Dettagli Recensione
Ascoltare i colori,toccare i suoni,sentire la luce
Tutta la Luce che non Vediamo – Anthony Doerr, 2014
Se non avessi letto la recensione che mi precede, qui, non mi sarei mai avvicinata a questo libro. Colpa del titolo, che me lo aveva fatto immediatamente collocare nel genere “Melò” (genere che – a dir poco – non amo).
Il romanzo narra, attraverso la storia dei due protagonisti, Werner e Marie-Laure gli anni della seconda guerra mondiale (quelli precedenti funzionano a mo’ di introduzione e quelli successivi servono a sciogliere la vicenda e sono – secondo me – quelli riusciti meno).
Marie-Laure vive a Parigi con il padre e a sei anni, in breve tempo, diventa cieca. Il padre, custode al Museo Nazionale, per aiutare la sua bambina, le “insegna” gli altri sensi, in particolare il tatto.
Costruisce per lei un modellino precisissimo, in legno, del loro quartiere e attraverso quello, i rumori, i suoni, gli odori e la memoria cerca di renderla il più autonoma possibile.
Non solo.
Quando la guerra, anni dopo, li costringe a trasferirsi a Saint-Malo, presso il bizzarro zio Etienne, il papà ricrea il modellino in legno dell’intera città corsara.
E questo farà di Marie-Laure un’audace, saggia, piccola partigiana.
Werner e la sorellina Jutta vivono in Germania, in un distretto minerario, ospiti, come tanti figli di minatori morti, in un orfanotrofio gestito da Frau Elena – alsaziana - che fa del suo meglio, con il nulla a sua disposizione, per alleviare le sofferenze dei piccoli.
Werner possiede quell’istinto e quella sapienza che non saprei definire altro che téchne, mentre Jutta e una bambina a cui non si può mentire.
Affamati ed infreddoliti, una notte che passano ad armeggiare con una vecchia radio rotta rimediata fra i rifiuti, Werner e Jutta captano prima una musica. Poi una voce.
Una voce che, in francese (che i fratellini conoscono grazie a Frau Elena), spiega ai bambini i prodigi della scienza.
Tutte le notti si alzano per ascoltarla e il suo messaggio finale: «Aprite gli occhi, e guardate tutto quello che potete prima che si chiudano per sempre.» assume una valenza importante nella vita dei fratellini.
Per Werner la radio è la svolta della vita.
Gli permette di studiare, di sfuggire alla fame e al freddo (quelli materiali, almeno) e di diventare – per le sue competenze tecniche “convertite” in militari – un soldato di una certa rilevanza del Reich.
Seppur di malavoglia.
Non voglio spoilerare, ma è chiaro abbastanza presto che Werner (e Jutta) e Marie-Laure sono destinati ad intrecciare un poco i loro destini. Non è (solo) questa la grandezza del romanzo.
C’è la descrizione di una guerra attraverso gli occhi di molti dei suoi protagonisti (uomini, donne, bambini, adulti, civili, militari, tedeschi, francesi), si spazia dalla Francia alla Russia passando per la Germania; viene descritta la distruzione quasi completa di Saint-Malo dell’agosto del 1944 (e sarà perché è la mia città dell’anima, ma quando arrivi a Saint-Malo e la trovi intatta e poi vai a leggere quello che hanno fatto i suoi cittadini per ricostruirla com’era, non puoi fare a meno di empatizzare, perfino con il granito e l’ardesia).
C’è una tematica importante che rivela la devastazione senza senso della guerra.
Ma quello che davvero mi ha colpito e che ho trovato davvero originale, in questo romanzo, è il suo essere, fondamentalmente, una sinestesia.
La sinestesia è una figura retorica che associa due elementi che appartengono a sue sfere sensoriali diverse. Forse la più famosa è «L’urlo nero” di Quasimodo (“Alle fronde dei salici”) in cui abbiamo “urlo” che appartiene all’udito e “nero” che appartiene alla vista.
Questo libro è una sinestesia continua perché racconta di tatto che diventa colore, di suono che diventa vista. Di mani che creano suoni, di suoni che irrompono nel buio e riescono a riportare alla luce. Di voci che diventano onde e che con le mani si possono afferrare.
Ecco, questa è ciò che ho veramente amato di questo libro: riuscire a ricreare la “sinestesia” della percezione dei colori di una bambina cieca o del suono della radio che arriva a Werner dopo che un’esplosione gli ha danneggiato l’udito.
Anche solo per questo la lettura merita.
Il tema centrale non è certamente originale, alcuni personaggi sono più riusciti di altri e – onestamente – la storia della “gemma maledetta” l’ho trovata un po’ forzata all’interno della trama.
Ma il colore delle persone, il suono dell’oceano, la potenza di una voce… anche solo per questo è valso tutte le sue cinquecento pagine.
Indicazioni utili
"L'urlo e il Furore" - Faulkner
"Fiori per Algernon" - Keyes
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