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Il castello bianco
 
Il castello bianco 2019-05-20 06:23:53 kafka62
Voto medio 
 
3.3
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
kafka62 Opinione inserita da kafka62    20 Mag, 2019
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IL SOSIA TURCO

Quello del doppio è da sempre uno dei temi più sfruttati dalla letteratura mondiale, soprattutto dell’Ottocento: limitandoci ai classici più famosi, si possono citare “Lo strano caso del dottor Jekyll e mister Hyde” di Stevenson, “Il sosia” di Dostojevskij e “William Wilson” di Poe. Orhan Pamuk, ne “Il castello bianco”, oltre ai normali ingredienti insiti nel genere (lo sdoppiamento della personalità, la labilità dell’io), vi aggiunge una prospettiva insolita, quella del rapporto tra Oriente e Occidente. Nel rapporto tra il giovane veneziano catturato dai Turchi e il notabile ottomano di cui è divenuto schiavo viene infatti adombrato l’incontro-scontro tra due civiltà, ognuna con la sua cultura, la sua scienza e le sue tradizioni. Più che l’antagonismo tra i due (che pure esiste, nelle varie sfumature dell’invidia, della gelosia, della diffidenza e dell’avversione vera e propria), emerge dalla pluridecennale convivenza tra i due uomini, coetanei e simili nell’aspetto tanto da sembrare gemelli, una reciproca curiosità, che diventa ben presto morbosa ossessione di conoscere quello che è contenuto nella mente dell’altro. Il Maestro e il narratore (intercambiabili anche nella vita pubblica, astrologo di corte il primo e apprezzato consigliere del Sultano il secondo) condividono fortune e fallimenti, passioni scientifiche e filosofiche, e perfino i minuti fatti del loro passato, in una sorta di transfert psicanalitico che li porta ad essere una “strana” coppia dai confini individuali sempre più sfumati, non solo nei confronti degli estranei, ma anche di loro stessi. La fuga del narratore in un’isola solitaria durante la peste che affligge la capitale è l’anticipo di quella sostituzione, tacitamente concordata durante la fallimentare spedizione militare in Polonia, per mezzo della quale il Maestro fugge dall’accampamento per raggiungere l’Italia nelle vesti del narratore, e quest’ultimo prende il posto del Maestro, ognuno dei due calandosi definitivamente nell’esistenza dell’altro e realizzando in tal modo una completa simbiosi.
Lo stile di Pamuk è volutamente datato (sulla falsariga di un Potocki, tanto per fare un esempio) e assai poco moderno. Ciò crea un effetto sicuramente straniante: ambientazione seicentesca, stile ottocentesco, tematica contemporanea. A ciò si aggiunge un andamento del romanzo che, attraverso i molteplici mutamenti reciproci che avvengono nel rapporto tra i due protagonisti e tra questi e il Padiscià (prima è il Maestro ad essere nelle sue grazie, successivamente è il suo schiavo ad essere chiamato a corte in virtù del suo sapere, e così via in una sorta di monotono andirivieni con destinazione il palazzo del Sultano, a cui seguono lunghi e snervanti periodi di tediosa attesa), diventa col tempo sempre più ambiguo e psicologicamente aggrovigliato (le domande “perché io sono io” o “chi è chi?” sono il leit motiv dominante). Alla fine ci accorgiamo che, non avendo mai messo in dubbio le affermazioni del narratore (come sarebbe del resto avvenuto con qualsiasi romanzo dell’Ottocento), ci siamo dimenticati della figura dell’autore. E siccome “Il castello bianco” si propone dichiaratamente come un racconto partorito da una mente incline alle divagazioni fantastiche (si vedano i racconti pieni di sogni o di animali immaginari allestiti per il Sultano), nelle ultime pagine sorge il dubbio, e l’espressione di Evliya Celebi (il primo fantomatico lettore del manoscritto) ce ne dà un’ulteriore riprova, che tutto quanto abbiamo letto fino ad allora non sia mai avvenuto ma sia solo una fantasia. Più di ogni altra cosa, è proprio questa vertigine (in cui si adombra il senso ultimo di ogni creazione artistica) che il lettore si porta dietro al termine di questo elegante, fascinoso ma, ad essere sinceri, anche un po’ ostico gioco di scatole cinesi.

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Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
"L'uomo duplicato" di José Saramago
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Commenti

6 risultati - visualizzati 1 - 6
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Ciao Giulio, mi hai incuriosito per metà, nel senso che mi ha messo un po' in crisi la non congruenza tra stile ambientazione e tematica, ma forse non è così stonante. Ho letto tutte le opere da te indicate e posso dire che mi sono piaciute, con un po' di riserve su Saramago dove mi aspettavo più introspezione. Di Pamuk non ho mai letto nulla, terrò in considerazione il testo ;-).
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kafka62
20 Mag, 2019
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Ciao Ioana, devo confessarti che Pamuk non mi ha propriamente entusiasmato, e non so al momento se gli darò una seconda chance (ho comunque "Il mio nome è Rosso", "Neve " e "Istanbul" in libreria). Anche se "a pelle" non c'è stata una vera e propria infatuazione, nella recensione ho cercato di essere il più obiettivo possibile, perché il romanzo ha più di un motivo di interesse (nonostante che la bellissima idea di partenza non sia sorretta da uno stile memorabile).
P.S. In effetti "L'uomo duplicato " non è tra i migliori romanzi di Saramago, si può anzi definire un'opera minore del maestro portoghese.
Ciao Giulio! Devo dire libro che mi lascia piuttosto indifferente vista anche la tua tiepida accoglienza salto volentieri. Invece ho comprato giusto ieri "Domani nella battaglia pensa a me", ricordandomi del tuo bel commento ;)
Un'altra bella recensione, Giulio. Però, non è fra i migliori testi dell'autore, dunque?!
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kafka62
22 Mag, 2019
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Ciao Daniele, vedrai che Marias non ti deluderà.
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kafka62
22 Mag, 2019
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Ciao Emilio, credo che Pamuk sia consigliabile soprattutto a chi è interessato al rapporto tra Oriente e Occidente, che l'autore turco affronta da prospettive abbastanza originali e insolite. Non so purtroppo dirti quale sia il suo romanzo migliore, forse (da quello che ho potuto reperire in rete) "Il suo nome è Rosso".
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