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Il paradiso perduto
Sembra che le fatine dopo essere andate al battesimo della Bella Addormentata passarono anche da E.J. Howard facendole gli stessi identici doni: la prima le donò la bellezza (infatti iniziò la sua carriera come attrice e fotomodella), la seconda le diede la simpatia (andava con i mariti delle sue più care amiche e quelle non se la prendevano nemmeno un po’), la terza le diede l’intelligenza e il talento per la scrittura. La fata cattiva, dato che il vecchio incantesimo della puntura del dito non avrebbe funzionato, le impose almeno tre principi azzurri…. Il primo era vecchio e sembrava gentile, ma lei era troppo giovane per riconoscere una persona veramente gentile, il secondo era rigido e freddino, il terzo era il padre di Martin Amis, scrittore anche lui e terribilmente geloso di lei, non come donna (benchè ne avesse motivo) ma come scrittrice dato che era più brava di lui.
Lasciando da parte i pettegolezzi e venendo al romanzo, bisogna dire che l’impatto con le prime pagine non è dei migliori, nel senso che il lettore viene catapultato in un mondo borghese con i suoi tabù sessuali ora quasi incomprensibili e obsoleti. In realtà, questa sensazione di storia d’altri tempi scompare quasi subito. Il romanzo descrive principalmente i dialoghi, le paure, il carattere, i giochi di un gruppo di cugini che si ritrovano per le vacanze estive a casa della nonna, figli di quattro famiglie diverse. I bambini e gli adolescenti sono descritti con grande grazia e delicatezza, forse con nostalgia. Il romanzo sembra autobiografico, nel senso che la famiglia di Louise, quindicenne, è quella dell’autrice, le altre non saprei dire. Il mondo dell’infanzia è rappresentato come una specie di paradiso, di paradiso perduto. Louise, l’autrice, è alla porta di uscita dal paradiso. Su di lei si accalcano ombre terribili: siamo alla vigilia della seconda guerra mondiale e alla vigilia dell’età adulta. I genitori man mano che lei entra nell’adolescenza cambiano faccia e ne rivelano una a cui lei non è preparata. Il rapporto con la madre si raffredda e diventa una specie di rivalità sotterranea. Il rapporto con il padre ha un carattere edipico fortissimo. Questo aspetto del rapporto di Louise con i genitori è accennato solo in un paio di pagine delle quasi 600 del romanzo ma sono molto significative. In queste due pagine l’autrice ci racconta un episodio in particolare: Louise mette un vestito da adulta per cenare con il padre, all’insaputa della madre da cui preferisce non farsi vedere con quello stesso vestito perchè non capirebbe, e questo accade proprio il giorno in cui la madre ha appena tolto tutti i denti.
Dopo la cena a due il padre tenta di baciarla. A questo punto l’autrice ci parla di un episodio precedente e ben peggiore dopo il quale Louise si è presa una chiave per la sua camera perché non si sentiva più sicura. Da come sono descritti i fatti si intuisce che l’autrice ha un atteggiamento ambiguo o doppio nei confronti del padre di seduzione e rifiuto; la seduzione, l’aver indossato il vestito da donna all’insaputa della madre nonostante il precedente, forse le serve inconsciamente ad addossarsi le colpe del comportamento di lui oltre che ad avere la sua attenzione. E, comunque, serve a far dubitare il lettore delle sue intenzioni nell'indossare quel vestito, anche se non è il lettore a dubitare ma lei stessa in quanto il lettore sa ben distinguere tra le responsabilità di un genitore e di una ragazzina.
Certo, il senso di colpa deve aver accompagnato Elizabeth/Louise tutta la vita rovinandole i rapporti umani più importanti.
Il romanzo è quindi anche un romanzo terapeutico oltre che nostalgico per il periodo dell’infanzia descritto come un tempo di grande, grandissimo candore a cui l’autrice si affaccia con senso di grande nostalgia, forse proprio per il senso di perdita dell’innocenza che sta vivendo.
Il romanzo è minuzioso, descrive la vita di tutti i membri della famiglia nei particolari, è lento. Ma dalla lentezza delle pagine emergono i profili psicologici ben delineati di tutti. Forse le figure più ambigue e meno sviscerate sono quelle dei genitori. Le molestie del padre alla figlia emergono a un certo punto del libro come dal nulla. Sembra che l’autrice non abbia molta voglia di indagarle e di spiegarsele. Le accenna e poi sembra dimenticarsene. Non parla nemmeno delle conseguenze su Louise se non in mezza frase in cui dice che lei si era fatta più introversa, mezza riga.
Il romanzo è bello ma lento, di una lentezza che si apprezza dopo averci fatto l’abitudine e che mi ha ricordato un’altra autrice: Paula Fox.
Certo i ritmi dei romanzi moderni e spesso anche del passato erano molto diversi. Qui sembra che lei abbia stirato il tempo perché raggiungesse la lentezza del tempo reale, perché le giornate a casa dei nonni sembrassero più verosimili.
C’è nostalgia per la leggerezza e il desiderio di riviverla attraverso le pagine. E’ una leggerezza non solo mentale ma dell’anima, data dall’innocenza che forse oggi ragazzini adolescenti di 12-15 anni non hanno.
La saga non è solo un racconto superficiale di fatti o di avvenimenti come le saghe che a volte si vedono in TV ma ha un suo spessore e una grande vivacità per come i personaggi dopo le prime poche pagine prendono vita. C’è anche un ribaltamento: la famiglia di Louise che sembrava la più fortunata all’inizio del romanzo, in realtà è la meno fortunata. Le altre si rivelano più forti, affiatate, più positive per i loro figli, più amorevoli. Non so se nelle descrizioni delle altre famiglie c’è un senso di invidia. Dopo aver rivelato l’episodio del padre, Louise sembra sparire dal romanzo come se si vergognasse di se stessa mentre prima era il personaggio più presente. E’ come se non meritasse più di stare nel paradiso dell’infanzia e dell’innocenza.
““ Ah love, let us be true
To one another! For the world which seems
To lie before us like a land of dreams.
So various, so beautiful, so new…”
Le parve magicamente di risentire la sua voce pacata, un po’ stridula e pedante (non pronunciava bene la R)… poi non ricordò più come proseguire la lirica, e mentre tendeva le braccia nel buio la voce tremolò e si spense.
Era tutto finito.”
Concludo dicendo che Amis il vecchio, il terzo marito di Elizabeth, aveva ben motivo di essere geloso: quasi certamente Elizabeth scriveva meglio di lui.
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Federica