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Notturno in do diesis minore
Wladyslaw Szpilman è uno degli eletti, un ebreo sopravvissuto all'inferno della persecuzione nazista.
La sua storia ha dell'incredibile e merita di essere conosciuta per la straordinaria forza vitale che trasmette, malgrado parli soprattutto di morte.
L'orrore del ghetto di Varsavia, con mezzo milione di ebrei prigionieri in una piccola parte della città, è raccontato con uno stile sobrio che fa trapelare appena le emozioni e lascia soprattutto spazio ai fatti nudi e crudi.
Il ghetto, imposto dagli invasori tedeschi, è come una bolgia di dannati costretti a vivere in zone delimitate, a restare in guardia per non incrociare nazisti di cattivo umore, a tornare a casa ripulendosi dai pidocchi portatori di tifo.
E poi, mentre il cerchio si stringe, le retate, le uccisioni quotidiane, lo spettro della miseria, le umiliazioni dei sadici oppressori contro la gente inerme, i lamenti degli orfani che mendicano cibo, la sensazione costante di un pericolo che incombe.
Szpilman è pianista e compositore e continua a pigiare sui tasti anche quando il frastuono dell'artiglieria tedesca copre la sua musica, con un accanimento che ha tutta la dignità offesa della sua arte.
Costretto a nascondersi e a vivere di espedienti, porta sempre con sé le sue composizioni, insieme alle uniche cose ancora in suo possesso: un orologio e una penna stilografica.
Non c'è odio o desiderio di vendetta nelle pagine che ha lasciato, solo una pacata tristezza e il desiderio di ricordare, più per se stesso che per gli altri.
Con immagini vivide e toccanti racconta della sua famiglia scomparsa, racconta di sua madre, che non mancava mai di scodellare a tavola la minestra, assicurandosi che tovaglia e tovaglioli fossero sempre puliti e che non si parlasse di argomenti tristi:
“Passerà tutto, aspettate e vedrete”.
L'ultimo pasto consumato insieme ai genitori, alle sorelle e al fratello prima della fatale partenza (lui verrà sottratto al convoglio da un conoscente all'ultimo minuto) è una piccola crème caramel divisa in sei parti da suo padre.
Ricorda l'estremo saluto di quest'ultimo tra la folla di disperati prima di salire sul treno diretto ai campi di sterminio: “...sollevò una mano in un gesto d'addio, come se lui dall'oltretomba prendesse congedo da me, che partivo verso la vita”.
La morte gli passa spesso accanto, lo insegue ma non riesce mai ad agguantarlo.
Per qualche motivo, lui deve vivere ed andare avanti anche quando la sua stessa volontà è fiaccata dalle sofferenze.
Questo dato di fatto, percepito chiaramente dopo essersi risvegliato vivo tra i resti ancora fumanti di un edificio in fiamme, è una rivelazione che gli procura rinnovata energia:
“Una brama illimitata e animalesca di vivere a qualsiasi prezzo”.
E' ormai allo stremo delle forze e fuggiasco da anni quando un ufficiale tedesco lo aiuta a nascondersi e gli procura del cibo.
Nel bel film di Roman Polanski che ne è stato tratto, il nazista appare ammaliato e convertito al bene dall'esecuzione al piano di Szpilman.
In realtà l'ufficiale aveva già salvato diversi ebrei e l'incontro fra i due uomini è semplicemente il trionfo dell'umanità in mezzo alla barbarie, celebrato da un Notturno di Chopin che Wladek esegue con mani irrigidite e sudicie su un pianoforte scordato.
Le note fluttuano sulle macerie circostanti e tornano indietro “in un'eco sommessa e malinconica”:
è il primo spiraglio di luce, l'alba ancora timida che annuncia la sconfitta delle tenebre.
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Commenti
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La storia, nella sua tristezza, è meravigliosamente raccontata, e dimostra che un dramma che ha coinvolto milioni di uomini può essere capito nella sua crudezza anche attraverso gli occhi di uno solo.
(ATTENZIONE ALLO SPOILER CHE SEGUE)
Ci sono due scene, nel film, che fanno rabbrividire (non mi vergogno a dire che mi sale il classico groppo alla gola ancora oggi, quando le guardo), e tu, Cristina, le hai praticamente citate.
Una è al pianoforte (a cui riporta la copertina) nel momento in cui l'ufficiale tedesco domanda a Szpilman cosa fa nella vita... La doppia risposta del pianista fa malissimo.
L'altra è la morte che ancora rincorre Szpilman sino alla fine delle sue sofferenze, quando egli va incontro ai russi liberatori, e non si accorge di avere indosso, per ripararsi dal freddo, il cappotto che l'ufficiale nazista gli ha regalato. Per paradosso, rischia di morire proprio nel momento in cui è salvo (... ho sempre pensato che Polanski abbia una certa cattiveria registica)...
Uno dei più bei film sull'insanità nazista... Dalla recensione, mi sembra di capire che il libro è almeno allo stesso livello.
E con questo giro di valzer di parole ( da sagra di paese, piu' che Chopin) ti dico che questo commento e' molto toccante.
Ciao :-)
@Rollo l'episodio paradossale del cappotto è lo stesso del libro, quindi non è colpa di Polanski :-) La doppia risposta del pianista invece nel libro manca, e nel film purtroppo non la ricordo.
@CUB: sono contenta che la mia recensione serva a far conoscere certi argomenti anche a chi come te non riesce a leggerli :-)
"Sono un pianista" afferma in uno scatto d'orgoglio.
Subito, tornando a sentirsi un essere inferiore (Adrien Brody, che interpreta il pianista è grandissimo), si corregge: "Ero un pianista".
Poi l'ufficiale nazista lo inviterà a suonare, e in qualche modo lo salverà.
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