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Lady Oscar senza Lady Oscar. In Russia
“Il Palazzo d’Inverno” è un romanzo storico ambientato nella suggestiva cornice della San Pietroburgo di metà settecento, e si concentra soprattutto sull’ascesa della futura Caterina II, detta la Grande, una tra le più amate zarine di Russia. In originale, questo sarebbe il primo libro in una duologia, ma in Italia la pubblicazione si è interrotta con questo volume, quindi lo considereremo uno stand alone.
Protagonista e voce narrante degli eventi è la giovane Varvara, umile figlia di un legatore la cui abilità riesce a strappare all'imperatrice Elisabetta I la promessa di occuparsi della figlia se dovesse rimanere orfana. Per merito di questo accordo, Varvara entra a servizio nel maestoso Palazzo d'Inverno in veste di cucitrice per poi diventare una delle “lingue” di corte, a metà tra una spia e una flâneur, grazie alla sua abilità nel passare inosservata e poter così origliare le conversazioni private dei cortigiani.
A cambiare il destino della protagonista è l'arrivo a corte della principessa Sofia di Anhalt-Zerbst, destinata a sposare il granduca Pietro, nipote ed erede di Elisabetta. Varvara avvicina la giovanissima principessa per spiarne le mosse, ma rimane ben presto toccata dal suo animo ingenuo e gentile, arrivando così a decidere di aiutarla nell'insidioso ambiente del palazzo imperiale.
Il volume affianca il procedere degli avvenimenti storici, come il matrimonio tra Caterina (nome di Sofia dopo la conversione alla fede ortodossa) e Pietro o gli interminabili lavori dell'architetto Rastrelli per dare vita al nuovo Palazzo d'Inverno, alla vita privata di Varvara, riuscendo a mantenere sempre un buon ritmo di narrazione che incalza il lettore e lo mantiene interessato alle vicende raccontate.
Punto di forza del romanzo sono indubbiamente i suoi personaggi, sia quelli fittizi che le figure storiche.
L'imperatrice Elisabetta ottiene un ruolo d'enorme rilevanza e il suo comportamento, sempre in bilico tra la compassione e l'egoismo, la rende un personaggio davvero credibile. La vediamo spesso preda della vanagloria, circondata com'è da uno stuolo di cortigiani interessati soltanto a compiacerla
«Le piace [ad Elisabetta] sentici ripetere che dal giorno in cui è salita al trono a nessuno è stata tagliata la testa, ma ci proibisce di menzionare lingue e orecchie.»
e dell'ira più funesta quando gli eventi non seguono il percorso da lei desiderato
«-L'ho portata qui per riprodursi, non per leggere!-, urlava [Elisabetta] facendosi sentire da tutti quando riceveva l'ennesimo rapporto sull'arrivo delle mestruazioni di Caterina. -Ma chi si crede di essere?»
ma anche capace di gesti d'affetto, come quando cura personalmente il nipote malato.
Un altro personaggio storico molto interessante è il cancelliere Bestužev, viscido e cospiratore come ci si aspetta da una figura del genere. Ricorda per molti versi l'altrettanto ambiguo Ditocorto della serie Le cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin, specie quando scopiazza l'iconica battuta di Cersei Lannister
«-Se giochi al gioco di palazzo, puoi vincere o perdere-, mi disse quella notte il cancelliere, accarezzandomi il seno. -Anche tu potresti ritrovarti al punto di partenza.»
eppure rimane lucido fino alla fine ed è il solo ad aprire gli occhi a Varvara sulla vera natura di Caterina.
E arriviamo finalmente a Caterina! Questa dovrebbe essere la sua storia, eppure l'autrice riesce a renderla il personaggio più odioso di tutti: per gran parte del libro si dimostra fiacca e sottomessa, limitandosi a piagnucolare per ottenere quello che vuole, mentre nelle ultime cinquanta pagine il suo carattere viene stravolto e si trasforma in una monarca forte e decisa. Ho trovato inoltre ridicolo il doppiopesismo nel valutare i suoi comportamenti in relazione a quelli del marito Pietro; ad esempio, entrambi tradiscono il coniuge, ma lui viene dipinto come crudele fino al ridicolo mentre per lei quelle solo le uniche occasioni in cui poter provare un pizzico di libertà.
Ottima la caratterizzazione della protagonista, che con l'avanzare della narrazione acquista sempre maggiore consapevolezza e determinazione, ottenendo una crescita davvero significativa. Tra i personaggi secondari invece, il mio preferito si è rivelato essere Egor', scelta inaspettata se si pensa al suo ruolo iniziale, ma i lettori come la protagonista imparano a conoscere nuovi aspetti del suo carattere e a rivalutare la prima opinione di lui.
Alla Stachniak vanno tutti i miei complimenti per l'enorme lavoro di ricerca alla base del libro, sia per narrare gli eventi storici sia per ricreare l'atmosfera della Russia di quell'epoca, con tutte le bizzarre superstizioni e le leggende folkloristiche che influenzavano le vite degli poveri servi della gleba come dei potenti di palazzo. Apprezzo anche la scelta di ricorrere a molti termini in russo, per quanto le pronunce siano difficoltose almeno al pari dei nomi propri
«Barbara, o Basie?ka, mi chiamava mia madre. In polacco, come in russo, un nome può trasformarsi in molti modi. [...] In russo, sono diventata Varvara.»
Lo stile invece non mi ha convinto del tutto: ci sono spesso delle ripetizioni inutili, come quando questa frase:
«Tutte le padrone di casa di San Pietroburgo desideravano averlo [Sergej Saltykov] come ospite.»
viene seguita, una decina di righe dopo, da quest'altra:
«Era un ambitissimo ospite d'onore nei salotti di San Pietroburgo, Sergej con le palpebre abbassate, [...]»
Non ho apprezzato troppo neanche il continuo ricorso alle interrogative dirette, che vanno sovente a comporre interi paragrafi.