Io cerco la vita
«Solo io starò sveglio. Io non voglio dormire, voglio impazzire. Non cerco nessuna giustizia, io, cerco la vita. Che è più o meno il contrario della giustizia. Ho già dormito abbastanza, d'ora in poi sarò sveglio come un grillo. Sono scampato alle grinfie di quei vecchi pazzi, sono uscito dalla loro loro follia, sono uscito vivo una volta per tutte dal loro sogno, perché non appartengo a loro. Fuori dal loro ammattimento di redenzione, fuori dalla giustizia. Saluti. Che dormano fino a domani. Io sono solo e sveglio e ora comincia il viaggio.»
Kibbutz di Granot, inverno 1965. Yonatan Lifschitz, 26 anni, è nato e cresciuto in quel luogo. Si è sposato da poco con una ragazza bellissima e strana, Rimona, ma la loro unione è stata già logorata dalla tristezza e dal lutto: hanno dovuto affrontare prima un aborto, poi la morte della loro prima neonata. Ne sono rimasti entrambi feriti in profondità, ma hanno manifestato reazioni opposte: Rimona si è chiusa nella sua malinconia, Yonatan invece vuole andarsene, lasciare tutti e vivere una vita diversa, che gli appartenga veramente, non vivere la scelta di vita compiuta dai suoi genitori.
Suo padre, Yolek, segretario del kibbutz, venuto a conoscenza del progetto del figlio, come risposta gli affida la gestione dell'autorimessa.
Intanto l'inverno si trascina lento sulle vite dei personaggi, è un inverno piovoso, estenuante, lungo nel suo trascorrere inesorabile. Una sera arriva nel kibbutz un ragazzo strano, Azariah: arrivato da chissà dove ed estremamente solo, ha l'unico sogno di essere accolto nel kibbutz. Il giovane ha un fascino particolare, cita Spinoza, è attratto da Rimona e sembra voler prendere il posto di Yonatan. La stagione delle piogge continua, interrotta da un giorno di primavera anticipata. Ma per quanto il tempo – e la meravigliosa prosa di Amos Oz- possano trascorrere apparentemente all'infinito senza che accada nulla, improvvisamente qualcosa succede.
Come nella vita, quando i giorni si susseguono alle notti, sempre uguali e attraversati da un infinito inverno piovigginoso che però nasconde dentro di sé la tensione e l'anelito ad uno spasimo esistenziale, e all'improvviso arriva davvero la primavera, e sconvolge i giorni, che diventano luminosi, e le notti, che si trasformano in lunghe veglie, così nel romanzo di Oz c'è una svolta imprevista e tutto ciò che doveva avverarsi si avvera.
Questo ovviamente, proprio come nella vita, non porterà alla soluzione razionale delle situazioni assurde, sconvolgenti o incresciose: il mistero dell'esistenza rimane intatto e non conoscibile da noi poveri esseri umani. Ognuno deve percorrere la sua strada, attraversare il proprio destino, ma, per dirla con le parole dello stupendo personaggio di Shrulik, quale sarà il senso di tutto questo? Alla fine, è inutile illudersi, non lo sappiamo.
« La terra è indifferente. Il cielo immenso e indecifrabile. Il mare? Misterioso. Le piante. Le migrazioni degli uccelli. La pietra tace sempre. La morte è forte, tanto, presente ovunque. Siamo tutti impregnati di crudeltà. Ognuno di noi è un po' assassino: se non con gli altri, con se stesso. L'amore, ancora non lo afferro, e certo non farò in tempo ad imparare. Il dolore è un fatto compiuto. Ma malgrado tutto ciò, so anche che possiamo fare qualcosa. Possiamo, e perciò siamo tenuti a farlo. Tutto il resto – chi lo sa? Chi vivrà, vedrà. Invece di dilungarmi, questa sera suonerò un po' il flauto. Ci sarà pure posto anche per questo. Il senso quale sarà? Non lo so.»
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