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Un'immersione nell'ebraismo
Questo romanzo del Premio Nobel I.B. Singer, scritto nel 1977 e dal sapore fortemente autobiografico, rappresenta una completa immersione nel mondo ebraico dal quale lo stesso autore proviene. Il libro si inserisce in quel filone che si concretizza nell'orgogliosa rappresentazione della tradizione "del popolo eletto", con tanto di elencazione dei riti legati ai momenti clou del calendario (come lo Yom Kippur, lo "sukkot" o festa delle capanne), oppure al rispetto dei divieti e degli obblighi descritti nella Torah validi per tutti gli ebrei osservanti. Singer tuttavia non si limita alla celebrazione in quanto non risparmia una serie di riflessioni dalle quali scaturiscono quelle domande e quei dubbi così tipicamente umani sul tema della fede, della provvidenza e delle ingiustizie riservate agli ebrei (“Strano come un popolo che era in esilio già da duemila anni, ed era sopravvissuto a espulsioni, inquisizioni, crocifissioni, e che perfino oggi, nel ventesimo secolo, era confinato in una Zona di residenza, fosse rimasto così devoto a un Dio della cui esistenza non c’era alcuna traccia, e continuasse a obbedire a una Legge scritta in un libro sacro chissà da quando e chissà da chi!”). Queste considerazioni devono poi essere collocate nel contesto storico in cui il libro è ambientato: la Polonia del 1911 ancora sotto il giogo della dominazione russa, in cui gli ebrei venivano considerati il "capro espiatorio" verso i quali convogliare i malumori della gente in un Paese ancora fortemente arretrato e tutt'altro che libero, anche se cominciavano a emergere quegli elementi storici che da lì a pochi anni avrebbero completamente stravolto l'impero russo con l'avvio della rivoluzione. Si evidenziano infatti quei segnali di una progressiva emancipazione dei popoli che avrebbe interessato l'intera società europea, donne comprese (“Ieri ho letto sul giornale che a Parigi le donne hanno cominciato a portare i pantaloni”).
In questo contesto si muovono i personaggi di Singer, a partire dalla protagonista principale, l'ex prostituta Keyla ed il marito Yarme, ladruncolo e truffatore (“Capitava di rado che una femmina già passata per tre bordelli si sposasse….Era un segno del cielo riservato a tutte le puttane di Varsavia: non dovevano perdere la speranza, l’amore avrebbe continuato a governare il mondo”). Nel romanzo si denotano chiaramente i loro limiti oltre a quelli di altri personaggi co-protagonisti, come il criminale Max, attraverso i quali l'autore non risparmia denunce e critiche a episodi del novecento spesso rimasti nascosti tra le pieghe della storia ebraica, come ad es. la tratta di giovani prostitute da parte di ebrei in America Latina. Tuttavia, nonostante il suo passato, tra tutti gli attori che si muovono su questo palcoscenico, è Keyla la figura che si eleva per la sua umanità ed innocenza e che risplende rispetto alle bassezze umane messe in atto dal marito Yarme e dal (presunto) amico Max. Keyla è emblematica nella rappresentazione di quel senso di colpa tipicamente ebraico che Singer le attribuisce con l’intento di descrivere così un intero popolo. Vale infine la pena evidenziare, a dimostrazione del realismo di quest'opera molto consigliata, come in tutto il romanzo lo scrittore non risparmi l'impiego di un linguaggio spesso crudo e triviale ma assolutamente coerente con la storia e le bieche azioni di taluni protagonisti (“Se vuoi vivere e godertela, farai quello che ti diciamo noi. Troia! Baldracca! Puttana! Zoccola!” ).
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Mi sono arrabbiata tutte le volte che la povera Keyla cercava di riscattarsi, di diventare "pia"...ma succedeva sempre qualcosa che glielo impediva! È vero ciò che dici...rispecchia in un certo senso il bisogno di purificazione, di espiazione di un intero popolo. Bella recensione!
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