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Di padre in figlio
Secondo episodio della tetralogia dell'azteco, almeno presumibilmente visto che dopo il decesso dell'autore è stato pubblicato "Fuoco azteco".
Come il primo episodio, anche questo sfrutta lo stesso tipo di narrazione. Mediante lettere che vengono dettate o lette il protagonista racconta la sua intera vita ed i suoi punti di vista.
I racconti sono legati dal vincolo di sangue. In particolare in questo secondo racconto il protagonista è Tenamàxtli, figlio di Mixtli – protagonista del primo.
La trama entusiasmante è ricca di azione. L'autore infarcisce il racconto di termini aztechi in un primo momento incomprensibili ma che ritornano spesso, quindi ci si abitua, rendendo tutto più reale.
Il racconto, o meglio il viaggio di Tenamàxtli è strutturato come l'Odissea. Lui che percorre in lungo ed in largo l'"Unico mondo" alla ricerca di seguaci che lo accompagnino nella rivolta contro i bianchi spagnoli. C'è stato solo un momento nel quale la narrazione non mi è piaciuta perché sempre più il giovane Tenamàxtli imita le avventure del più noto Ulisse. Infatti l'azteco, naufraga proprio sull'isola delle donne. Non ho potuto fare a meno di pensare al naufragio su Eea e alla sua bella Circe.
Come nel primo romanzo Jennings rimarca le angherie subite dagli indios da parte dei Cattolici.
"Perché la sia pur minima traccia di sangue non bianco, evidente o meno che sia, fa di chi la possiede un essere inferiore."
Roba da far volar via il solideo del buon Francesco.