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Terre selvagge e desiderio di vita...
Il romanzo storico ha da sempre caratterizzato l' autrice, capace, partendo da un universo microscopico, una famiglia, un personaggio, una situazione, di sondare, sviscerare e mostrare i tratti salienti di un' epoca, di una nazione, di un mondo, calandosi nella storia e descrivendone minuziosamente personaggi, relazioni, costumi, tradizioni, pensieri, modus vivendi ed operandi, allargando e restringendo la narrazione in un contesto descrittivo particolare fatto di relazioni umane, microcosmi, e di più' ampio respiro, il periodo storico contestualizzato, donandoci esaustive visioni d' insieme e restituendoci narrazioni ed ambientazioni lontane e sovente sconosciute.
In " I frutti del vento " ci troviamo nell' America del XIX secolo, pionieristica, avventurosa, primitiva, contadina, in cui le forze della natura contrastano o corroborano tentativi di domare la terra, di costruirsi una vita o semplicemente una famiglia, di sopravvivere nella aspra quotidianita' fatta di fame, di malattie, di morte.
La famiglia Goodenough trasmigra dall' Est del paese all' Ovest, inseguendo il sogno di domare una terra selvaggia, inospitale, " La Palude Nera ", piantando quei 50 alberi di mele che le permetterebbero, secondo la legge, di appropriarsi della terra e di vivere decorosamente.
Ma il luogo e' profondamente inospitale e i sogni di James, il pater familias, uomo aspro, crudele, empirico, più' amorevole ed in sintonia con gli alberi da frutta da lui piantati che con i propri cari, contrastano con il desiderio di Sadie, la moglie, passionale, istintiva, disperata e disperante, dedita all' alcool, desiderosa di fare ritorno ad est.
i loro dieci figli, nati dalla cruda e brutale quotidianita' e dalla necessità' di braccia per il lavoro, subiranno sorti per lo più' avverse innescando una spirale di lutti, fughe, terrore, rimpianti, da cui riusciranno ad evadere Martha e Robert, inseguendosi, negli anni, per rinascere e cercare di indirizzare in modo diverso il proprio destino.
Da qui nasce la seconda parte del romanzo, la ricerca di un riscatto, quel viaggio continuo alternato a lunghe dissertazioni botaniche, forse un po' eccessive e minuziosamente soporifere.
Ma ben sappiamo che la difficolta' nel tracciare un periodo storico lontano ed ai più' sconosciuto sta nello sviscerarne i tratti essenziali con semplicità' descrittiva, amore per il particolare, individuandone l' essenza attraverso descrizioni d' insieme e tratti caratteriali specifici.
Qui si parla di un territorio profondamente inospitale e dei suoi abitanti, rozzi, crudeli, piuttosto anaffettivi, temprati dalla asperità' del terra e da un desiderio di riscatto e rivalsa.
Tracy Chevalier sa muoversi bene in questo contesto, conosce i segreti di una scrittura pulita, semplice, colloquiale, alternando senza pesantezza elementi storico-socio-politici a relazioni famigliari-personali-psicologico-sentimentali, in una miscellanea ben riuscita e non aspra, ne' astrusa.
Certo, la profondità' letteraria non è' garantita, i sogni e gli abissi della complessità' di un viaggio stupefacente nell' animo umano sostano altrove, a tratti si avvertono dei salti, dei buchi e l' armonia della costruzione viene meno, ma nel complesso la storia è' godibile e riesce a catturare il lettore, anche senza raggiungere la coralita' del passato, quella creatività' che sapeva stupire per come affrescava il particolare, anche minimo, allargandone l' orizzonte ad una visione d' insieme stupefacente per lucidità' ed obiettività' descrittiva.