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Il messaggero per l’umanità
Sopravvissuto ad Auschwitz, nel 1986, una lunga vita già alle spalle, Wiesel ottenne il Premio Nobel per la Pace in virtù del grande sforzo umano che fece per superare l’annientamento-subìto come individuo durante l’esperienza concentrazionaria- trasformandolo in un intenso lavoro a favore della pace che riteneva essere non tanto un dono divino quanto una capacità umana di accoglienza. In occasione della celebrazione del giorno della memoria nel nostro Paese, nel 2010, al Parlamento italiano ha, tra le altre parole, lasciate impresse queste: “Mi hanno chiesto in un’intervista: quando andrà in cielo, quali saranno le parole che dirà a Dio? Io dirò un’unica parola: perché? Questa domanda non dobbiamo farla soltanto a Dio creatore, ma anche alle creature: perché Hitler e i suoi accoliti, nati nel cuore del cristianesimo, hanno fatto quello che hanno fatto? Perché volevano ad ogni costo distruggere l’ultimo ebreo sul pianeta? Oggi, riuniti per ricordare quel fatto, quell’avvenimento, che non ha precedenti nella storia, ci si potrebbe chiedere: ma perché la memoria? Perché riaprire vecchie ferite? Perché infliggere un tale dolore ai giovani? Per i morti è troppo tardi. Sì, ciò che è stato fatto non può essere annullato, neanche Dio può annullare ciò che è stato fatto. Tanta paura, dolore e tormento non possono essere dimenticati. Ma possono essere veramente ricordati? In che modo ? In che modo possiamo aprire i nostri cuori e le nostre anime al ricordo e, ancora, conoscere la speranza?”.
Non fu facile per Wiesel, internato da ragazzino e unico sopravvissuto della sua famiglia, tornare alla vita e testimoniare la sua esperienza, pubblicò “La notte” solo nel 1958 grazie alla pressione di Mauriac, riducendo un precedente lavoro apparso due anni prima a Buenos Aires. Si tratta di un volume di un centinaio di pagine appena, dedicate alla memoria dei suoi cari e portatrici di tutto l’orrore possibile, come letto purtroppo anche in altre testimonianze, con la particolarità legata al fatto che queste memorie si stamparono, indelebili e per sempre, dopo essere state esperienza viva prima e decodificazione poi operata da un ragazzo di appena quattordici anni. Come capire la notte che si apre e diventa infinita, la successione di cambiamenti che trasformano la vita in sopravvivenza, la morte che impèra ovunque, lasciate per sempre le iniziali illusioni che non permettono di stravolgere improvvisamente la sicurezza? Lo sguardo è ampio, coglie l’insieme, consegna i particolari. L’occhio del fanciullo si posa sulla donna che perde il senno, sul volto dei bambini che salgono poco dopo al cielo, trasformati in volute di fumo, gli orecchi registrano i pianti e le urla, l’olfatto rifugge l’orrore, l’ occhio indugia sui prigionieri che lavorano sotto il sole, scorge ciò che non dovrebbe vedere, si sofferma infine sul pianto degli impiccati: anche un suo coetaneo penzola, tarda a morire ma non ha pianto.
Come ricordare? Leggendo di un giovane ortodosso, dedito allo studio, desideroso di avvicinarsi a Dio, di un ragazzino che si scontra con il Male e perde il suo dio per canalizzare poi la sofferenza, da adulto, nella ricerca del bene in seno all’uomo, senza perdere la speranza. Il comitato norvegese per il Nobel lo chiamò “il messaggero per l’umanità”.
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