Dettagli Recensione
Tanto rumore per nulla
Mi sono lasciato affascinare dal vantato successo del “passaparola” e dall’indubbia carica suggestiva del titolo della versione italiana (peraltro assolutamente privo di riferimenti alla storia, al contrario di quello spagnolo - Il tempo tra le cuciture), ciò che ha finito per acuire la delusione inflittami da questo romanzo.
Gli ingredienti per farne una storia affascinante ci sono tutti: la vicenda un po’ feuilleton della protagonista Sira Quiroga, sartina divenuta titolare di un atelier d’alta moda e spia; l’esotismo dell’ambientazione nel Marocco allora spagnolo; il contesto storico del colpo di stato franchista e la partecipazione romanzata di personaggi reali del periodo. Ma nella narrativa conta moltissimo come una storia ci viene raccontata, ed è proprio qui che, a mio parere, tutto cade.
L’impressione è che la ricchezza delle fonti storiche – testimoniato dall’estesissima bibliografia – e la preoccupazione di utilizzarle ampiamente abbia finito per prendere la mano all’autrice. Molte delle informazioni “storiche” vengono infatti trasmesse al lettore con una dovizia di particolari solo assai parzialmente funzionali rispetto alla narrazione. Non a caso questa informazione viene spesso fornita attraverso colloqui tra i personaggi che in realtà si risolvono per lo più in monologhi , o al massimo scambio di monologhi, anziché dialoghi; e per di più in circostanze e situazioni che li rendono del tutto implausibili.
La ridondanza dell’informazione non riguarda soltanto gli eventi storici. E’ certamente necessario, per esempio, che la protagonista informi il commissario che la inquisisce delle proprie vicende e dei propri intenti: ma perché ricorrere a un discorso diretto che ripercorre per filo e per segno quanto il lettore già conosce, quando basterebbero pochi cenni di discorso indiretto?
Una parte notevole, nel romanzo, tocca al personaggio di Felix, che si colloca nei confronti della protagonista narrante come una sorta di Pigmalione. La stessa narratrice afferma, a proposito delle questioni di forma su cui lui la istruisce: “Non riuscii mai a capire dove avesse imparato quelle cose, visto che la sua esperienza sociale era inesistente e la sua cerchia di amicizie scarsa quanto la mia. La sua vita si limitava al lavoro monotono presso l’Assessorato alle forniture e ai servizi, a sua madre e alle sue miserie, alle sporadiche scappatelle notturne in locali malfamati e ai ricordi di qualche raro viaggio a Tangeri prima che iniziasse la guerra: tutto lì. Non aveva mai messo piede in Spagna in vita sua.” Il mistero rimane tanto più fitto e paradossale per il lettore, soprattutto perché è proprio lo stesso Felix a fornire con dovizia di particolari notizie sul generalissimo Franco, il suo entourage e relativi intrighi, i suoi familiari, quasi parlasse di compagni di merende. Vero è che Felix leggeva moltissimo, anche riviste straniere, ci informa poco dopo la narratrice: ma molte di quelle informazioni non possono essere tratte altro che dai testi citati in bibliografia, di decenni posteriori all’epoca delle vicende narrate!
Le vicende di Sira Quiroga si inserisco in un periodo tragico della storia di Spagna, ma l’eroina appare motivata da ragioni puramente personali, egocentriche, e quindi, rispetto alla drammaticità degli eventi, assolutamente priva non solo di passione ma persino di una partecipazione appena più che superficiale, di maniera. Ecco come sintetizza gli eventi dell’anno che si chiude: “Poi, in aiuto dei repubblicani accorsero le Brigate internazionali, Hitler e Mussolini riconobbero la legittimità di Franco, Josè Antonio Primo de Rivera venne fucilato in un carcere di Alicante, misi insieme ottanta sterline, arrivò il Natale.” All’editing sfuggono spesso anche particolari banali come, ad esempio, “quasi cinquantamila pesetas” consegnati alla protagonista a p. 50 che diventano d’un tratto “centocinquantamila pesetas” a p. 55. Si lasciano passare descrizioni dell’abbigliamento delle donne arabe del tipo: “Di solito un pezzo di stoffa copriva la bocca e il naso e scendeva fino alle sopracciglia.”
Ci sono molteplici questioni in cui la credibilità delle vicende è messa a dura prova. Così quando si sostiene che ben 19 pistole possano essere legate con fasce al corpo della protagonista (e a chi e quanto possono essere utili 19 pistole senza un adeguato corredo di munizioni?); o che la stessa riesca poi a trascinarsi dietro un sacco con le pistole, con un piede scalzo e l’altro no, lungo i binari del treno, per tutta la tratta tra la stazione di Tetuàn e quella di Malalien (è facile verificare che si tratta di quasi 3 km!). Più in generale, non appare del tutto plausibile che Sira riesca a confezionare perfettamente i modelli di case rinomate scopiazzandoli dalle fotografie delle riviste di moda, riuscendo a soddisfare le esigenze di una clientela tanto mondana quanto, evidentemente, disponibile ad accontentarsi di imitazioni.
Non mancano poi molteplici casi di un linguaggio figurato talora assai arduo da digerire, come là dove si legge, a proposito di voci maschili provenienti da un ufficio: “… le voci sapevano che c’erano dei clienti e una di loro [la voce?!} ci venne incontro, contenuta in un corpo robusto vestito di scuro.” ; immagine ricorrente, visto che in un altro passo si legge:”’Buongiorno, signorina’ disse la voce togliendosi il cappello. ‘Posso entrare?’” E cosa vedere quando ci si dice che “sentimenti e sensazioni mi si confondevano in testa rimbalzando contro le pareti del cervello” .
Insomma, tutti questi elementi hanno finito per far sì che la mia lettura proseguisse quasi per doverosa inerzia, stancamente, al solo scopo di “vedere come andava a finire”. Accanto al rimpianto per qualcosa che avrebbe potuto essere, ma non è stata, anche una decisa irritazione per il tentativo di parallelo effettuato nel risvolto di copertina con l’ineguagliabile “L’ombra del vento” di Carlos Ruiz Zafòn: un confronto assolutamente impossibile, da pubblicità ingannevole.
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