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"Un romanzo della Cornovaglia"
Esistono romanzi capaci di trasportare lontanissimo nel tempo e nello spazio, di soffiare l’alito della vita in ciò che è morto e sepolto o non è mai esistito. Esistono romanzi meravigliosi e "Ross Poldark" di Winston Graham è uno di questi.
Cornovaglia, 1783. Il giovane capitano Poldark rientra in patria dopo aver combattuto nella Guerra di indipendenza americana e scopre che il suo piccolo mondo è cambiato completamente: suo padre è morto, la casa e le proprietà di famiglia cadono a pezzi e la ragazza con la quale, prima di partire, ha scambiato promesse d’amore sta per sposare suo cugino Francis. Ross crede di aver perso tutto ciò che possedeva o che pensava di possedere, ma la sua storia inizia adesso, in una terra aspra e bellissima, la Cornovaglia. Un’ambientazione che non è mai solo uno sfondo, ma quasi un altro personaggio, dilaniata dalla crisi economica e dai conflitti sociali, con il suo mare impetuoso, le alte scogliere battute dal vento, le spiagge dove approdano i relitti dei naufragi, le valli fiorite, le miniere che sono una maledizione e al tempo stesso l’unica speranza di salvezza per gli abitanti del luogo, i contadini che muoiono di fame, i minatori che lottano per poter lavorare, i nobili nella loro splendente decadenza tra balli e ricevimenti, una classe borghese in ascesa che espande sempre più il proprio potere e reclama un nuovo posto nella scala sociale. Il sottotitolo del libro, in fondo, è Un romanzo della Cornovaglia e se "Ross Poldark" è indubbiamente un romanzo storico, una saga familiare, un romanzo sociale nel quale i problemi socioeconomici del tempo diventano a volte il vero e proprio motore della narrazione, è anche e soprattutto un grande affresco di un mondo che non esiste più, eppure diventa straordinariamente vivo e pulsante tra le pagine.
Sebbene sia solo il primo volume di una lunga saga (ben dodici romanzi, sei dei quali già pubblicati in Italia da Sonzogno, che ha dichiarato di voler pubblicare anche i rimanenti), "Ross Poldark" non è un romanzo introduttivo ed entra subito nel vivo della trama. Lo stile è asciutto, descrittivo senza mai essere prolisso, fondato su un sapiente equilibrio tra eventi e pause, dialoghi e descrizioni. Si avverte con chiarezza che l’autore ha un progetto ben preciso in mente e nel corso della lettura non si ha mai la sensazione che una vicenda si stia trascinando inutilmente solo per riempire le pagine, come spesso accade nel caso delle saghe, soprattutto se molto lunghe. La conclusione, anzi, sembra arrivare troppo presto e lascia un gran desiderio di avere subito tra le mani il volume successivo per tornare nella Cornovaglia del tardo Settecento e continuare a seguire vicende e personaggi così efficacemente tracciati da diventare, per chi legge, quasi una parte di sé.
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Commenti
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Grazie e ciao, Manuela
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Al momento attende, ma il testo m'incuriosisce.