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Goodbye to Berlin
Immagino Isherwood che ogni sera prima di coricarsi appunta su un consunto quaderno dalla copertina di pelle nera gli avvenimenti della giornata. Che sia una dignitosa camera in affitto o una brandina a un respiro da un giovanotto dalla sessualità libera, un cottage all'inglese sul fiume o una casa al mare, il bisogno di imprimere sulla carta lampi di vita vissuta è inderogabile.
Nasce così “Addio a Berlino”, una fotografia a parole di una società che si appresta ad accogliere in sé un male indelebile la cui macchia ancora non siamo riusciti a pulire del tutto. Isherwood, o Herr Issyvoo, interpreta se stesso nel ruolo di giovane inglese alla ricerca della storia della vita, si mantiene dando lezioni di inglese e non si fa scappare l’occasione di incontrare personaggi dal fascino irresistibile. La società berlinese da cui l’autore è circondato, le amicizie che gli capita di allacciare nelle sue scorribande notturne, sono macchiette straordinarie che tratteggiano una quotidianità banale, l’avvicendarsi di vite inconsapevoli del terrore che stanno per accogliere. Si possono cogliere tra le righe le avvisaglie di una situazione politica che sta per rovesciare non il solo Paese ma il mondo intero, eppure dalle parole di Isherwood non trasuda nulla di ciò che poi sarà. La consapevolezza non ha ancora contaminato il ricordo delle serate al pub, delle gite in barca, della povertà che costringe a dividere un letto.
Ho letto “Goodbye to Berlin” in lingua inglese e la naturalezza dello stile di Isherwood mi ha accompagnato per tutta la lettura, una prosa immediata, senza fronzoli in cui l’ambiente si tratteggia attraverso le conversazioni in tu per tu con una Berlino che fa sentire la sua vivacità.
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