Dettagli Recensione

 
La strada stretta verso il profondo Nord
 
La strada stretta verso il profondo Nord 2015-09-22 23:42:16 Mario Inisi
Voto medio 
 
4.0
Stile 
 
4.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    23 Settembre, 2015
Top 10 opinionisti  -   Guarda tutte le mie opinioni

La ferrovia della morte

Questo romanzo colpisce come testimonianza storica al pari dei libri di Primo Levi, di Remarque, e di romanzi come Yellow birds. Apre uno scorcio su un capitolo della seconda guerra non molto noto e cioè sulle sofferenze e la durissima prigionia dei prigionieri australiani vittime non della crudeltà giapponese ma dell’utopia e del nazionalismo giapponese: dell’ambizione di poter fare in nome dell’imperatore ciò che per americani e europei era un’impresa impossibile: costruire in pochissimi mesi una ferrovia che collegasse Siam e Birmania in modo da rendere fattibile l’invasione dell’India dalla Birmania.
Ma se il progetto è grandioso non viene speso nulla per favorire il progetto: l’amore per l’imperatore deve rendere possibile di per sé il miracolo. Per amore dell’Imperatore si può lavorare senza mangiare e bere, il corpo non si ammala, si può scendere dal letto di morte per lavorare, le malattie guariscono da sole, non esiste la stanchezza. E, viceversa, se uno si ammala, ha fame, sete e non riesce a alzare un martello per lo sfinimento merita di essere picchiato perché tutto questo è una mancanza d’amore per l’imperatore.
E’ una mentalità lontana anni luce dalla nostra e in un certo senso benché folle e farneticante quasi idealista. Il nazionalismo giapponese è così fanatico da non riuscire nemmeno a essere calcolatore, a pensare che se un prigioniero si riprende potrà lavorare e rendere di più. I carcerieri pretendono dai prigionieri l’impossibile: che si perdano nel culto dell’imperatore fino a diventare puro spirito perché chi è spinto dal desiderio di compiacere l’imperatore non si ammala, non sente la fame e la sete.
I prigionieri australiani dunque devono lavorare in turni massacranti nella giungla, senza medicine, acqua potabile, cibo, affetti da tutte le avitaminosi (pellagra, scorbuto, beri beri), infestati dai parassiti, dalla tigna, sterminati dalla dengue e dal colera, colpiti da ulcere che vanno in cancrena. Le pagine in cui viene descritta l’impresa sono belle, intense, vere perché il padre dell’autore è stato uno dei prigionieri (dei pochi) che sono sopravvissuti. Sembra di sentire urlare le scimmie nella giungla, di sentire addosso l’acqua del monsone.
Restano impressi i gesti di solidarietà tra prigionieri: qualcuno è capace di dare mezza polpetta di riso all’amico moribondo anche se la razione di cibo quotidiana è meno di un decimo del fabbisogno giornaliero e anche se con tutta probabilità il moribondo non verrà salvato dalla morte. La bellezza del gesto sta nella sua inutilità che lo rende qualcosa di eterno, non solo di utile o di necessario. Un segno di umanità in tanta barbarie.
I capitoli sono a volte preceduti dalle poesie spiazzanti del poeta Basho o Issa. Strane, stranissime.
“Un’ape esce
barcollando
dalla peonia”

La stranezza delle poesie rende la distanza in anni luce tra le civiltà e le mentalità e suggerisce l’impossibilità di giudicare e forse condannare perché usiamo bilance culturali terribilmente diverse.
Mentre i giapponesi aspirano a dare la vita per l’imperatore, gli australiani si inventano espedienti incredibili per strappare quanti più possibile alla morte.
Alcuni episodi colpiscono profondamente come l’operazione con la sega, il cucchiaio e la cintura dei pantaloni. Leggendo quelle pagine quasi non si capisce nemmeno il desiderio di sopravvivere a ogni costo. Sembrerebbe più semplice chiudere gli occhi e morire. Anche perché le storie del dopo, la vita dei sopravvissuti dopo, appena accennata spiega la difficoltà enorme, l’impossibilità di sopravvivere e tornare alla normalità dopo un’esperienza del genere.
Bellissimo il capitoletto con la cena a base di pesce nella friggitoria del greco. E’ così bello, intenso, felice che forse avrebbe dovuto chiudere il romanzo senza aggiungere altre parole perché c’è quel pizzico di sogno e di speranza che ci vuole. Di più sarebbe troppo.
La storia del matrimonio di Dorrigo con Ella e la sua relazione con Ami secondo me appesantiscono molto il romanzo. Io credo che un taglio di pagine sarebbe stato utile al romanzo che è comunque bellissimo e soprattutto costituisce una testimonianza. Mi è piaciuto anche il fatto che l’autore cerchi in qualche modo di capire le ragioni dei nemici e in un certo senso li giustifichi almeno in parte.

“Sapeva che niente di quello che pensava poteva costituire un argomento di difesa, che niente di quello che provava poteva avere un senso per gli australiani,per i loro avvocati con gli occhi a scalpello e i giudici che parevano candele gocciolanti. Perché una guardia viveva come un animale, si comportava come un animale, capiva quello che capiva un animale e pensava come un animale. E si rendeva conto che quella era l’unica forma umana che gli fosse stata concessa. Non si vergognava di aver scoperto che la sua umanità era quella di un animale, lo lasciava solo perplesso vedere dove questo l’avesse portato. Quando gli dissero che era stato condannato a morte per impiccagione, prese la notizia come un animale: senza capire, ma con una vaga coscienza che era stato libero e che adesso la sua fine era arrivata.”
Certo, è molto severo il suo giudizio sugli americani che a un certo punto condannano i pesci piccoli, gente che non ha avuto davvero scelta come il povero coreano Goanna, mentre lasciano perdere i maggiori responsabili, gli ufficiali giapponesi.
L’autore descrive anche le dissezioni, cioè espianti di organi a prigionieri americani vivi e coscienti a scopo di studio: vere e proprie torture. Questo per far capire che il calo di attenzione per i crimini contro l’umanità non è dipeso dalla nazionalità delle vittime. Gli americani vogliono fare affari con i giapponesi e in nome di tali affari chiudono tutti e due gli occhi.
Di fronte alla storia d’amore del prigioniero che scampa anche all’atomica per tornare dalla sua Maisie che nel frattempo ha sposato un altro o a tutte quelle storie appena abbozzate ma vere e intense la storia d’amore di Dorrigo, l’ufficiale medico del campo diventa retorica, a volte troppo letteraria con tutte quelle citazioni . Ma soprattutto viene spostato il baricentro del romanzo e questo anche se lo rende più commerciale lo impoverisce. Le pagine su Dorrigo sono troppe. Io avrei chiuso con la cena in pescheria: bella, bella, bella.
Quella cena dava un tocco leggero ma di solidarietà e mi dispiace che si è persa nel mezzo di tante altre pagine.

Indicazioni utili

Lettura consigliata
Consigliato a chi ha letto...
Yellow birds, Remarque, Primo Levi ecc...
Trovi utile questa opinione? 
170
Segnala questa recensione ad un moderatore

Commenti

7 risultati - visualizzati 1 - 7
Ordina 
Per inserire la tua opinione devi essere registrato.

C.U.B.
23 Settembre, 2015
Segnala questo commento ad un moderatore
Mi hai molto incuriosito con quella cena in pescheria in cui mi piacerebbe sbirciare, ma temo sia uno di quei libri che vorrei ma non posso. Per esempio ho il blocco di Levi, non sono mai nemmeno riuscita a comprare Se questo e' un uomo.
Va be, lo segno poi si vedra'.
In risposta ad un precedente commento
Mario Inisi
23 Settembre, 2015
Segnala questo commento ad un moderatore
C'è una parte sentimentale che magari ti alleggerisce il resto ma la prigionia è un po' cruda.
Ciao Mario.
La tua recensione è bellissima e ben ponderata.
Certo, la letteratura australiana è ben poco conosciuta da noi, tanto da far pensare che sia irrilevante.
In risposta ad un precedente commento
Mario Inisi
23 Settembre, 2015
Segnala questo commento ad un moderatore
Infatti l'autore non lo conoscevo però ha vinto il Man Booker Prize.
Questo me lo segno. L'argomento mi attira, e poi lo ha commentato benissimo!
In risposta ad un precedente commento
Mario Inisi
24 Settembre, 2015
Segnala questo commento ad un moderatore
Grazie Anna Maria.

27 Febbraio, 2016
Segnala questo commento ad un moderatore
Non è solo un libro di guerra seppur descritta, con l'annesso dopoguerra, con immagini molto vive. Calcherebbe sentieri già segnati. Per me, è un libro che parla di sopravvivenza. Sopravvivere alla propria solitudine con un'esistenza sentita come mediocre. È il senso della sopravvivenza di Darrigo non sarebbe capito dal lettore senza quelle 200 pagine circa della prima parte tutte centrate sulle speranze dell'amore, le annesse aspettative, progetti giovanili poi infranti. Per certi versi, è un romanzo filosofico, con pagine molto intense e commoventi. Un romanzo solipsistico anche se pieno di personaggi. È un romanzo di chi credendosi più veloce di un treno, ingaggia una speranzosa gara...perdendola. (cit.)
7 risultati - visualizzati 1 - 7

Le recensioni delle più recenti novità editoriali

Intermezzo
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il mio assassino
Valutazione Utenti
 
4.5 (1)
La vita a volte capita
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il dio dei boschi
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Il sistema Vivacchia
Valutazione Utenti
 
4.5 (1)
Il passato è un morto senza cadavere
Valutazione Utenti
 
4.3 (2)
La mano dell'orologiaio
Valutazione Utenti
 
4.3 (1)
L'ora blu
Valutazione Utenti
 
4.5 (1)
Malempin
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
Morte in Alabama
Valutazione Utenti
 
4.0 (1)
La città e le sue mura incerte
Valutazione Utenti
 
3.0 (1)
Per sempre
Valutazione Utenti
 
3.3 (1)

Altri contenuti interessanti su QLibri

Il fantasma del vicario
La grande fortuna
Sabotaggio
Nuove abitudini
Linea di fuoco
L'ufficio degli affari occulti
Il mago
La moglie del lobotomista
La guerra di H
Il canto di Calliope
L'aria innocente dell'estate
Max e Flora
Rincorrendo l'amore
Giochi proibiti
Il canto di Mr Dickens
I Netanyahu