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Un uomo giusto
Fra i suoi diciotto romanzi, “Lo schiavo” è sicuramente uno di quelli da non farsi sfuggire; pubblicato nel ’62 partecipa con peso specifico alla prolifica stagione creativa che, dal primo romanzo “Satana a Goraj”, porta l’autore, passando per il successo di critica e di pubblico de “La famiglia Moskat”, al premio Nobel del ’78.
È una storia ambientata nel 1600, in una Polonia sferzata da venti gelidi e cosacchi a cavallo, piegata inoltre da una miriade di credenze superstiziose che si vorrebbero derivate dalle grandi religioni monoteiste, senza derivazione alcuna in realtà. La gente è povera, subisce la prepotenza di pochi che la governano, l ‘ebreo, in questo contesto, patisce ancor di più per i ripetuti pogrom e la superstizione aiuta gli animi a sopportare le violenze e le sopraffazioni.
Simbolo della condizione ebraica, racchiusa in un ampio raggio che va dalla sottomissione a Dio, alla ritualità passando per l’intrinseca condizione di esule senza patria, è Jacob, un giovane uomo al quale i cosacchi sterminano la famiglia, moglie e figli, e che in seguito viene venduto a cristiani che, in qualità di schiavo, lo sfruttano per il lavoro nei campi e con gli animali, mentre la comunità del villaggio ospitante ne fa il capro espiatorio di ataviche paure.
Pende su Jacob una condizione di eterna precarietà, potrebbe essere ammazzato per nulla, mentre rassegnato coltiva, per quanto possibile, la sua fede in Dio, mantenendo o recuperando il patrimonio di conoscenze e di riti che la sua precedente condizione di benestante gli aveva assicurato. Ora è un povero schiavo e solo la fede lo consola; l’incontro con Wanda e il successivo legame amoroso-al quale si opporrà con tutte le sue forze perché è vietato per un ebreo legarsi con una gentile- lo porteranno a vivere gioie e dolori, a scontrarsi con le ipocrisie delle due comunità religiose e a sperimentare una nuova condizione servile, rimpiangendo in lui e negli altri la possibilità di godere di piena libertà.
Rimarrà sempre un uomo giusto trascendendo le prescrizioni imposte dalla legge religiosa, seguendo una morale e un’etica che, pare dire Singer, appartiene prima all’individuo poi alla fede. Il romanzo contempla tutta la sua esistenza mentre l’epilogo, bellissimo, ne consegna il suo profondo significato.
Magistrale rappresentazione realistica di un mondo crudele: si fa in fretta a opporlo al nostro, progredito e civile e a distanziarlo così tanto da chiedersi se in fondo in questo nostro mondo, immutato nelle intolleranze religiose, incapace ancora di perseguire il bene, specchio di una finitezza umana misera e votata all’odio, ci siano poi degli uomini giusti che possano farci da guida.
Indicazioni utili
Singer, Satana a Goraj
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