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Tra la pantomima e la vera guerra
Premetto che ho letteralmente amato "1984" e "La fattoria degli animali", e anche "Giorni in Birmania" mi è piaciuto parecchio. È molto chiaro fin dal principio però, che "Omaggio alla Catalogna" è un'opera molto diversa da quelle sopracitate: autobiografica, estremamente accurata nella descrizione del contesto della guerra civile spagnola. Lo stile di Orwell è un po' diverso da quello a cui ero abituato, forse proprio perché cerca di rendere al meglio quello che è stato il suo vissuto durante quel periodo, e in fondo quello di un po' tutta la Spagna.
Sarò sincero, non l'ho amato follemente e in certi tratti mi è sembrato un po' pesante, senza nulla voler togliere ai contenuti e alla bravura dell'autore; ma da quel che leggevo in giro mi ero fatto un'idea diversa. Non l'ho trovato così coinvolgente. Non avrei dovuto aspettarmelo considerando che si tratta quasi di una cronaca di guerra, ma altre opinioni in giro per il web mi hanno fatto ben sperare. Ci sono sprazzi in cui Orwell si mostra in tutto il suo immenso talento di narratore, come quando racconta il momento in cui è stato colpito da una pallottola, e altri che mi hanno messo in una condizione di stallo angoscioso, ma che tuttavia mi rendevo conto essere essenziali per rendere bene il contesto.
Ammetto che mai come in questo caso la mia considerazione sia del tutto opinabile; non me ne vogliano gli amanti di questo libro e non me ne voglia Orwell, che magari si starà rivoltando nella tomba.
Come dicevo prima, in questo libro assistiamo al momento in cui Orwell sveste i panni di giornalista e scende in campo in prima linea nella guerra civile spagnola, tra le file del POUM. La prima parte racconta della sua esperienza al fronte, di questo gruppo di miliziani per nulla addestrati, armati di fucili difettosi o non armati affatto, per la maggior parte del tempo impegnati soltanto a patire il freddo e le ristrettezze. Sì, al fronte la guerra sembra non voler avere inizio e tutte le azioni che vengono svolte sul campo appaiono quasi insensate, come si volesse illudere se stessi e il Paese che si sta lottando. Non sembra una guerra, ma la pantomima di una guerra, come ammetterà lo stesso Orwell.
Dal fronte ci si sposterà agli scontri tra le fazioni politiche, tra gli operai e la polizia, nel bel mezzo delle strade di Barcellona. Quello che emerge è l'incredibile stato di caos che regna tra i vari schieramenti: in certi momenti non si riesce neanche a capire chi sia il nemico, perché lo si combatta, chi si trovi dalla parte giusta e chi da quella sbagliata.
In questo contesto procede il racconto di Orwell di un periodo della sua vita che, come si evince dalle sue stesse parole, parve una perdita di tempo nel momento in cui lo aveva vissuto, ma che a mente fredda, molti anni dopo, ha riconosciuto come uno dei periodi più importanti della sua vita e che lo ha segnato profondamente.
"Sul nostro treno gli uomini che stavano abbastanza bene da reggersi in piedi erano andati ai finestrini a salutare gli italiani mentre ci passsavano accanto. Una stampella fu agitata fuori dal finestrino; braccia bendate salutarono a pugno chiuso. Era una specie di quadro allegorico della guerra; un treno pieno di truppe fresche sfilava con orgoglio su un binario, mentre sull'altro scivolavano piano i feriti e ogni tanto i cannoni sui pianali facevano sobbalzare il cuore, come sempre fanno i cannoni, e rinnovavano quella perniciosa impressione, di cui è così difficile sbarazzarsi, che dopotutto la guerra è veramente un'impresa gloriosa."