Dettagli Recensione
“Un pretesto per le cattive maniere!"
Il romanzo, nei suoi momenti migliori, sta in delizioso equilibrio tra tecnica e cuore.
Tecnica, con i giusti ritmi narrativi, con dramma e ironia sapientemente dosati e con una capacità di introspezione che rende da subito vivi i personaggi.
Cuore, perché a nulla varrebbe il talento dello scrittore senza il suo amore per l'Austria e la nostalgia dei fasti di un glorioso passato imperiale.
Il guaio è quando l'aspetto sentimentale prevale su quello razionale, rendendo la narrazione un po' romanzata e, nella parte finale, troppo evidente il punto di vista di chi scrive, con lunghi soliloqui messi in bocca ad uno dei protagonisti.
Un limite di cui Lothar era evidentemente consapevole, non facendo mistero della sua intenzione di scrivere “un romanzo in cui si specchiasse un tragico destino che si fa beffe dell'inverosimiglianza”.
Ma non si renderebbe giustizia a quest'opera se si parlasse solo dei suoi limiti ignorandone i notevoli pregi: è un gustoso excursus su un periodo storico di grandi travolgimenti per l'intera Europa, dietro le quinte di un Impero, quello austro-ungarico, che passò da cinquantacinque milioni di sudditi a sette milioni di abitanti di una Repubblica che nacque da una sconfitta, umiliando gli ideali alto borghesi e aristocratici: “La democrazia non è altro che un pretesto per le cattive maniere!”
Sconfitti sono, in definitiva, i personaggi del romanzo, repressi nella loro gioia di vivere dalle convenzioni sociali o infiacchiti dagli eventi, tragici, alteri e deboli, nel senso più umano del termine.
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Se n'è parlato molto. I difetti mi hanno colpito più dei pregi, per cui al momento continuo a lasciarlo.