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Non mi ha convinto
Il premio Pulitzer non è un premiettino, bensì il più importante premio americano, una vera e propria onorificenza nazionale per il giornalismo, per la letteratura e per le composizioni musicali. Tanto per dare un’idea, nel suo albo d’oro figurano opere come Il vecchio e il mare, di Ernest Hemingway e più recentemente La strada, di Cormac McCarthy. Quindi, dovrebbe essere considerato come un riconoscimento di garanzia di qualità, tanto è vero che in alcuni anni non è stato assegnato.
Tutto questo preambolo ha uno scopo, cioè non è fine a stesso, perché, avendo letto che il Pulitzer 2015 era stato conferito a Tutta la luce che non vediamo, di Anthony Doerr, mi è sorto subito l’interesse per quest’opera, tanto più che nelle brevi e invitanti notizie si parlava di due personaggi, due adolescenti, nella tempesta della guerra su fronti opposti. Non posso dire quindi di avere affrontato la lettura senza entusiasmo, anzi ho esaminato il testo da subito con grande interesse, ma purtroppo, pagina dopo pagina, l’ardore iniziale è andato scemando e non dico che io sia stato pervaso dalla noia, ma che ho cominciato a considerare il libro come uno di quelli che al più consentono qualche ora di svago e se devo essere sincero di questi così ce ne sono tanti, romanzi che non sono, e non hanno nemmeno la pretesa, di essere opere d’arte. Eppure le premesse non mancavano, nel senso che le figure della bimba cieca Marie-Laure Leblanc e del ragazzo orfano Werner Pfennig, che si trovano su fronti opposti, lei francese, lui tedesco membro della gioventù hitleriana, lei in un certo senso partigiana, lui cacciatore di partigiani che trasmettono con la radio sono una base di partenza notevole per sviluppare l’emblema di due giovani a cui la guerra ha negato la gioventù. Se ci poi ci mettiamo qualche personaggio accattivante, come lo zio di Marie-Laure o l’amico ornitologo di Werner ci sono tutti gli ingredienti per raccontare una storia avvincente e c’è anche lo spazio, indispensabile, per dare un tocco artistico all’opera, magari con una condanna ferma senza se e senza ma di ogni conflitto. Dimenticavo, non manca neppure un risvolto giallo, vale a dire la ricerca di una pietra preziosa che si dice benefica per chi la possiede, ma malefica per i suoi familiari, trovata in verità un po’ ingenua e che secondo me se era uno scopo per impreziosire il romanzo ha finito invece per appesantire la narrazione e, a proposito di questa, c’è da considerare il problema di raccontare di due vite parallele. Doerr l’ha risolto come tanti autori, cioè un capitolo a testa, prima uno e poi l’altro e così via, magari alcuni di così poche pagine che non aggiungono nulla per una migliore conoscenza. Purtroppo, nello scrivere di Marie-Laure e di Wener introduce dei salti temporali: una volta si va avanti con gli anni, un’altra si torna indietro, tecnica che francamente non ho capito e che di certo non agevola la lettura. Si tratta di un romanzo che si sviluppa prevalentemente in corso di guerra e che culmina con il bombardamento di Saint Malò; dovevano essere pagine convulse, dal ritmo incalzante, quasi che il lettore dovesse sentire lo scoppio delle bombe e avere la bocca impastata dalla polvere che si leva dalle macerie, e invece no, si continua con un ritmo non letargico, ma comunque blando.
A differenza di molti che hanno giudicato l’opera un capolavoro io la considero invece modesta, per i motivi che ho esposto sopra; leggibile è leggibile comunque, ma con tutte le riserve, in primis con il sospetto, non del tutto infondato, che il premio Pulitzer conferito sia stato un generoso regalo.
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