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Mai credere a fascette pubblicitarie e copertine
Ispirata dal richiamo alla nota serie tv “Downton Abbey” riportato nella fascetta pubblicitaria e dalla bella magione inglese che campeggia in copertina, ho acquistato il libro aspettandomi una storia appassionante, ricca di vicende e intrighi familiari.
Aspettative disattese. Innanzitutto manca una storia. Si tratta infatti di un memoriale in cui Margaret Powell racconta la sua giovanile esperienza lavorativa “a servizio” presso famiglie aristocratiche, presentandoci di fatto una carrellata di episodi, aneddoti e personaggi tendenzialmente slegati tra loro, senza fluidità narrativa.
Manca poi la componente emotiva. Colpisce infatti come, pur trattandosi di esperienze vissute e raccontate in prima persona, lo sguardo della Powell rimanga lucido, oggettivo, quasi asettico direi. Non traspirano i suoi stati d’animo, le sue difficoltà interiori, le sue speranze. Eppure la sua è stata una vita difficile, di fatiche e rinunce, in primis quella della borsa di studio da ragazza che le avrebbe consentito l’accesso al tanto anelato mondo della cultura. Ciononostante non c’è amarezza o recriminazione nel descriverci i duri compiti cui era sottoposta come sguattera o le umiliazioni subite, nessun tono di supponenza nel raccontarci come si è improvvisata cuoca senza saper cucinare pur di salire nella scala sociale della servitù, nessun affetto particolare per le persone con cui ha lavorato. Nessuna emozione. Il lavoro è solo una forma di sopravvivenza e di retribuzione e in quanto tale viene presentato. La Powell non fa inoltre proprio nulla per suscitare la simpatia del lettore: è brusca, aggressiva e quasi cruda nei suoi resoconti di vita, non ammanta di etica professionale il proprio lavoro né di sentimenti il matrimonio, che risulta un mero mezzo di affrancamento dalla vita di servizio. Realistica? Sicuramente sì ma anche un po’ demoralizzante.
Il maggior pregio di questo memoriale è sicuramente quello di offrire, in modo schietto e diretto, un quadro autentico della società inglese di Inizio Novecento, permettendoci, grazie ai dettagli e agli aneddoti forniti, di immaginarla per come doveva essere, senza alcun abbellimento. Non mancano inoltre gli spunti di riflessione sui temi legati alle ingiustizie sociali e alle differenze di classe, sempre attuali (a maggior ragione negli anni Sessanta in cui è stato scritto). Il limite, a mio avviso, è una certa rozzezza di espressione e l’assenza della componente emotiva, che impedisce di appassionarsi appieno a queste vicende.
Non mi sento di sconsigliarlo del tutto, è necessario però affrontare la lettura settando correttamente le aspettative. E non credere a fascette pubblicitarie e copertine.
Indicazioni utili
- sì
- no