Dettagli Recensione
Il ritratto vivido della Barcellona inizio '900
Il suo nome è Dalmau Sala, è figlio di un anarchico giustiziato dalle autorità, esiliato e poi deceduto a causa delle torture subite, vive con la madre Josefa e la sorella Montserrat e presta i suoi servigi presso il maestro Don Manuel proprietario della “Manuel Bello Garcìa. Fabrica Azulejos”, un luogo che, superata l’insegna in ceramica azzurra e bianca, si estende tra vasche e seccatoi, magazzini e fornaci. Si tratta di una fabbrica di medie dimensioni specializzata nella realizzazione di lavori in serie e nella realizzazione di pezzi speciali disegnati o immaginati dagli architetti e dai capomastri per gli edifici o per i tanti esercizi commerciali, botteghe, farmacie, alberghi, ristoranti e locali vari che facevano della ceramica l’elemento decorativo per eccellenza. Questo è il lavoro di Dalmau: disegnare, creare progetti originali poi prodotti in serie che entrano a far parte del catalogo della ditta nonché concretizzare e sviluppare i progetti ideati dai capimastri nella costruzione di case e negozi, spesso soltanto abbozzati, o ancora, realizzare i modelli che i grandi architetti modernisti presentano a lui già perfettamente elaborati. Il disegnatore, di umili vesti e origini, lavora in uno studio accanto a quello del maestro, dispone di uno spazio proprio in cui disegnare piastrelle con motivi orientaleggianti, dai fiori di loto, alle ninfee, ai crisantemi. Aveva perfezionato l’abilità nel disegnare fiori seguendo vari corsi nella scuola della Llotja di Barcellona, dove era entrato all’età di dieci anni, una scuola che comprendeva dall’aritmetica, alla geometria, al disegno figurato, geometrico e orientale, al disegno applicato alla produzione industriale.
«In definitiva, aveva imparato tutto quello che c’era da sapere sulla posa di piastrelle e mosaici, finché, a soli diciannove anni, grazie ai suoi meriti era diventato il primo disegnatore e progettista di Don Manuel. Invidie e rancori, ovviamente, non erano mancati in una fabbrica dove a molti costava fatica obbedire a un giovane che neanche si presentava in abiti eleganti, con tanto di cappello, e che, fino a poco tempo prima, lavorava in ginocchio accanto a loro; tuttavia, il talento e la professionalità di Dalmau avevano ben presto dissipato i malumori»
Follemente innamorato di Emma Tàsies, una donna abile nei lavori in cucina e per questo impiegata in una trattoria, dai seni grandi e sodi, il ventre piatto, la vita stretta e i fianchi tondi, una donna voluttuosa e molto ben proporzionata, il viso ovale dagli occhi grandi e castani, labbra carnose e zigomi pronunciati e naso dritto, deciso che ne annunciava il temperamento e il carattere determinato e indipendente, Dalmau è preoccupato per le stesse ideologie rivoluzionarie che la caratterizzano e che sono proprie anche della sorella.
Siamo a Barcellona nel 1901. La vita dei protagonisti è caratterizzata da grandi tensioni sociali; la miseria delle classi più deboli si scontra con il lusso delle classi più forti, con la rivoluzione industriale e le sue continue e inarrestabili evoluzioni, con il sopraggiungere di una nuova e rivoluzionaria stagione artistica, quella del Modernismo. Le classi operaie non rifuggono agli scioperi, alle proteste, anche se ciò può comportare un prezzo molto alto da pagare. Montserrat, a sua volta anarchica come il padre e il fratello maggiore dei tre, Tomàs, di fatto soltanto una libertaria che aspira al bene comune e ad abolire la schiavitù degli operai affinché tornino ad essere liberi, un’ingenua idealista, lo constaterà sulla propria pelle nel momento in cui verrà arrestata e condotta nel carcere di Amalia, luogo dove subirà molteplici violenze, anche sessuali. Come tirarla fuori? Come salvarla da quell’accusa di ribellione e di aggressione a un soldato che aveva addirittura graffiato oltre che colpito tanto da finire sotto la giurisdizione del tribunale militare e non più civile? C’è soltanto una persona che può aiutare la donna e quella persona è Don Manuel che, come ha salvato Dalmau dall’obbligo militare pagandone l’esonero, può intervenire a favore della diciottenne ma ad una sola condizione: la sua conversione al cattolicesimo.
Da questi brevi assunti ha inizio “Il pittore di anime” un romanzo ricco di spunti di riflessione e stratificato che conduce il lettore alla riscoperta di un periodo storico di grandi mutamenti fatto di luci e ombre che si susseguono ed intersecano tra loro.
L’autore non si risparmia nella narrazione, riesce a ben bilanciare le vicende storiche con quelle dei personaggi che in un crescendo costante invitano a proseguire nella riscoperta delle vicende in quello che è un romanzo emozionante in cui non mancano i sentimenti, non manca la solidarietà, non manca l’amore, non manca il cambiamento. L’impressione del conoscitore man mano che il testo si apre nelle varie danze è proprio quella di trovarsi innanzi ad un quadro che viene dipinto pennellata dopo pennellata. L’opera si dipana in un lasso temporale ampio, tocca molteplici problematiche, affronta la crisi economica, affronta la povertà, il corpo privato della sua dignità per la sopravvivenza, affronta la menzogna, la malattia, la voglia di riscatto, la vendetta personale, la ribellione, l’ingiustizia e molto molto altro ancora. I personaggi sono tutti magistralmente costruiti e le descrizioni delle ambientazioni che li accompagnano per mano rendono il componimento ancora più vivido e veritiero nella mente di chi legge. Il tutto partendo dalla dicotomia tra lotta operaia e classe ricco borghese incrollabilmente di fede cattolica, il tutto partendo dalla dicotomia tra ribellione alla grigia tradizione e società in evoluzione.
Il risultato è quello di uno scritto godibilissimo, che si fa divorare, che cattura pagina dopo pagina e che mantiene alta la qualità delle opere a firma Ildefonso Falcones. Diverso da opere quali “La cattedrale del mare” ma non per questo a loro inferiore. Tra le pagine il Falcones a cui siamo abituati si ritrova interamente, in ogni suo corollario e in ogni sua sfumatura. È un volume, ancora, che ricorda, a tratti, lo stile e l’impostazione di Ken Follett ne “La trilogia del Novecento” e per questo mi sento di consigliarlo a tutti coloro che amano il romanzo storico nonché i libri di sostanza e di spessore.
«Bisogna andare avanti, ma non credo che tornare al monumentalismo, all’architettura che cerca una bellezza monumentale o addirittura la manifestazione del potere, e che alla fin fine si sottomette ai dettami della politica, sia paragonabile al Cubismo o al Surrealismo, che sono le massime espressioni dell’indipendenza e della libertà interpretativa dell’artista. Nel Noucentisme e nelle altre correnti simili che si diffondono in tutta Europa, le istituzioni si arrogano il diritto di promuovere l’arte pubblica, l’arte urbana, e lo fanno secondo la loro ideologia, che ancora una volta tentano d’imporre al pubblico» p. 673
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