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Due barbarie parallele
Arturo Perèz Reverte ambienta il suo ultimo romanzo Il codice dello scorpione nel 1937, ai tempi della guerra civile spagnola. E compie una scelta coraggiosa: usa lo spionaggio per raccontare una pagina ancora oscura di quella guerra, che ha caratterizzato la Spagna dal luglio del 1936 all’aprile 1939. Il protagonista non è più l’affascinante capitano Alatriste, ma un altro personaggio dal fascino indiscusso: Lorenzo Falcò. Ha trentasette anni, proviene da una buona famiglia di cui ha deluso le aspettative imbracciando una carriera militare, che pareva risolutiva, ma che in realtà gli ha permesso di percorrere la strada del contrabbando e dell’avventura fine a se stessa. Lorenzo è un bell’uomo, piace ad un nugolo di donne, si profuma di Varon Dandy, fuma Players, beve cocktail e soffre di frequenti mal di testa. Spia senza apparenti scrupoli, addestrato in un campo segreto della Guardia di Ferro rumena, non ha patria, è disilluso, e non crede di avere futuro.
Viene mandato ad Alicante per una pericolosa missione, voluta dai vertici della Falange, eseguita in collaborazione con gli alleati tedeschi.
Il romanzo si svolge nell’autunno del 1936, ma la guerra nel romanzo è confinata sullo sfondo. Tutto il libro è incentrato sullo spionaggio, sul suo mondo occulto e sugli ambigui giochi di potere. La ricostruzione storica è minuziosa, e la scelta terminologica particolare. L’autore descrive i due fronti, franchista e repubblicano, come:
“due barbarie parallele”.
Per cui il franchismo è:
“uno sterminio sistematico di tutto ciò che odorava di democrazia, libertà e ateismo.”
La Repubblica è:
“uno sproposito di improvvisazione, opportunismo e demagogia.” .
E nessuno è innocente,
“Forse i bambini e i cani. Anche se dei bambini non sono sicura. Alla fine crescono sempre.”.
E’ un sordido mondo quello descritto da Arturo Perèz Reverte, sia che siano tedeschi che sovietici che patrioti repubblicani o fascisti.
Un romanzo che non può che intrigare ed affascinare il lettore, trascinando in un mondo spietato e privo di qualunque qualità. Un’ambiguità di fondo che è sia storica che politica, ma che viene descritta splendidamente.