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I fratelli Oppermann
Questo bellissimo romanzo è particolare sotto diversi punti di vista; non fu scritto dopo l’Olocausto ma prima, durante addirittura, quando di tutto quello che succedeva agli ebrei nel Reich e poi via via in Europa non si sapeva nulla. L’autore di origine ebraica esiliato nel 1933 in Francia e successivamente negli Stati Uniti, ha voluto descrivere in tempo reale l’enormità di ciò che stava accadendo in Germania dopo l’avvento di Hitler al potere. Il romanzo uscì nel novembre 1933 in lingua tedesca in Olanda per poi avere subito traduzioni in quasi tutte le lingue europee ed arrivò clandestinamente anche in Italia come ci racconta primo Levi, dove non fu pubblicato dalla Mondadori per un verosimile veto di Galeazzo Ciano. E’ anche, o forse soprattutto, “un libro di dolore” come lo recensiva una rivista ebraica del tempo e credo che nessun’altra definizione sia più appropriata di questa.
La saga di questa famiglia tedesca di ebrei borghesi prende l’avvio nel novembre del 1932 per concludersi verso la fine del 1933; il libro è suddiviso in tre parti Ieri Oggi Domani, anche se adesso sappiamo che quello che l’autore immaginava potesse succedere nel Domani è stato superato da una barbarie ancora più atroce, la Soluzione Finale, della quale ancora non si sapeva quasi nulla.
La storia narra le vicende dei quattro fratelli Oppermann (Martin, Gustav, Edgar e Klara) e di quelli che gli sono vicini come il commesso Wolfsohn, la moglie goi di Martin, il cognato Lavendel. Gli Oppermann sono agiati, eredi di Immanuel Oppermann fondatore di un grande mobilificio che produce in serie ed arreda quasi tutte le case della piccola borghesia del tempo del quale si occupa ora Martin, Gustav è un letterato mentre Edgar è un otorinolaringoiatra di fama internazionale. All’inizio non pensano che la situazione sia grave, provano a rimediare cambiando il nome al mobilificio (Germanico) fatto ormai bersaglio di razzismo, fanno affidamento sulla loro storia e il loro prestigio di tedeschi ma a poco a poco tutto precipita. Tranne alcuni più illuminati, non solo non riescono a vedere i prodromi dell’immane tragedia che di lì a breve li avrebbe colpiti ma non credono nemmeno a coloro che cercano di metterli in guardia. Senza quasi accorgersene si ritrovano a vivere in un ambiente ostile, popolato da urla, svastiche, camicie brune, vengono fatti oggetto di discriminazioni, rivalse e meschine vendette da parte di coloro che ora si sentono superiori con l’avallo del nuovo partito al potere al quale era arrivato cavalcando il malcontento delle classi medie e dei disoccupati.
Subito dopo l’incendio del Reichstag (febbraio 1933) la situazione peggiora, l’epilogo sarà tragico: Berthold, figlio di Martin, si suiciderà per le angherie subite da un professore nazista, Ruth, figlia di Edgar, partirà per TelAviv, tutti gli altri saranno condannati alla diaspora in Europa o negli Stati Uniti o a morire per aver voluto conoscere l’orrore.
Leggendo questo romanzo si ha la sensazione che poco alla volta cali su di noi una coltre opprimente, che toglie il respiro, un oscuramento della luce di una speranza che sappiamo non esserci stata e, calandoci in quest’atmosfera si può tentare di riuscire a concepire l’inconcepibile, quello che è stato tolto a questi esseri umani protagonisti loro malgrado della Storia.
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Come l'autore aveva visto lontano!