Dettagli Recensione
L'alba dell'Islam
Questo romanzo, scritto da Youssef Ziedan, accademico egiziano esperto in filosofia islamica, ha tempi, modi, linguaggio diversi dai nostri, ma proprio per questo tanto più fascinosi e interessanti. Il racconto si dilata in paesaggi polverosi e assetati, schiacciati dalla calura diurna e raggelati dal freddo notturno. Qui il sole, nel suo cammino giornaliero, detta legge e impone a uomini e animali una vita dura e aspra.
Protagonista e voce narrante del libro, a dispetto del titolo, è una giovane donna egiziana di religione copta che vive in un piccolo villaggio ai margini orientali del delta nilota. Data in sposa a un arabo proveniente dagli insediamenti nabatei, vicino all’antica Petra, territori ancora dominati, nel settimo secolo, dall’impero bizantino, Marya vivrà qui lunghi anni della sua vita, mutando esternamente l’aspetto fino ad assumere quello di una vera araba, in realtà estranea a quell’ambiente ostico, mai veramente integrata, stordita e infelice.
Il libro è un romanzo: sviluppa una sua trama, conferisce a buona parte dei personaggi spessore psicologico. Tuttavia è anche un testo a carattere geografico perché, attraverso gli occhi di Marya,
scorre davanti ai nostri, il territorio levantino con tutti i suoi misteri, le sue meraviglie, le sue miserie.
Marya è una ragazza vivace, intelligente e curiosa, purtroppo, non per sua colpa ignorante; bagaglio culturale ed esperienze di vita sono scarni, costruiti per lo più sui rari e lacunosi insegnamenti trasmessi dal prete del villaggio natio e sui consigli avari e semplici di una madre vedova, impegnata nell’assistenza alla famiglia, a sua volta vittima di una società arretrata, chiusa alle esigenze femminili. Marya chiede, si informa, ottiene qualche risposta spesso non soddisfacente, capisce e non capisce (non ha gli strumenti per arrivare al cuore di problemi che le giungono per di più semplificati e incompleti). Tace, non esterna i suoi sentimenti, soffre; e mentre il desiderio di accrescere le sue conoscenze si amplifica, cerca tuttavia di adattarsi al nuovo ruolo di moglie che sente stretto e accetta tutte le limitazioni che le impone il marito, a cominciare dal velo integrale.
La giovane prende nota di usi, costumi, leggi del suo nuovo popolo, dedito ai commerci di lunga distanza. Osserva la vita delle donne, perennemente in attesa del ritorno degli uomini. Nel vuoto interiore che la opprime, sente su di sé la protezione della suocera, donna saggia e comprensiva, cui si affida, in assenza della madre. Molte altre figure femminili ruotano intorno alla protagonista, alcune semplici comparse, compagne di pochi giorni, altre più importanti e, fra queste, Laila, sua cognata. Laila è una donna delicata e dolce ma, all’occorrenza,dura e determinata, è la sua consigliera, la sua confidente, l’amica che l’aiuta a superare momenti difficili, a sopportare il marito rozzo e insensibile, ad apprezzare la vita in tutte le sue sfumature. Talvolta è misteriosa e sfuggente; apparentemente libera, in realtà è piegata alle leggi tribali come tutte. Perciò finirà con lo scomparire improvvisamente dall’orizzonte di Marya, lasciandola sola e desolata, incapace di capire che cosa veramente è accaduto.
E il Nabateo? Indicato nel titolo con quel termine “scriba“ che sembra definirlo una volta per tutte e relegarlo a una precisa e unica mansione, in realtà è figura molto più complessa. In un periodo storico di grandi cambiamenti, quando Maometto fonda la religione islamica e convoglia la rabbia e l’aggressività delle tribù interne oltre i confini della penisola arabica, il Nabateo incarna una visione della vita semplice, supportata da una propria filosofia spirituale, lontana da esigenze troppo concrete. Egli è uno spirito libero, un uomo gentile che parla a chi vuole ascoltare, risponde a chi fa domande, vive appartato e con modestia, ligio al proprio credo religioso, uno dei tanti diffusi nella sua terra, prima che il monoteismo islamico faccia nuovi e molti proseliti. L’avvento dell’Islam è gonfio di pesanti conseguenze anche per i Nabatei, che abbandonano le vie carovaniere e i commerci ormai insicuri per dedicarsi a nuove attività, fra le quali l’allevamento dei cavalli, necessari per la guerra. Nella tribù di Marya c’è fermento e preoccupazione nello stesso tempo: molti, e fra questi suo marito, si convertono. Il Nabateo, invece, non cambia, rimane fedele ai suoi valori, ma vive più isolato e silenzioso. Il suo sincero attaccamento alla tradizione, non compreso dai membri del gruppo, colpisce, al contrario, Marya che, da quando aveva fatto la sua conoscenza, era stata affascinata da una personalità così originale, tanto da percepire i discorsi dell’uomo come un balsamo per l’anima. Ora più che mai, nella difficoltà del momento, la donna sente che per lei lo scriba rappresenta quello che non ha, l’aggancio con un dimensione diversa che le permetterebbe di sopportare la dura realtà. La maturazione di quel legame speciale, che Marya sente rafforzarsi in sé, la condurrà, forse, a una svolta esistenziale la cui portata non ci è dato conoscere.
L’ultima osservazione che voglio fare, riguarda il linguaggio usato nel testo. Estremamente semplice, quasi elementare sia nelle descrizioni sia nei dialoghi, non molto frequenti, mi ha lasciata, all’inizio della lettura, perplessa. Eppure presto mi sono resa conto che nessun altro linguaggio, se non quello, avrebbe potuto rendere così bene il pensiero di una persona semplice ma capace di cogliere con attenzione tutto quanto le accadeva intorno. Gli stessi sentimenti trovano, nella essenzialità della scrittura una espressione piena, tanto da poter essere condivisi e interpretati in senso moderno.
Non mi resta che consigliare questo libro: paesaggi, protagonisti, eventi rimarranno impressi a lungo nella mente.
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