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Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi
Nel romanzo di Irvin Yalom, La cura Schopenhauer è il sistema che Philip Slate ha adottato per guarire dalla sua mania compulsiva: una sorta di satiriasi che in gioventù lo induceva a consumare rapporti sessuali su larga scala, in modo sfrenato e senza amore. Salvo poi rifugiarsi nelle letture (“Lettore vorace di classici, storia e filosofia: niente narrativa, niente attualità”), l’unica fonte di soddisfazione vera (“L’importante è avere il maggior tempo possibile della serata per leggere prima di andare a letto”).
Per questa patologia Philip era stato in cura da Julius Hertzfeld: quando a quest’ultimo viene diagnosticato un melanoma incurabile, lo psicoterapeuta ricontatta l’ex paziente che nel frattempo si dichiara guarito grazie alla filosofia di Schopenhauer, il filosofo che ha smascherato i trucchi e le rappresentazioni della Volontà.
Julius introduce Philip alle sedute terapeutiche di gruppo, per rilasciargli la certificazione utile all’esercizio della professione. Ma la terapia di gruppo innesca interazioni nuove tra i partecipanti, porta a galla le ossessioni e i peccati di Pam, Rebecca, Bonnie, Tony, Gill e Stuart. Anche perché Pam, in gioventù, fu vittima della sessuomania di Philip. Il percorso terapeutico sarà anche un modo per testare l’autenticità della guarigione e la tenuta della “cura Schopenhauer”, un rimedio che isola Philip e lo esclude dalla capacità di vivere rapportandosi agli altri (“Al club scacchistico… la prima volta che giocava fronteggiando un avversario dalla morte del padre”).
I capitoli-relazioni delle sedute del gruppo si alternano a quelli che illustrano biografia – un padre suicida, il difficile rapporto con la madre, l’incontro con Goethe, la rivalità con Fichte ed Hegel - e teorie di uno dei filosofi più pessimisti (“Questo mondo dovrebbe averlo fatto un Dio? No, piuttosto un demonio”), sociopatici e originali del pensiero contemporaneo.
“Lo smisurato appetito che spesso lo portava a consumare cibo per due (quando qualcuno glielo faceva notare, replicava che lui pensava anche per due), l’abitudine di pagare due pranzi per essere sicuro che nessuno sedesse accanto a lui, la conversazione burbera ma penetrante, i frequenti scoppi di malumore, la lista nera degli individui con i quali si rifiutava di parlare…”
Giudizio finale: psichico, interrelazionale, ispirato.
Bruno Elpis
P.S.: la teoria del velo di Maya non viene citata nel romanzo, e allora la cito io nel titolo…
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Commenti
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più ci penso più avrei preferito un bel romanzo puro con quel Philip che affascina la mia personalità, mi è sembrato troppo riduttivo far vincere la terapia. Io l' ho letto sperando che facesse scoppiare il gruppo, Ahahah,
@Laura: sovversiva! Ahahah, però devi riconoscere che quella scena finale, con Philip che suda, piange e profonde liquidi fa un certo effetto... forse io preferisco i lietofine (sono romantico?), ho ancora sul gozzo l'epilogo de "L'eleganza del riccio", per dire.. :-)
Ciao!
@ Laura: non dubitavo che tu lo fossi... ciao! :-)
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