Dettagli Recensione
Di chi la colpa?
Verso la fine del 1800 accadde un fatto che colpì l’opinione pubblica: una madre, nel corso di una punizione “educativa”, provocò la morte della propria figlia di quattro anni.
Fu processata e condannata per omicidio.
Questo romanzo riscrive, romanzandolo, quel lontano evento ricreando, con prosa ricercata e suggestiva, gli eventi, i contorni, i pensieri e le sofferenze ad esso legati.
L’ambientazione è in un’Irlanda di fine secolo, come sempre in vivace contrapposizione fra nord e sud, fra cattolici e protestanti, fra proprietari terrieri e una nascente consapevolezza degli strati più poveri della popolazione. Un quadro storico in sé affascinante, che arricchisce il colore generale del romanzo pur restando sempre nello sfondo.
Herriet, madre severa e inflessibile ricrea sui propri figli l’educazione rigida cui a sua volta era stata sottoposta da bambina, soffocando le espressioni dell’amore che pure nutre nei confronti dei figli.
Le punizioni sono frequenti e talvolta violente ma Herriet non ne avverte l’eccesso, anzi ritiene un dovere non transigere per indirizzare nel modo giusto il carattere dei figli.
Senonché, come dicevo, ci scappa il morto, anzi la morta: la piccola di casa, unica femmina, finisce con lo strozzarsi con la lunga calza con cui le erano state legate le mani.
Questo evento sarà raccontato a due voci, a capitoli alterni: da una parte il diario che Herriet scrive durante la prigionia, dall’altro il resoconto delle conversazioni che Maddie, cameriera della nobildonna al tempo della tragedia, ha con la pronipote di Herriet durante i suoi ultimi giorni di vita.
I due racconti si alternano e si intrecciano, aggiungendo man mano tasselli di verità alla storia, che alla fine risulta assai più complessa di quanto appare inizialmente.
Il libro crea una profonda emozione per l’alternarsi di sentimenti positivi e negativi, di colpe intrecciate e di due storie di sofferenza che sono maturate l’una accanto all’altra senza mai riconoscersi.
Bella la prosa, più raffinata nella parte relativa al diario di Herriet, più libera e sciolta nel racconto della popolana Maddie.
Molte pagine di descrizioni accurate delle sensazioni, delle emozioni, dei ricordi, delle persone e dei luoghi, quasi esclusi i dialoghi, ma il libro scorre ugualmente bene e dopo ogni interruzione ci si torna volentieri.
In un certo senso, come forma narrativa e capacità di introspezione dei personaggi, mi ricorda Le Braci di Sandor Marai e mi ha lasciato lo stesso piacere di lettura e la stessa incapacità di definire a chi ascrivere la maggior responsabilità morale per la tragedia.
[…]
In che modo posso descrivere come mi sento quando sono con lui, quando siamo assieme noi due soli? Ha qualcosa a che fare col tatto, e qualcosa a che fare col dolore, e qualcosa a che fare con il vivere, e qualcosa a che fare con la libertà, e qualcosa a che fare con la perdita, e qualcosa a che fare con il tornare a se stessi, e qualcosa a che fare con la paura, e qualcosa a che fare con il sollievo, e coi colori, colori stupefacenti, e con l’armonia, e con il ritmo, e con l’abbandono. Come un rimbombo, uno sfarfallio, una danza. E, quand’è finito, spesso, arriva un figlio. È il prezzo da pagare.
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Commenti
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Tutta questione di punti di vista, sei riuscita a seguire il filo del discorso senza essere distratta da argomenti di politica e altri fattori cogliendo il messaggio essenziale, non per me perché prediligo un filo conduttore diretto e incentrato unicamente sulla trama,cioè la bambina morta. Ma è un libro tutto sommato non male. :-)
Siamo diversi e questo è un bene! Sarebbe assai noioso incontrare solo persone che la pensano come noi, non credi?
Ti ringrazio per il commento e per la tua valutazione positiva : )
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