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Occasioni che l’istinto rifiuta
Marguerite Yourcenar scrisse “Il colpo di grazia” (1938) attingendo a un fatto reale che accadde in Curlandia (l’attuale Lettonia) nel 1919, durante la guerra civile, e le fu raccontato.
Il soldato Eric von Lhomond (“I miei errori nel corso di questa ritirata in miniatura mi vennero utili qualche mese dopo durante le operazioni sul confine polacco”) vive a Kratowice con l’amato Corrado (“Nelle campagne la gente ci prendeva per fratelli, ciò che sistemava tutto agli occhi di chi non ha il senso delle amicizie ardenti”), Sofia, sorella di quest’ultimo (“con i sospiri annoiati di un’eroina ibseniana disgustata di tutto”) e la stramba zia Prascovia.
Sofia, che ha conosciuto prematuramente gli orrori della guerra (“Sofia era stata violentata da un sergente lituano…”), è innamorata del protagonista-narratore. Tuttavia Eric non solo non la corrisponde, ma addirittura si rapporta a lei in modo cinico. Le cause del rifiuto sembrano sia caratteriali (“La delizia si trasformò in orrore, scatenando in me il ricordo di quella stella di mare che un tempo mia madre mi aveva messo a forza nella mano, sulla spiaggia di Schevingen, provocando in tal modo in me, fra lo sbigottimento dei bagnanti, una crisi di convulsioni”), sia strutturali (“Ci sono anche delle occasioni a cui, a nostro dispetto, l’istinto si rifiuta”).
Eric sottopone Sofia a una serie di crudeltà, che rischiano di renderlo odioso agli occhi del lettore: la provoca (“Ebbi la brutalità di dire a Sofia che se avessi avuto bisogno di una donna lei era proprio l’ultima che sarei andato a cercare”), la induce a buttarsi tra le braccia di Volkmar salvo colpirla (“Io la presi per un braccio e la schiaffeggiai”), la oltraggia (“Le ragazze da marciapiede non devono assumersi la difesa della morale pubblica”). Le provocazioni prevalgono sempre sull’affetto, che trapela sporadicamente, come in occasione di un bombardamento (“Ora che lei è morta e che io ho cessato di credere ai miracoli, sono riconoscente a me stesso di aver baciato almeno una volta quella bocca e quei capelli ispidi”).
Ottenuto l’ennesimo rifiuto da Eric, Sofia reagisce in malo modo (“Mi sputò in faccia”), fugge e si unisce al nemico. Si vendicherà in modo estremo, in un finale spettacolare e degno della miglior tragedia greca (“Ho capito in seguito che voleva soltanto vendicarsi e lasciarmi un’eredità di rimorsi”).
Abilissima nel ritrarre la schietta personalità femminile di Sofia e quella più lambiccata di Eric (“Mi pare oggi che la sciagura abbia aggiustato tutto nel migliore dei modi”), analitica nell’addentrarsi nelle complessità di un rapporto triangolare (“Comunque non avrei creduto che tu potessi mescolare Corrado a tutto ciò”) e ambiguo (“Fui colpito dall’identità di quel grido… Fratello e sorella erano ugualmente puri, intolleranti e irriducibili”), in quest’opera Marguerite Yourcenar percorre le anse della crudeltà umana che gli individui e la storia declinano al ritmo perverso della guerra (“La nostra vita cauterizzata senza tregua dalla guerra”).
Bruno Elpis
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Ferruccio
Un bel commento. Anche a me il libro è piaciuto; concordo con la tua valutazione : lo stile è eccellente. Comunque, secondo me, la migliore Yourcenar sta in altri libri.
Se ti interessa un'approfondita biografia dell'autrice, molto ben scritta, ti segnalo "L'invenzione di una vita: MARGUERITE YOURCENAR" della giornalista francese J. Savigneau.
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