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insomma...
Harris, solitamente svolge un compitino da bravo scolaro, inserendo i giusti riferimenti storici e insaporendo il tutto con una spruzzatina di suspance. Ciò che però non gradisco, in questo come in altri suoi titoli riferiti all'antica Roma, è la presenza di brutti scivoloni storici: non puoi inserire la parola "carta" in un libro che parla di una vicenda svoltasi prima dell'avvento di Cristo. Qualcuno potrebbe pensare che in inglese carta si scrive paper, assonante con la parola papiro in italiano e quindi potrebbe dare la colpa al traduttore. Ma quando, qualche pagina più avanti, leggi la parola granturco, hai una conferma schiacciante della poca attenzione con cui il libro è stato scritto. Poniamo il caso che il traduttore (Renato Pera) sia stato ubriaco e che abbia fatto un pessimo lavoro, anche così il romanzo non regge per la quasi assoluta mancanza di dialoghi, soprattutto in un libro che parla di Cicerone, uno che ha fatto della parola la ragione della sua immortalità. In alcune parti, poi, lascia alcuni argomenti in sospeso: dice che Cicerone convinse il senato di una sua opinione con un discorso, e poi non lo racconta (anche sinteticamente). Insomma, troppi buchi, troppe parentesi.
Per uno abituato a Ken Follet, Wilbur Smith, John Grisham ed altri autori della stessa risma sarà un capolavoro. Per me, che sono un fastidioso pignolo e che amo i rompicapi, è una favoletta da bimbi
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dopo la lettura di Pompei mi ero già fatta un'idea abbastanza precisa di questo scrittore ed avevo già depennato dalla lista questo titolo....