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vestivamo la divisa della wehrmacht...
Marte in Ariete è il romanzo più conosciuto di Alexander Lernet-Holenia, ed è unanimemente considerato uno dei suoi capolavori. Tra l’altro viene unanimemente considerato l’unica opera di opposizione al regime scritta in Austria durante la guerra (dalla voce di Wikipedia sull’autore), e nel risguardo di copertina dell’edizione Adelphi da me letta si asserisce che in queste pagine si legge davvero in filigrana una possente raffigurazione dello sfacelo che i nazisti stavano portando nel mondo.
Non concordo molto con questa lettura politica del romanzo, perché a mio avviso il tema della guerra, che pure occupa uno spazio importante nel libro, praticamente tutta la parte centrale, è trattato da Lernet-Holenia con un distacco cronachistico che permette di dire che si tratta solo di una quinta, di un rumore di fondo che gli permette di far risaltare la vicenda personale del protagonista, il tenente Wallmoden, e di inserirla in un contesto altamente drammatico funzionale alla dimostrazione di quella che si potrebbe definire la tesi di fondo di tutta la sua letteratura: l’ineluttabilità del fato.
La vicenda si svolge infatti tra il 15 agosto e la fine di settembre del 1939, periodo nel quale scoppia, con l’invsione della Polonia da parte delle truppe del Terzo Reich, la seconda guerra mondiale.
Lernet-Holenia partecipa come ufficiale a quella invasione, venendo presto congedato a causa di una ferita, ed annota, secondo quanto riportano le fonti, in un dettagliato diario gli avvenimenti di quei giorni. Proprio questo diario costituisce la base delle dettagliatissime informazioni di carattere geografico e militare che l’autore traspone nel libro.
Il romanzo può essere suddiviso in tre parti distinte. Nella prima, che va dal 15 agosto a pochi giorni dopo, il protagonista, che torna nell’esercito per un mese di esercitazioni, conosce e si innamora di una affascinante e misteriosa signora, la Baronessa Cuba Pistohlkors, appena giunta a Vienna, di cui si sa poco e che non gode in società di una reputazione irreprensibile. Wallmoden le fa la corte nelle ore di licenza in cui può tornare a Vienna dal campo militare in cui si trova. Fa così la conoscenza con alcuni strani personaggi che la baronessa frequenta e nello stesso tempo intavola stimolanti discussioni con i suoi colleghi ufficiali sulla realtà delle cose e sull’esistenza dei fantasmi. La baronessa Pistohlkors inizialmente resiste alle avances di Wallmoden, anche perché, secondo un amico di lei, nonostante due brevi matrimoni è ancora illibata. Un giorno confessa però di amare Wallmoden e gli dà appuntamento al giorno dopo per essere sua. E’ però la sera della partenza del reggimento, e Wallmoden non potrà tornare a Vienna. Parte così, attraverso la Slovacchia, per quella che ritiene essere una esercitazione di breve durata, e che invece si trasformerà nell’invasione della Polonia.
La seconda parte riporta, come detto in forma molto dettagliata, la marcia di avvicinamento delle truppe al confine polacco, la sosta di alcuni giorni alla frontiera e quindi l’invasione, giungendo sino al 16 settembre 1939. Nella prima fase Wallmoden è ancora convinto che si tratti di una esercitazione, e di poter tornare a Vienna da civile il sedici settembre. Scrive telegrammi in tal senso, senza ricevere risposte, e quindi affida ad un collega il compito di contattare la baronessa durante una licenza. La situazione però precipita, e il 1 settembre c’è l’invasione. I polacchi sembrano non opporre resistenza, ma durante una scaramuccia Wallmoden viene ferito ad una mano. Gli avvenimenti si susseguono sempre più drammatici, e Wallmoden riceverà notizie sconvolgenti dall’ufficiale mandato a visitare la baronessa.
Il sedici settembre, giorno in cui sperava di tornare a Vienna, Wallmoden viene ferito al termine del primo vero scontro con i polacchi, e nella terza, breve parte, il romanzo narra di come il protagonista riesca ugualmente a presentarsi all’appuntamento della sua vita, all’ora magica, anche se con modalità completamente diverse da quelle sempre pensate dal protagonista e immaginate dal lettore. Non voglio dire di più perché toglierei a chi vorrà leggere questo romanzo il gusto di scoprire l’intreccio ed i particolari, che sono parte importante del fascino della scrittura di Lernet-Holenia.
Marte in Ariete si è rivelato essere, come altre opere dell’autore da me lette, un romanzo che mi lascia sentimenti contrastanti.
Da un lato c’è l’abilità dell’autore di costruire storie che, come detto, affascinano per come presentano il tema del destino individuale e della impossibilità di mutarlo sia da parte dei personaggi sia da parte degli avvenimenti esterni. In questo romanzo Lernet-Holenia ci vuole dire che il nostro destino è comunque scritto, anche se con caratteri che a noi sono inintelligibili, e che solo in un mondo di mezzo tra realtà e immaginazione riusciamo a comprenderne alcuni brani. C’è un momento chiave, nel libro, quando al protagonista, che si aggira solo nelle retrovie della battaglia, viene ordinato da un superiore, il Capitano Sodoma, di scattare verso un gruppo di alberi poco lontani. Wallmoden si rende poco dopo conto che l’ordine gli è giunto da un fantasma, perché Sodoma è morto poche ore prima nella battaglia; mentre comunque esegue l’ordine (perché Optimi consiliari mortuii) un aereo sgancia la bomba che lo ferirà: sarà proprio questo ferimento che gli permetterà di giungere all’appuntamento, di avere la sua ora magica.
Tuttavia questa tesi, questa ideologia – direi – dell’ineluttabilità del destino, già da sé testimonia abbondantemente dell’aristocratico conservatorismo del nostro, e si accompagna, in questo romanzo come in altri di questo autore, ad un altrettanto aristocratico distacco dagli avvenimenti storici di cui Lernet-Holenia è stato testimone.
Certo, riconosco che nel romanzo non vi è alcuna apologia del nazismo, dell’espansione tedesca, anzi affiora in alcune descrizioni di masse in fuga, di villaggi che bruciano una certa pietà per il destino di un popolo e di una terra, – e questo aspetto è certamente da sottolineare soprattutto perché scritto quasi in presa diretta – ma da qui a dire che questo libro rappresenta un esempio di resistenza passiva al nazismo, di possente raffigurazione dello sfacelo… ce ne corre. Se tutto questo c’è in filigrana, come dice Adelphi, si tratta di una filigrana sottilissima, quasi impercettibile, che emerge appieno, a mio avviso, solamente nella giustamente celebrata metafora della migrazione dei gamberi.
A Lernet-Holenia, come detto, la guerra interessa essenzialmente in quanto possente fattore di condizionamento dei destini individuali e collettivi, e non come dramma sociale esecrabile in sé. Si fa oggettivamente fatica, leggendo, ad immaginarsi Wallmoden e gli altri nella divisa della Wehrmacht, a distinguere le croci uncinate sui mezzi che percorrono le polverose strade polacche nella tarda estate del 1939 e si è inconsciamente portati a vedere il protagonista e gli altri ufficiali nelle uniformi bianche dell’impero austro-ungarico, di quel mondo scomparso che è l’essenziale punto di riferimento culturale di Lernet-Holenia. Insomma, se è vero – come è vero – che il ministero della propaganda impedì l’uscita del libro nel 1941, credo che ciò sia stato dovuto più alla mancanza nel romanzo di slancio patriottico e di esplicito appoggio alla guerra che ad un suo presunto antinazismo, anche perché in quel caso oso ritenere che le conseguenze sarebbero state ben diverse, per l’autore. Credo che alla censura ministeriale abbia anche contribuito il fatto che non fosse possibile per un capitano della Wehrmacht chiamarsi Sodoma! Direi quindi che si tratta di un libro a-nazista, in cui il nazismo in quanto tale non compare affatto, perché altri sono gli obiettivi dell’autore. E’ un libro in cui, in una forma molto criptica, viene presentata anche l’opposizione al regime, che assume però i tratti di un complotto straniero. E’ comunque, come altri libri di Lernet-Holenia, un romanzo da leggere e che invita alla riflessione e alla discussione, anche al fine di evidenziare quelli che secondo me sono indiscutibili limiti culturali e politici dell’autore, che lo accompagneranno anche per tutto il dopoguerra.
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