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Un western tra alti e bassi
Credo che I romanzi western siano tra i più difficili da scrivere: è facile eccedere in crudezza, ma lo è anche scrivere qualcosa che non colpisca abbastanza.
Kazuo Ishiguro ha definito “Giorni senza fine” di Sebastian Barry il romanzo dell’anno; io l’ho trovato un buon western ma nulla più, un romanzo coi suoi pregi ma anche coi suoi difetti.
Lo stile dell’autore è particolare e vorrei spenderci qualche parola. In primis caratterizza piuttosto bene il protagonista e si sforza di adattarsi al suo modo di parlare e di esprimersi: un po’ alla Huckleberry Finn, o alla Holden, se preferite. In certi tratti l’autore racconta la storia con una forza impressionante; mi riferisco soprattutto alle scene d’azione, di battaglia, oppure nei momenti di particolare difficoltà che colpiscono i protagonisti. Di contro però, le pagine che intercorrono tra questi momenti di grande potenza narrativa, sono piuttosto pesanti e tendono a far vagare l’attenzione del lettore, soprattutto nei tratti in cui l’autore si sofferma sui viaggi dei protagonisti tra i paesaggi tipici del Far West. C’è da dire che questi sono una caratteristica peculiare del genere, dunque ci sta la loro presenza, però in questo romanzo li ho sofferti un pochino in più.
Tralasciando lo stile, la storia strizza l’occhio ad argomenti attuali come il razzismo e l’omosessualità, ma devo dire che soprattutto riguardo a quest’ultimo aspetto e alla figura del protagonista, la cosa mi è sembrata forzata e un po’ fuori contesto, ma è un mio giudizio personale.
Thomas McNulty è un irlandese fuggito dalla sua terra natia quando era ancora un ragazzo, sbarcato in quell’America che sembra carica di promesse ma che sembra essere ancor più crudele dell’Irlanda che ha lasciato. All’inizio incontra John Cole, un ragazzino diffidente che però diventa subito suo amico e compagno tra le disavventure che si troveranno ad affrontare. Insieme conosceranno gli orrori della miseria, che li costringerà a fare gli “attori” prima in un bar e poi in un teatro; conosceranno la guerra, prima contro orde di indiani sanguinari e poi contro i Sudisti, nella guerra di Secessione; conosceranno le privazioni e la fame a cui ti costringe la prigionia.
In mezzo alla bruttura però, ci sarà spazio anche per un fiore che allieterà le loro vite: Winona, figlia di indiani della quale decideranno di prendersi cura, e che dopo un po’ di tempo imparano ad amare come se fosse figlia loro.
Una lettura a tratti cruda, a tratti tenera, con attimi potenti e frenetici e attimi placidi e lenti.
“Con tutto che eravamo afflitti e decimati, qualcosa ci era rimasto. Qualcosa che l’alluvione e la fame non erano riuscite a spegnere. La volontà umana. Roba da levarsi il cappello. L’ho vista tante volte. Non è così rara. È il meglio che abbiamo.”
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Commenti
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nemmeno io lo conoscevo... ammetto che sono stato attratto in primis dalla copertina, e in seguito dalla trama. Credo che possa valere la pena approfondire l'autore, nonostante quest'opera non sia esente da difetti evidenti.
Vale.
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