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La famiglia Goodenough
La vita non sarebbe stata semplice nella Palude Nera (Ohio), James e Sadie Goodenough ne erano perfettamente consapevoli sin da prima di giungervi. Ma quale altra scelta avevano i coniugi e i loro 10 figli se non quella di lasciare la fattoria del padre dell’uomo in Connecticut e tentare la fortuna ad Ovest? Sadie non era mai piaciuta alla famiglia Goodenough ed il suo essere così prolifica non ne aveva certo agevolato la permanenza, anzi, aveva accentuato i contrasti, le difficoltà della convivenza ma soprattutto reso le condizioni economiche sempre più precarie con così tante bocche da sfamare.
Primavera 1838, Palude Nera, Ohio. Sono già trascorsi 9 anni eppure Sadie proprio non riesce ad amarla quella terra che già si è portata via 5 dei suoi 10 figli con quella maledetta febbre, con la incontrastata malaria. Caleb, Nathan, Sal, Martha, ed il piccolo Robert sono gli unici sopravvissuti. E come non sopporta quelle lande nutre un odio sviscerato per quel marito che ve li ha condotti e che si rifiuta di andarsene. Per cosa poi? Per delle stupide mele!! Non lo può proprio tollerare questo atteggiamento, come si può permettere lui di mettere in secondo piano i suoi bisogni per quei maledetti alberi, fortuna che c’è l’acquavite.. Eh si, perché la donna sfrutta tale bevanda e il sidro per stordirsi, sono più i giorni in cui è ubriaca di quelli in cui è sobria. E James dal canto suo sa che non deve abbassare la guardia, il risentimento della moglie è talmente forte che sarebbe disposta a tutto pur di distruggere quei fusti e quelle coltivazioni che gli danno da sopravvivere. Se a questo si aggiunge che l’uomo è costretto altresì a tollerare i suoi continui tradimenti nonché le angherie nei confronti dei figli, non stupisce che la tensione sia al massimo.
1856. Robert è un uomo adulto. Negli anni che sono trascorsi si è spinto sempre più ad ovest fino ad arrivare in quel di San Francisco. Eppure, per quanto si sia spinto lontano dall’Ohio, non potrà mai dimenticare quel giorno, non potrà mai dimenticare i suoi fratelli, non potrà mai obliare a quei gesti e a quelle ultime laceranti parole….
Ma cosa è successo alla famiglia Goodenough? Quale mistero si cela dietro la dipartita del fratello più piccolo? Cosa è accaduto di così traumatico da costringere una persona a dire addio alle sue origini?
Con “I Frutti del vento” Tracy Chevalier ci regala un romanzo intenso, basato sulla famiglia, l’amore, gli affetti, sulla difficoltà di crescere e di lasciarsi il passato (e i relativi traumi) alle spalle, ma ci dona anche un romanzo sulla natura, sulla bellezza delle piccole cose, sulla capacità di ricominciare, passo dopo passo, imparando a prendere le proprie decisioni, non avendo più timore di noi stessi, sollecitandoci ad apprezzare la solitudine senza però tramutarla in uno scudo con cui proteggersi da quel che significherebbe aprirsi a chi ci circonda. E’ un testo a tratti cupo, pieno di forza, commovente. Uno scritto caratterizzato da personaggi concreti, reali, perfettamente descritti e capaci di arrivare al lettore per la loro genuinità. Pagina dopo pagina la storia scorre rapida e chi legge entra nelle vicende come se le stesse vivendo egli stesso.
La narrazione si alterna a livello temporale mostrandoci la realtà di quella famiglia allo sbando, vittima di una faida familiare determinata dalle incomprensioni di due genitori che non riescono a fare fronte comune, e di poi quella di un giovane uomo che cerca di vivere senza mai affrontare i giorni che avrebbero dovuto essere della sua fanciullezza sino a giungere a quella che è la sua crescita personale. Tanto di quel che accade in quei 18 anni di lontananza dalla Palude Nera lo scopriamo grazie alla corrispondenza epistolare ed è impossibile non restarne affascinati.
Un elaborato genuino è quello della Chevalier, maturo rispetto all’opera che l’ha resa nota ai più ed avvalorato da una penna rapida, diretta, erudita nonché da una ricerca storica solida e senza lacune. Un testo in crescendo che si divora in un giorno e mezzo, uno scritto che sa farsi amare ed apprezzare per la sua semplicità.
«Rincuorato dalle parole affettuose di Molly, Robert si infilò la mano in tasca, toccando il fazzoletto con dentro i semi che gli aveva portato Martha. I semi erano duri a morire, avevano bisogno solo del posto giusto per risvegliarsi. E il cuore l’avrebbe aiutato a riconoscerlo».
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Commenti
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In questo caso ho maggiormente apprezzato le vicende perché seppur in modo lieve la parte storica è trattata in modo maggiore rispetto a quella emotiva che non manca ma che altresì tocca aspetti diversi rispetto a quelli che generalmente le sono propri.
Il romanzo è poi caratterizzato da una cupezza differente da quella delle sue opere precedenti, e i personaggi sono talmente concreti che puoi immedesimarti in questi.
Conta che io l'ho apprezzato molto più che di tante altri suoi scritti quali ad esempio "la ragazza con l'orecchino di perla" che avevo trovato freddo e poco storico.
Ciò aveva incrementato il mio scetticismo verso l'autrice, sentimento che in questo caso va ridimensionandosi. Con la sua ultima fatica essa crea un romanzo in cui la componente storica è presente e si ben affianca all'aspetto emotivo dei protagonisti, che sono reali, concreti, arrivano.
Spero che il libro che ti attende non ti deluda. :-)
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Io trovo che la Chevalier dia troppo spazio alla parte sentimentale rispetto al focus sulle ambientazioni storiche; almeno questo ho desunto dalla lettura de "L'ultima fuggitiva".
Miscelare alla perfezione gli ingredienti per un buon romanzo storico è complicato e non tutti gli scrittori sono portati per il genere.
Rimane comunque una scrittrice che riesce a vendere parecchio e che si fa leggere con un certo grado di piacevolezza.