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MA è tutto vero?
All'inizio il libro è la solita agghiacciante testimonianza di un reduce dai campi di sterminio della Germania nazista. Il protagonista- il romanzo è autobiografico- è un ragazzino ebreo ungherese di 14 anni. Mentre sta andando a lavorare come al solito con altri coetanei ebrei, viene fatto scendere dall'autobus dalla polizia ungherese assieme agli altri ragazzini ebrei. Il poliziotto sembra avere simpatia per loro e tutto sembra un gioco. Mentre sono in stato di fermo, gli viene offerto molto gentilemente e come opportunità di andare volontari in Germania a fare un lavoro molto ben retribuito. In molti partono sperando in quel "trattamento migliore" promesso. Il treno fa prima tappa ad Aushwilz dove persone poco raccomandabili con vestito a righe, con facce adunche da ebrei, in una lingua strana fanno capire ai ragazzini (ce ne sono parecchi) che non devono mai dire di avere 15 o peggio 14 anni ma almeno 16. Il protagonista ne dichiara 16 e così può proseguire la sua permanenza ad Aushwitz e poi in altri campi. Nel libro c'è un confronto tra campi per abitudini di sterminio e razioni alimentari. Fin qui, abbiamo il solito toccante racconto fatto anche da altri. All'inizio il lettore vede le cose con gli occhi del ragazzino che sono un po' ottusi e faticano a capire e vedere il male intorno a sè. Poi, fame e fatica e la persucuzione di un carceriere hanno la meglio, il ragazzo si lascia andare, perde la voglia di vivere e la forza fisica e la malattia ha il sopravvento. Da qui inizia una testimonianza incredibile, surreale eppure, credo, reale:l'esperienza della solidarietà e della bontà nel lager. Solidarietà che viene non solo dai compagni, il che in quelle condizioni di vita non doveva essere comune, ma da parte di personale del lager come medici, ad esempio, tedeschi.
E comunque la presenza in un campo di un'oasi con letti veri e trapunte colorate ha dell'incredibile. Come il fatto che gente che ha fatto un credo politico dello sterminio di massa poi abbia permesso ad alcuni dei suoi di adoperarsi per curare chi andava sterminato. Insomma quelle imbottite colorate che compaiono nel lager su letti veri sono come delle farfalle in volo su una distesa di neve. Ancora non mi capacito di questo libro. Comunque credo proprio che la storia sia vera. Anche il finale mi è piaciuto per il senso di orgoglio e la consapevolezza che la discesa all'inferno dei lager ha dato, a chi l'ha vissuta, una possibilità di comprensione del reale che manca a tutti gli altri. Questa capacità di penetrazione profonda e ampia contrasta con la visione "debole" del ragazzino dell'inizio del romanzo quando lui sembrava non capire nulla del mondo e del male che aveva intorno a sè.
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Complimenti!
Vale.
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