M. Il figlio del secolo M. Il figlio del secolo

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Bradamante Opinione inserita da Bradamante    26 Settembre, 2023
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Febbrile

Confesso che per le prime trenta pagine sono stata preda di dubbi e esitazioni. Ho persino appoggiato il volume da parte e ho letto nel frattempo un paio di altri libri. Poi l’ho ripreso in mano e non mi sono più fermata. Ottocentiventicinque pagine, dal 23 marzo 1919 al 3 gennaio 1925.
Ogni capitolo - composto da non molte pagine – inizia con l’indicazione di una data, un luogo e un personaggio e termina con brevi ritagli o citazioni di articoli di giornale, di brani di discorsi, di telegrammi, lettere o comunicati.
Ogni parola riportata, ogni dialogo proviene da fonti storiche, eppure si legge come un romanzo.
I ricordi del liceo su quegli anni ammontano a pochi elementi: il ritorno degli Arditi dalla Grande Guerra, il biennio rosso, la reazioni degli “agrari”, la marcia su Roma, il delitto Matteotti. Il libro di Scurati ci conduce tra questi avvenimenti storici- senza dimenticare l’occupazione di Fiume-ricostruendo le dinamiche, le relazioni, i personaggi, le forze in campo, tenendo al centro Mussolini, che come un magnete funge da calamita nello spazio attorno a sé.
Impariamo a conoscere – tra gli altri- Margherita Sarfatti, Gabriele D’Annunzio, Nicola Bombacci, Italo Balbo, Giovanni Giolitti, Giacomo Matteotti, tratteggiati con grande perizia.
Il testo ci accompagna nel percorso di affermazione del Fascismo in Italia, con un ritmo all’inizio lento e poi via via più intenso e febbrile mano a mano che ci avviciniamo al culmine drammatico dell’omicidio di Giacomo Matteotti.
La violenza permea di sé l’intero libro, che ci mostra anche i momenti in cui la Storia avrebbe potuto prendere una svolta diversa sia per i capricci del caso sia per l’iniziativa di altri uomini che non hanno saputo sfruttare alcune finestre di opportunità.
Di alcune specifiche imprecisioni storiche e di un editing carente rilevati da Ernesto Galli della Loggia ha dato conto il Corriere della Sera. Per quanto mi riguarda posso dire di aver rilevato a pagina 287 la cottura a Ferrara due giorni prima di Natale del cappon magro, che è una preparazione di pesce della tradizione ligure pasquale. Si intuisce che si tratta di un semplice brodo di cappone, ma anche questo piccolo errore conferma che l’editing non è stato accurato.
Questo non togli che si tratti di uno dei migliori libri usciti negli ultimi anni.

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lepree Opinione inserita da lepree    06 Luglio, 2020
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C'è fascismo e fascismo

Quando approcci per la prima volta M, sin dalle primissime pagine sul patetico (nel senso proprio etimologico) raduno di San Sepolcro a Milano, capisci che l’afflato dell’opera che è valsa lo Strega a Scurati è di ampio respiro. Un respiro in cui la storia si mescola con la vicenda umana e psicologica del Paese e, di conseguenza, dell’ “Uomo del secolo”.

Il racconto ha il taglio di una cronistoria e il lavoro sulle fonti dell’autore non può che essere messo in risalto. Tutti conoscono, chi più chi meno mi verrebbe da dire, la vicenda dell’ascesa del fascismo in Italia. Pochi le condizioni perché un fenomeno così radicale abbia preso il sopravvento nel giro di un paio d’anni, rivoltando completamente gli equilibri del potere politico.
“M” è riuscito ad appassionarmi, nonostante il taglio sia quello di una storia con vene romanzate e non un vero e proprio romanzo storico. Il modo in cui si è dentro la testa del duce, di come si riescano quasi a toccare i suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue ridicolezze nascoste tra pose e retorica, è il pezzo forte del piatto. La prosa cruda, che non disdegna però la ricercatezza per delineare lo sfondo della vicenda, è il compromesso perfetto tra il racconto scevro dei fatti e il tentativo, per quanto più possibile, di un’analisi che non sia figlia del senno di poi.

C’è il Mussolini arrivista, disposto a tutto o quasi pur di prendersi la sua rivincita personale. Rivincita col mondo, che lo ha relegato a figlio di un fabbro costretto ad emigrare per non morire di fame. Rivincita sugli storici compagni socialisti che non hanno saputo interpretare il segno dei tempi e lo hanno isolato e infine dannato. C’è il Mussolini dei compromessi eterni, quello che alterna sapientemente bastone e carota, tanto con gli avversari politici, quanto (soprattutto) con i rivali interni al fascismo. C’è il Mussolini amante e padrone dei palchi, quello solitario e pessimista, quello ridicolo e ripulito.

Il testo si presta a letture trasversali che possono offrire spunti anche sul presente. La mollezza immobilista di un socialismo italiano che aveva le torce spente e i forconi spuntati e ha fatto marcire i semi maturi di una rivoluzione sociale che non c’è mai stata, ricorda la frammentazione odierna in cui i progressisti sembrano impantanati per sempre. C’è la violenza come matrice, come scopo e come unico rimedio. La stessa che sembra riemergere con forza nel dibattito pubblico e, a cascata, nella vita civile del Paese.
Scurati ha l’indubbia capacità di presentare al lettore tutti i crocevia fondamentali per cui è passata la vicenda del fascismo, cercando di delineare le cause e concause che hanno portato alla degenerazione dello stato liberale. Non ci sono sconti per i picchiatori e bastonatori fascisti, per i loro metodi spicci e barbari, per la loro vigliaccheria. Ma non ce ne sono nemmeno per gli avversari politici, inermi e pachidermici nei loro vani tentativi di mantenere il potere una prerogativa per i pochi frequentatori di palazzo. Nemmeno il Paese, povero, ignorante, pronto a vendersi “per un piatto di lenticchie” viene risparmiato.

In “M”, l’autore non cerca colpevoli ma responsabili. Non traccia il profilo di un mostro sadico che ha ingabbiato una nazione intera, ma quello di un uomo incredibile, davvero, capace di tutto e il contrario di tutto e di un terreno di gioco che ha favorito questa spregiudicatezza. In poco più di ottocento pagine, l’autore copre con una narrazione esaustiva e non noiosa un arco di tempo che va dal 1919 al 1924, con l’omicidio Matteotti, le sue trame e i suoi retroscena, a chiudere la prima fatica di una trilogia che racconterà, a quanti vorranno andare oltre gli slogan e la retorica, un ventennio cruciale per la storia che viviamo ancora tutti i giorni.

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Rollo Tommasi Opinione inserita da Rollo Tommasi    28 Gennaio, 2020
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Cronache dall'inizio della fine

“Ma chi è davvero questa gente? Dov’erano rintanati fino a ieri? Non è possibile che sia stato lui a far nascere queste folle di pantofolai che all’improvviso impugnano il bastone. E nemmeno la guerra. A essere sinceri, nemmeno la guerra può essere il padre di tutte le cose. Il virus che dilaga lungo la via Emilia, contagiando migliaia d’impiegati postali pronti a incendiare Camere del lavoro, deve essere stato preincubato in tempo di pace. Non può essere altrimenti. Nella guerra non sono rinati, la guerra li ha soltanto restituiti a se stessi, li ha fatti diventare ciò che già erano. Il fascismo, forse, non è l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato.”

Si può fermare su carta la Storia, racconto dei tempi, delle situazioni socioeconomiche, racconto dei movimenti di popoli e masse o della loro inerzia (che è spesso ignavia). Si può narrare la Storia italiana di quasi sei anni – quelli tra il 1919 e l’inizio del 1925 – apparecchiandola nei suoi eventi maggiori: la costituzione dei fasci, l’impresa di Fiume, i primi scontri violenti tra fascisti e socialisti, la nascita del partito fascista, la marcia su Roma, la formazione del primo governo presieduto da un fascista, l’assassinio di Matteotti. Oppure.
Oppure si può tentare un diverso racconto, quello dei fatti storici… che sono anche altro, frutto a volte di assolute contingenze, di umori, occasioni, coincidenze, persino casualità. Allora, la storia smarrisce la lettera maiuscola, ma assume un’altra visuale, e forse anche un altro spessore: è l’incoscienza indomita di Italo Balbo come l’abulia di Gabriele D’Annunzio alla constatazione che una città si conquista con un tratto di penna e non con la più eroica delle scorribande; è l’ignaro incedere di don Giovanni Minzoni come il buio insidioso attorno al quale sono accese la sigaretta e la luce da lavoro di Spartaco Lavagnini; è la camera d’albergo nella quale Margherita Sarfatti attende il suo animalesco protetto così come l’amore pratico delle lettere di Velia Matteotti a suo marito Giacomo; è l’alcool che scende lungo la gola degli squadristi maldisposti a restar seduti in una taverna come le parole spuntate di un’opposizione parlamentare che sta perdendo capacità e coraggio del suo ruolo (e questo sarà il suo contributo al peggio in arrivo); è il prodotto, e “l’avanguardia”, di tutte queste cose: è M. – figlio di un fabbro emiliano e del secolo in corso –, che sta per Mussolini Benito.

L’avvento dell’era fascista raccontato senza trascurare i fatti minimi, ed anzi attraverso gli indizi, i sentori, le avvisaglie, la cornice.
Nelle citazioni dirette di comunicati istituzionali e articoli di giornale, lettere private e dispacci alle prefetture, è l’humus della catastrofe quello che Antonio Scurati riesce a fissare nelle oltre 800 pagine di “M. - Il figlio del secolo”.
Il ritratto del fascismo, parto di tempi contraddittori, lo mostra contraddittorio esso stesso: si affiancano amor di patria e costituzione di milizie private, volontà di riformare le istituzioni e persecuzione del dissenso, esaltazione del duello cavalleresco e spedizioni punitive nelle campagne proletarie. Ma una cosa è chiara, senza contraddizione alcuna: allora come oggi, il fascismo è celebrazione della violenza, e se vi fossero dubbi l’imprimatur viene dalla bocca dello stesso Mussolini quando, parlando della libertà, ricorda ai suoi che è mezzo e non fine.

“Lui, allora, issa il mento verso l’orizzonte, gonfia il petto, tira le somme. Quando due elementi sono in lotta e sono irriducibili, la soluzione è la forza. Non c’è mai stata altra soluzione nella storia e non ce ne sarà mai.”

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Renzo De Felice, Arrigo Petacco, etc... e, a maggior ragione, a chi non li ha letti.
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LuigiF Opinione inserita da LuigiF    02 Novembre, 2019
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Per comprendere quegli anni

Premetto che, a mio avviso, l'esperimento e' riuscito. Ero un po' titubante nell'accingermi alla lettura di un opera difficilmente classificabile (romanzo, biografia, saggio storico ..) e potenzialmente azzardata nel raccontare anni di storia patria coi quali la nostra societa' non ha ancora fatto completamente i conti. La sfida obiettivamente richiedeva toni equilibrati e non ero certo l'autore potesse garantirli. Trovo invece che il risultato raggiunto sia soddisfacente. Il merito maggiore dell'autore sta nella capacita' di far calare il lettore nella realta' violenta degli anni del primo dopo guerra ed in quelli successivi che vedono l'affermarsi del fascismo, in maniera tale che un saggio storico difficilmente riuscirebbe a rendere. Lo stile aspro di Scurati, a tratti ironico, con accenti cupi e grotteschi si presta bene a descrivere quegli anni che a distanza di un secolo appaiono quasi incredibili.
Il periodo raccontato va dalla costituzione dei fasci di combattimento del '19 alla presa del potere del fascismo del '22 per finire con la sua temporanea crisi all'indomani del delitto Matteotti del '24. Cinque anni in tutto, ma cinque anni in cui si condensano alcune dei momenti piu' atroci della Storia moderna Italiana alternati ad altri che hanno connotati a volte grotteschi (la stessa Marcia su Roma ... piu' un armata Brancaleone che un vero sussulto rivoluzionario) a volte del tutto inverosimili (si pensi alla follia Dannunziana della Repubblica di Fiume del tutto surreale ed incredibile se non collocata in quel clima storico sovraeccitato).
Scurati sceglie di raccontarci quegli anni con gli occhi dei protagonisti. Non tanto un affresco sociale ne' tanto meno una interpretazione socio-economica del periodo, bensi'il racconto, in rigorosa sequenza cronologica, di eventi cui attori grandi e piccoli contribuiscono nel loro specifico ruolo. Ed e' questa scelta a dare intensita' narrativa all'opera ed a mostrare il DNA del romanziere. Il tutto pero' si regge con equilibrio senza concessioni alla aneddotica, alla banalizzazione o a forzature caricaturali.
Mussolini innanzitutto, dunque. Senza scrupoli, brutale certo, ma anche spregiudicato giocatore di azzardo e scaltro animale politico. Se il movimento fascista nasce principalmente dalla frustrazione dei reduci di guerra e dalla paura del mondo borghese, soprattutto in ambito agrario emiliano, verso l'avanzata del socialismo dilagante, e' peraltro evidente che Mussolini gioca le sue carte in modo astuto alternando bastone e carota, violenza e lusinga fino al raggiungimento del potere. Nella stessa marcia su Roma, sembra cogliere con perfetto tempismo un momento di estrema debolezza istituzionale per affondare il colpo senza peraltro esporsi in prima persona quasi a prepararsi una via di uscita in caso di fallimento.
Accanto a lui, violenti e vendicativi, gli squadristi fascisti tra le cui file si contano oltre a reduci ed ex-arditi, un accozzaglia di facinorosi e delinquenti che trovano cosi' modo di dar sfogo alla loro natura abietta. Alcuni di essi, raggiunto il potere se ne faranno sedurre e nella consueta tradizione italiana, trameranno per mantenerne i benefici. Altri resteranno fedeli alla loro indole violenta ed a fatica il duce si sforzera' di normalizzarli e domarli. Farinacci, Dumini, Italo Balbo e gli altri sono i comprimari di questa Storia, ma, forse piu' ancora del loro capo, incarnano il modello fascista.
C'e' poi la sfera affettiva del duce. Non tanto la famiglia (di Rachele e dei figli Scurati parla poco), quanto le amanti ed in particolare la Sarfatti, appassionata, devota e colta nonche' appartenente a quella alta borghesia milanese alla quale introduce quel grossolano figlio di un fabbro romagnolo.
A se stante, D'Annunzio, non iscrivibile in alcuna categoria che non sia quella del Mito.
Infine, a contrastare l'avanzata fascista una societa' civile debole ed impreparata. Un piccolo Re (non solo in senso figurato ..), l'elite culturale che flirta coi nuovi potenti (Croce, Pirandello, Toscanini ma anche gran parte della stampa dell'epoca), un mondo imprenditoriale accondiscendente, una opposizione spesso inconcludente e lacerata da divisioni interne. Eppure le eccezioni ci sono ed e' giusto non dimenticarle. Don Sturzo, Gobetti, Gramsci ma anche e sopratutto Matteotti, figura stoica, unico vero antagonista la cui statura possa rivaleggiare con l'astro nascente di Mussolini. Non a caso le conseguenze del suo abominevole omicidio sono le uniche vere insidie per la inarrestabile ascesa del fascismo che, ricordiamolo, stravince le elezioni del 24 a testimonianza della fascinazione esercitata sulla stragrande maggioranza del paese. Di Matteotti Scurati restituisce un ritratto umano toccante cui contribuiscono le appassionate lettere all'amata moglie Velia in cui si alternano l'alto senso del dovere civico con le cocenti delusioni vissute, il desiderio di normalita' e di vita familiare con l'amara percezione dell'isolamento.

"M - il figlio del Secolo" non aggiunge molto a quanto gia' non si conosca. Ha pero' il pregio, come detto, di immergere il lettore nel clima di quegli anni assai piu' intensamente di quanto un manuale possa fare. Un clima in cui la violenza si respirava nell'aria e le istituzioni mostravano tutta la fragilita' di una nazione non ancora compiuta. Al di la' delle opinioni che ciascuno di noi possa avere, comprendere quel clima e' condizione necessaria per capire quegli anni. A noi tutti resta il non banale interrogativo se simili forme di degrado del vivere civile potranno mai ripresentarsi in un futuro piu' o meno lontano.

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ferrucciodemagistris Opinione inserita da ferrucciodemagistris    12 Giugno, 2019
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L'uomo nuovo

Con il presente libro, che definirei saggio storico romanzato e presuppongo foriero di altri volumi , Antonio Scurati intraprende una analisi accurata di quello che fu il ventennio fascista sin dalla sua nascita fino alla disfatta.

Basandosi su documentazione storica, su lettere dei protagonisti e su articoli dei giornali dell’epoca, i fatti e gli accadimenti storici sono abilmente “translitterati” in versione romanzesca ma pur sempre in una cornice fidelizzata.

Ci si addentra nelle cause dell’avvento del fascismo, sui suoi prodromi quale risultanza della crisi economica, delle centinaia di migliaia di reduci scontenti dalla politica di governo del primo dopoguerra, della “vittoria mutilata” dovuta alla mancanza di annessione di territori concessi durante la conferenza di pace a Versailles del 1919, sulla confusione che regnava da nord a sud per le ataviche misere condizioni di vita accentuate dalle spese militari per la Grande Guerra. Tutto ciò provocò un sommovimento di idee e di popolazioni che reclamavano i giusti meriti quale potenza vittoriosa; questa enorme ondata di malcontento fu cavalcata da un giornalista proveniente da ambienti socialisti, di spirito interventista che ambiva a cambiare l’Italia, ma soprattutto gli italiani, e nel contempo acquisire un potere sulle masse tramite ardite promesse di far ritornare l’Italia al ruolo di potenza bellica ed economica.

Il libro abbraccia, quindi, il periodo che va dalla costituzione dei primi fasci di combattimento a Milano nel marzo 1919 fino al discorso alla Camera dei deputati da parte del capo del fascismo il 3 gennaio 1925.

Un saggio-romanzo da leggere per addentrarsi meglio in quel periodo storico.

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Bruno Izzo Opinione inserita da Bruno Izzo    12 Giugno, 2019
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Un uomo banale

Non esiste storia migliore raccontata da chi quella vicenda l’ha vissuta come protagonista, in prima persona. Infatti, non è la stessa cosa se quella storia sia riesumata dagli storici traendola da libri, documenti, giornali dell’epoca, e neanche se è raccontata in diretta da testimoni presenti ai fatti. Come già ebbe a dire Akira Kurosawa nel celebre film “Rashomon”, spesso dello stesso episodio, vissuto contemporaneamente da più testimoni che lo riportano per flashback, le versioni non di rado sono contrastanti, e non si capisce mai bene quale sia la verità. Perché la verità appartiene a chi la racconta, e poiché ciascuno è a suo modo, esistono tante verità, per dirla con Pirandello: una nessuna e centomila. Inoltre spesso, se non sempre, la realtà è scritta dai vincitori. Tutto questo ben lo sa Antonio Scurati, il quale in “M. il figlio del secolo” ha l’idea di far raccontare direttamente a Benito Mussolini se stesso, il suo movimento e quello che ha significato per il nostro paese , essendo il duce a torto o a ragione tra i protagonisti della storia del secolo scorso. Giacchè mai come in questo caso la storia è magistra vitae. Se oggi siamo quello che siamo, è anche perché abbiamo vissuto Mussolini, il fascismo e quanto altro, senza dimenticarci dei corsi e ricorsi storici: dalla “gloria dell’impero” ai”prima gli italiani”, dal “fucile che difende il solco tracciato dall’aratro” ai “porti chiusi”, spesso il passo è breve. Ovviamente, il racconto del duce è romanzato: ma tutto quanto dice è reale, storico, non verosimile ma vero, supportato, documentato e documentabile. Più che un romanzo, un documento, quindi, una ricostruzione degli eventi, al termine della quale il lettore, lasciato libero nella sua riflessione, giunge spesso alla stessa conclusione della “Banalità del male” di Hanna Arendt.

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Scurati, ma anche Barbero e Lorenzo del Boca...a chi la storia la vuole sapere, e bene.
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Mian88 Opinione inserita da Mian88    25 Mag, 2019
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Primo capitolo di un progetto ambizioso

La prima tentazione che coglie il lettore che si avventura nella lettura di “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati è quella di considerarlo quale un saggio o una biografia invece che il romanzo storico documentato, ma comunque romanzato, che di fatto è. Ciò accade certamente per il titolo, per la mole ma anche per la circostanza determinata dall’affrontare, da parte dell’autore, un periodo storico in un modo completamente diverso dal come siamo abituati a leggerlo/concepirlo. Ed è soprattutto nella prima parte che, questo carattere, emerge in modo preponderante perché viene analizzata in una chiave di lettura diversa anche una fase che soventemente tende ad essere meno nota.
Tutta la narrazione ha inoltre luogo come se non fosse avvenuta in un tempo passato quanto nel presente. E proprio per questo, anche se tutti ne sappiamo gli esiti, il lettore è sinceramente incuriosito e invogliato ad andare avanti, è spronato a conoscere un personaggio che ha avuto un indiscutibile successo, caratterizzato da un’intelligenza morbosa, capace di rispettare i tempi, di attendere quando è necessario aspettare, di agire quando è necessario intervenire, affiancato da altrettanti protagonisti della letteratura (quali D’Annunzio, nello specifico consiglio di porre l’attenzione sulla presa di Fiume in cui il rapporto tra Duce e letterato non è così univoco come siamo abituati a studiare sui testi di scuola), da donne ma anche da masse coinvolte da quel linguaggio vuoto eppure apparentemente così pieno, e a cui si contrappongono uomini come Matteotti che arrivano al conoscitore con tutta la loro umanità, con tutto il loro coraggio, con tutto il loro desiderio di andare avanti seppur consapevoli dei rischi che stanno correndo.
Attraverso queste voci Scurati si interroga altresì sulle ragioni che hanno portato al fascismo. Si chiede come sia possibile che questo abbia raccolto in così poco tempo tanti consensi, si interroga su quella società indifferente già espressa da Alberto Moravia nel suo “Gli indifferenti”, si interroga sui ruoli che a ciascuno è dato ricoprire, anche ai militi della Prima Guerra Mondiale che non vengono emarginati e dimenticati, anche a coloro che generalmente non avevano voce, si interroga sui meccanismi con cui viene distrutta la democrazia e cioè attraverso la violenza, attraverso il meccanismo che trasforma la paura in odio e che legittima la prevaricazione del più forte sul più debole con un’aggressività organizzata e incanalata verso un nemico che assolve al compito di perfetto capro espiatorio. Spicca, in questo contesto, la figura dell’eroe, dell’immagine, che, ancora oggi, è seguito e idolatrato quale salvatore indiscusso, spiccano ancora i popoli che tacciono innanzi ai fatti che accadono continuando a vivere come se nulla attorno a loro stesse accadendo.
Viene, ancora, messo in evidenza il bipolarismo tra fascismo quale macchina dell’innovazione, dello spazzar via tutto, dell’eliminazione della vecchia classe borghese a favore del nuovo, del giusto, da un lato, e dall’altro, del vecchio dogma politico, incentrato sulla conservazione, sulla preservazione.
Questo e molto altro è “M. Il figlio del secolo” di Antonio Scurati, primo capitolo di un progetto ben più ampio e che mira a ricostruire interamente le dinamiche di quel ventennio così significativo per il divenire della storia italiana.
Un romanzo con tantissimi contenuti e spunti di riflessione (seppur con qualche piccola imprecisione) che, oltretutto, è anche fortemente attuale tanto da invitare anche alla meditazione su quelli che sono i risvolti della società del nuovo millennio.

«Il Fondatore guarda il proprio riflesso nei vetri delle vecchie finestre in centina e non si riconosce. Il dilagare del movimento che lui ha fondato nemmeno due anni prima gli ritorna ammantato della maestà di un pensiero altrui, di una vita straniera.
Ma chi è davvero questa gente? Dov’erano rintanati fino a ieri? Non è possibile che sia stato lui a far nascere queste folle di pantofolai che all’improvviso impugnano il bastone. E nemmeno la guerra. A essere sinceri, nemmeno la guerra può essere il padre di tutte le cose. Il virus che dilaga lungo la via Emilia contagiando migliaia d’impiegati postali pronti a incendiare Camere del lavoro deve essere stato preincubato in tempo di pace. Non può essere altrimenti. Nella guerra non sono rinati, la guerra li ha soltanto restituiti a se stessi, li ha fatti diventare ciò che già erano. Il fascismo, forse, non è l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato.
Bisogna precipitare gli eventi. Tutto qui. Può darsi che il nuovo anno ti chiami ad arbitrare il match. DI questo passo, la rivoluzione non ha faranno i comunisti, la faranno i proprietari di due camere e cucina in un condominio di periferia.» p. 302-303

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Opinione inserita da Bradamante    12 Febbraio, 2019

Storia e Romanzo

Confesso che per le prime trenta pagine sono stata preda di dubbi e esitazioni. Ho persino appoggiato il volume da parte e ho letto nel frattempo un paio di altri libri. Poi l’ho ripreso in mano e non mi sono più fermata. Ottocentiventicinque pagine, dal 23 marzo 1919 al 3 gennaio 1925.
Ogni capitolo - composto da non molte pagine – inizia con l’indicazione di una data, un luogo e un personaggio e termina con brevi ritagli o citazioni di articoli di giornale, di brani di discorsi, di telegrammi, lettere o comunicati.
Ogni parola riportata, ogni dialogo proviene da fonti storiche, eppure si legge come un romanzo.
I ricordi del liceo su quegli anni ammontano a pochi elementi: il ritorno degli Arditi dalla Grande Guerra, il biennio rosso, la reazioni degli “agrari”, la marcia su Roma, il delitto Matteotti. Il libro di Scurati ci conduce tra questi avvenimenti storici- senza dimenticare l’occupazione di Fiume-ricostruendo le dinamiche, le relazioni, i personaggi, le forze in campo, tenendo al centro Mussolini, che come un magnete funge da calamita nello spazio attorno a sé.
Impariamo a conoscere – tra gli altri- Margherita Sarfatti, Gabriele Dannunzio, Nicola Bombacci, Italo Balbo, Giovanni Giolitti, Giacomo Matteotti, tratteggiati con grande perizia.
Il testo ci accompagna nel percorso di affermazione del Fascismo in Italia, con un ritmo all’inizio lento e poi via via più intenso e febbrile mano a mano che ci avviciniamo al culmine drammatico dell’omicidio di Giacomo Matteotti.
La violenza permea di sé l’intero libro, che ci mostra anche i momenti in cui la Storia avrebbe potuto prendere una svolta diversa sia per i capricci del caso sia per l’iniziativa di altri uomini che non hanno saputo sfruttare alcune finestre di opportunità.
Di alcune specifiche imprecisioni storiche e di un editing carente rilevati da Ernesto Galli della Loggia ha dato conto il Corriere della Sera. Per quanto mi riguarda posso dire di aver rilevato a pagina 287 la cottura a Ferrara due giorni prima di Natale del cappon magro, che è una preparazione di pesce della tradizione ligure pasquale. Si intuisce che si tratta di un semplice brodo di cappone, ma anche questo piccolo errore conferma che l’editing non è stato accurato.
Questo non toglie che si tratti di uno dei migliori libri usciti nel 2018.

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ant Opinione inserita da ant    05 Febbraio, 2019
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l'Italia tra il 1919 e il 1925

Disamina molto particolare su Mussolini e si parla della storia d'Italia tra il 1919 al 1925. Mi ha colpito molto questo passaggio
...i Fasci non hanno un'idea del futuro, non sanno dove sboccare...Bisogna prendere la realtà a grandi linee.In fondo ogni vita valeva un'altra vita, ogni sangue un altro sangue.I fascisti non vogliono riscrivere il libro della realtà, vogliono solo il loro posto nel mondo. E lo avranno .Si tratta solo di fomentare gli odi di fazione, di esasperare i risentimenti. Nulla allora, sarà precluso. Non c'è più né sinistra né destra ...
Particolare

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lego-ergo-sum Opinione inserita da lego-ergo-sum    25 Gennaio, 2019
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Il cappello di Mussolini

Un italiano “non privo di ingegno” centrò in pieno il problema del rapporto tra poesia e storia. Il poeta intuisce, secondo Manzoni, quello che c’è nel profondo dell’animo dei personaggi storici e realmente esistiti. In questo modo, egli “completa” la storia, indagando nel segreto delle passioni e delle motivazioni che ne spiegano l'agire, le decisioni, le scelte.
Ed in piena coerenza con tali premesse teoriche, il conte di Carmagnola, Desiderio, Adelchi, nelle tragedie, Ferrer o il cardinale Borromeo, nei Promessi sposi, vivono, pensano, agiscono, parlano in qualità di personaggi, dicono e fanno cose “verosimili”, che i documenti non riportano o accennano soltanto, ma che “sarebbero” potute accadere e che tocca al narratore immaginare e ricostruire. Così nutrito di storia e di una invenzione sempre calata nel contesto storico, il romanzo consegna ai lettori e agli studiosi un affresco ineguagliato del Seicento, dei suoi mali, delle sue storture, delle sue miserie come delle sue grandezze.
Tutto questo, per Manzoni, si riassume nell’atto specifico del “divinare”, che rende il romanziere diverso dallo storico puro e gli restituisce la sua peculiarità di artista, però non immerso e perduto nei cieli di una fantasia sterile e disancorata dalla realtà.
Perché tornare, parlando del romanzo di Scurati, su queste nozioni che sanno di scolastico e di stantio, ma sono invece ben attuali?
Ogni romanzo storico richiede, forse più di altre declinazioni di questo genere cardine del sistema letterario moderno, una riflessione dell’autore sul modo in cui intende svilupparlo. La bussola che guida Scurati, seguendo la traccia manzoniana, è la documentazione storica, entro i cui confini egli intende muoversi, basando il racconto sempre e comunque su fatti ed eventi reali. A riprova di questo, correda ogni capitolo con testi e documenti ufficiali: editoriali e articoli di cronaca politica, rapporti della pubblica sicurezza (memorabile il ritratto che l’ispettore generale Giovanni Gasti disegna di Mussolini nella primavera del ‘19), manifesti dei partiti, discorsi e scritti dello stesso capo del fascismo, per mostrare al lettore i supporti documentali della ricostruzione effettuata. La trasformazione di Mussolini, come dei suoi comprimari o degli avversari, in personaggio e quindi in creatura dotata di una propria vita artistica, trova per questo un limite chiaro ed esplicito nelle stesse premesse indicate dall’autore. Sarebbe un esercizio presuntuoso e sterile mettere in discussione la poetica di uno scrittore, ma, pur accettando il principio che si è dato, non sarebbe stato lecito, con la forza dell’intuizione, immergersi con maggiore determinazione nel “porto sepolto” del fascismo e dei suoi rappresentanti, vietato alla ricerca dello storico?
Scurati, che è, non dimentichiamolo mai, uno storico, non azzarda e non vuole azzardare, anche se ha dichiarato in un intervista apparsa su Il libraio nel settembre scorso, di aver già fatto grosse concessioni al romanzesco. Proprio in questa occasione cita, insieme ad altri, Carrère come esponente del romanzo storico contemporaneo, mostrando così di considerarlo, se non un modello, comunque un punto di riferimento. Eppure non lo vediamo interagire con le sue creature, entrare in un rapporto dialettico con esse, accompagnarle con ipotesi, dubbi, problematiche finanche personali e desunte dalla propria esperienza di vita: ciò che rende vitali e impareggiabili le riletture di Carrère, poniamo del mostro de L’avversario, di Limonov o di Paolo di Tarso e di Luca ne Il regno.
Il romanzo oscilla così tra la trattazione storica e la rielaborazione letteraria, propendendo in genere per la prima e limitando la libertà creativa ad una sapiente ricostruzione logica e cronologica, che aiuta a comprendere i fatti, rifrange in numerosi quadri la dinamica degli eventi, ne illumina brillantemente i rapporti di causa ed effetto, squarciando con un’opera di forte impegno il panorama asfittico e talora solipsistico della narrativa italiana. Il quadro è ampio e articolato e ne fanno parte figure femminili come le amanti del duce e, con esiti particolarmente felici, la Sarfatti; letterati come D’Annunzio, precursore sconfitto ed emarginato del duce, o Marinetti, il cui manifesto del futurismo anticipa e fornisce un supporto al bellicismo fascista; comprimari, collaboratori preziosi e decisivi come Cesare Rossi; meri esecutori violenti come Dumini, il sicario del delitto Matteotti, anch’egli ritratto in pagine tra le più efficaci, sintomatiche di un’implacabile discesa del paese verso gli inferi dell’arbitrio e della illegalità più assoluti.
Il racconto è percorso, infatti, dal filo rosso della violenza, dei meri e brutali rapporti di forza che fanno dei reduci e degli arditi, gli inevitabili vincitori di un conflitto nel quale diventano decisive la loro abitudine all’uso delle armi e la partecipazione alla prima guerra mondiale, tra la cecità e l’opportunismo imbelle della vecchia classe politica liberale, e l’incapacità dei socialisti di tradurre consenso politico e moti di piazza in una vera azione rivoluzionaria.
Si resta però con un senso di incompiutezza, col desiderio di un quid in più di passione, di coinvolgimento emotivo sia del lettore sia dello stesso autore negli eventi e nei personaggi narrati.
Poiché questo è solo il primo atto di un lavoro che proseguirà e percorrerà l’intero ventennio (per ora siamo giunti al delitto Matteotti e alla nascita della vera e propria dittatura) si desidererebbe da Scurati una scelta più coraggiosa, quella di far pulsare con maggiore energia il suo cuore di “poeta” nelle “sudate carte” dello storico, anche a costo di qualche soluzione meno ortodossa sul piano dell’interpretazione e di qualche cedimento sul fronte della scelta di fondo che si è dato. Che insomma lo storico lasci un po’ di spazio ad una fantasia più libera e più sfrontata, come lo stesso Manzoni, pur rigoroso nemico del romanzesco, fece, ad esempio, quando s’inventò il magistrale dialogo tra Ferrer e il vicario di provvigione, laddove, nel chiuso di una carrozza, tra due ali di folla tumultuante, avrebbe potuto ascoltarli solo l’anima di un poeta, non certo la prudenza dello storico.
Eppure questa attitudine è presente in Scurati, come rivela il ripetuto accenno, di marca quasi kunderiana, al fatto che Mussolini, subito dopo i suoi incontri amorosi, fosse irresistibilmente attratto dall'immagine del suo cappello: dettagli ricavati da una storia laterale e apparentemente minore, ma che hanno il potere di trasformare il personaggio da storico in letterario.
La recensione sarebbe finita, ma ci sono ancora due questioni da accennare. La prima riguarda la stroncatura di Galli della Loggia che, sulle colonne del Corriere della sera, ha ravvisato alcune inesattezze storiche ed alcuni anacronismi, a suo dire particolarmente gravi per uno storico mosso da una forte intento di oggettività e di fedeltà al vero. Gli errori ci sono, in gran parte Scurati nella sua replica li ha ammessi, ma non inficiano in alcun modo la ricostruzione degli anni dal ‘19 al ’24: il cuore del racconto, il senso stesso dell’operazione letteraria ne restano fondamentalmente immuni.
Per l’appassionato di narratologia, poi, non resta ben chiarito il confine tra il punto di vista del personaggio e quello del narratore: nonostante certe dichiarazioni programmatiche (“immergermi in una narrazione dall’interno della mentalità e dell’esperienza fascista è stato sicuramente uno sforzo immaginativo enorme”), la gran parte dei capitoli non sembrano raccontati dall’interno, cioè dal punto di vista dei fascisti, ma dalla voce esterna di uno storico che giudica i fatti secondo parametri che non sono lontani da quelli usualmente adoperati dalla storiografia sull’ argomento. Questo non vale ovviamente per i capitoli in cui parla direttamente Mussolini, e segnatamente il primo e l’ultimo. Non a caso, i più interessanti e densi di spunti: forse una strada da battere in futuro con maggiore determinazione.

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Consigliato a chi ha letto...
M. di Antonio Scurati: il romanzo che ritocca la storia, Corriere.it, 13 ottobre 2018;
Scurati replica a Galli della Loggia: Raccontare è arte, non scienza esatta, Corriere.it, 17 ottobre 2018;
Intervista ad Antonio Scurati , di Gloria Ghioni, Il Libraio 12.09.2018;
Alessandro Manzoni, Promessi sposi;
Umberto Eco, Il nome della rosa;
Emmanuel Carrère, Il regno.
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ornella donna Opinione inserita da ornella donna    17 Settembre, 2018
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Benito Mussolini, ritratto di un'epoca


Antonio Scurati che nel 2005 con Il sopravvissuto ha vinto la XLIII edizione del Premio Campiello, ha al suo attivo una vasta produzione, che spazia da Una storia romantica a Il bambino che sognava la fine del mondo, La seconda mezzanotte a Il padre infedele a Il tempo migliore della nostra vita. Ora scrive M. Il figlio de secolo, il primo volume di una trilogia, un testo di oltre 800 pagine. Un’opera sicuramente monumentale, destinata ad attirare l’attenzione della critica e non, che ho letto con molta attenzione e altrettanta fatica.
Ma chi è M. Il figlio del secolo? E’ Benito Mussolini, colui che ha governato e tiranizzato l’Italia per oltre un ventennio. L’innovazione insita in questo testo è che non si tratta della solita biografia, bensì la voce narrante è Mussolini stesso. Dunque la parabola di vita di un tal uomo si accompagna con la nascita, la crescita e la disfatta di quello che fu il partito fascista, per venire a costituire quello che nelle intenzioni stesse dell’autore è:
“il suo massimo contributo all’antifascismo.”.
Lo stesso autore ne “Il Libraio” ha dichiarato che:
“il fatto è che l’antifascismo Novecentesco non regge più ai tempi nuovi, e dunque, io credo, l’antifascismo va ripensato su nuove basi. Raccontare il fascismo, per la prima volta in un romanzo, attraverso i fascisti e senza pregiudiziali ideologiche, è il mio contributo alla rifondazione dell’antifascismo.”.
Una sorta di
“esorcismo”
Effettuato contro
“il fantasma”,
di quest’uomo che pare essere tornato ad infestare le case. Mussolini è dunque:
“Lo sbandato per eccellenza, il protettore degli smobilitati, lo sperduto alla ricerca della strada.”.
Dunque un rivoluzionario, venuto dalla terra di Romagna, abile stratega e abile conoscitore dei meccanismi per aizzare le masse:
“Quando i tuoi amici si scannano a vicenda, la sola da fare è aspettare.”.
E lui ha atteso, non invano. Ha saputo far leva sulle folle, approfittando dell’incertezza, conseguenza del primo dopoguerra, della fame, della sete, della voglia di riscatto in funzione della costituzione di un mondo che si ipotizzava migliore. Questo testo inizia proprio dal 1919 con la Fondazione dei Fasci di combattimento, dove:
“L’Europa è ormai un palcoscenico senza personaggi. Tutti spariti: gli uomini con la barba, i padri monumentali melodrammatici, i magnanimi liberali piagnucolosi, gli oratori magniloquenti, colti e fioriti, i moderati e il loro buon senso, cui da sempre dobbiamo la nostra sciagura, i politici decotti che vivono nel panico del crollo imminente, elemosinando una proroga all’inevitabile evento. (..) Il mondo va verso due grandi partiti: quelli che ci sono stati e quelli che non ci sono stati.”
E termina con il 1924 e l’uccisione di Matteotti. Un tempo breve per una narrazione predominante è data dalla figura di Mussolini, così descritto:
“Benito Mussolini è di forte costituzione fisica sebbene sia affetto da sifilide. Questa sua robustezza gli permette un continuo lavoro. (…) E’ sensuale e ciò è dimostrato dalle molte relazioni contratte con svariate donne. E’ un emotivo e un impulsivo. Questi caratteri lo rendono suggestivo e persuasivo nei suoi discorsi. Pur parlando bene, però, non lo si può definire propriamente un oratore . E’ in fondo un sentimentale e questo gli attira molte simpatie, molte amicizie. (…) E’ molto intelligente, accorto, misurato, riflessivo, buon conoscitore degli uomini, delle loro qualità, e dei loro difetti. “.
La cui filosofia è così riassunta:
“Trattare, ingannare, minacciare. Trattare con tutti, tradire tutti.”.
Un libro poderoso, dove accanto alla narrazione, sempre molto breve e coincisa, della voce narrante, si alternano capitoletti con brani documentari, costituiti da comunicati ufficiali, articoli, lettere, discorsi. Frutto di una ricerca che, si sente, è accurata e stancante. Ne scaturisce, così, un dipinto che non è mai frutto di fervida fantasia, che colpisce e allo stesso tempo, attanaglia nel profondo. Un caleidoscopio di personaggi (da D’Annunzio a Marinetti a Balbo), per non parlare delle innumerevoli amanti (da Margherita Sarfatti a Bianca Ceccato) contribuiscono a rendere un quadro vivido e realistico dell’epoca e del suo protagonista. Un romanzo che farà parlare e discutere; cercando, forse, di dipanare le innumerevoli ombre che tuttora aleggiano intorno a questo argomento. Per quanto mi riguarda ho apprezzato la fine ricerca del testo; mi è parsa troppo pesante la lettura. Credo sia nel complesso una lettura non comune, non per tutti, ma di stretta elite. Un docu-film, come è stato definito, che non mi ha convinto. Penso che sia giusta quell’asserzione, che afferma che:
“Per raccontare Mussolini ci vorrebbe un Malaparte.”.
Ma noi non l’abbiamo!

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