L'armata perduta
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mi sono perduto io nel leggerlo !
Molto originale l'inizio del romanzo dove tre ragazze di un villaggio assistono alla lapidazione di una donna, apparentemente priva di alcun senso, venuta da lontano. Ormai in fin di vita, viene soccorsa dalle ragazze e riescono a salvarle la vita isolandola in una capanna dove la donna, Abira, racconterà loro la sua storia... Anche lei, come loro, era una ragazza di quel villaggio ed una notte passò un imponente armata guidata da Ciro con lo scopo di penetrare e assalire l'esercito del gran re per conquistare il potere del più grande regno allora conosciuto. Abira si innamora di uno scrittore, Xenophon, detto Xeno e deciderà di partire con lui in questo lungo viaggio... Un viaggio lunghissimo, irto di mille pericoli, difficoltà e situazioni estreme.
Lo stile adottato da Manfredi è sempre lo stesso, descrizioni decise, che richiamano la potenza della natura, che fanno sembrare piccolo l'uomo anche davanti ad un fiocco di neve che cade leggero al suolo ma che con se porta tutta la potenza del gelido inverno. Molto belle le caratterizzazione dei personaggi, a volte imprevedibili, come Abira, dolce, spaventata ma determinata a sopravvivere ad un destino beffardo, che continuamente la mette alla prova.
Il viaggio che i diecimila devono percorrere per ritornare a casa, sarà un viaggio lunghissimo che mi ha dato l'impressione di allungarsi fin troppo, molti avvenimenti e descrizioni oltre a ripetersi, sono fin troppo futili, messi li solo per allungare il brodo ed aver un numero più grande di pagine.
[SPOILER]
Finale deludente, molto deludente... certo che in tutto il libro Abira era innamorata di Xeno, non vedevano l'ora di rivedersi dopo una battaglia ecc... e poi che succede ? viene abbandonata perché i genitori di Xeno lo hanno promesso sposo ad un altra donna ! ma cosa ? la povera Abira se ne andrà da sola, in messo al deserto, fino al suo villaggio per venire lapidata (struttura ad anello), un destino veramente orribile...
[FINE SPOILER]
Non mi sento di consigliare pienamente il libro, perché a me non ha convinto del tutto, riguardo alle descrizione e ad alcune scelte tematiche. lo consiglio a chi cerca un bel romanzo storico (ambientazione dell'epoca bellissima) ambientato nell'antica Grecia, tra Persiani, Spartani e Ateniesi e a chi la pazienza di leggere grandi descrizioni sui paesaggi ma pochi eventi degni di nota
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GRAN MANFREDI, MA...
Manfredi bravissimo come sempre. Mi trasporta nel mondo antico come se fosse il presente. Mi fa sentire parte della storia. Già la storia, questa storia che però non mi è piaciuta assai. Dal titolo "L'armata perduta" mi aspettavo guerre e strategie, ma per le prime 100 pagine solo amore. Io che odio i libri di amore.. Mi veniva la tentazione di chiudere il libro e non leggerlo più, ma Manfredi e il suo tipo di scrittura mi teneva incollato là. Ha fatto bene.. finalmente si è cominciato a trattare di strategie militari. La storia d'amore c'era sempre ma di meno.. e questo mi è piaciuto.
ATTENZIONE: SPOILER SOTTO
Il finale.. che brutto! 400 pagine che parlano dell'amore fra Xeno e Abira. Frasi come "Non ti lascerò mai" abbracci e pianti dopo le guerre. E in 2 pagine svanisce tutto? Questo non mi è piaciuto di niente! Per poi ecco spuntare Menon.. ma dai... Pure che seguiva l'esercito nella distesa quando avevano da una parte gli armeni dall'altra gli indigeni, dove si nascondeva? Questa è stata una cretinata fatta da Manfredi.
Comunque complimenti a Manfredi per il suo modo di scrivere mi piace un sacco. Piano piano, libro per libro sta diventando il mio autore preferito, nonostante il contenuto di sto libro e soprattutto il finale lascia molto a desiderare. Bravissimo Manfredi comunque
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Che fatica!
Questo libro è stato una grossa fatica. Intendiamoci, non è male e ho trovato l'idea di partenza estremamente originale, cosi come quella degli altri suoi romanzi.
Il problema qui non è tanto nella storia, che trova una buona risoluzione (mi è piaciuto molto anche il finale, che pure lascia un po' l'amaro in bocca) e viene svolta senza problemi particolari. Ottimo anche il fatto di aver scritto la storia dal punto di vista di Abira, che da un'idea diversa dell'anabasi raccontata da Senofonte: lascia intravvedere una guerra diversa, in cui sono coinvolti persone che con la guerra hanno ben poco a che fare (le donne, le prostitute, i servi...) e a cui non interessa altro che tornare a casa.
Tuttavia, c'è un problema: Manfredi stesso. Lui è uno storico, ha uno stile che è quello proprio dello storico. Non è uno stile sbagliato, ovviamente, è solo diverso. Di certo non è adatto a un romanzo. Le descrizioni sono il problema principale: sono precise, puntuali, come quelle di uno scrittore, ma sono fredde. Non traspare nulla da quelle descrizioni: cosa provano i protagonisti nel vedere un certo paesaggio? O il villaggio? Inoltre, hanno un altro brutto difetto, ovvero che queste descrizioni cosi fredde mi impediscono di immaginare, che è quello che voglio fare quando leggo un libro: voglio immergermi in un mondo diverso, che mi permetta di vivere un'altra vita insieme ad altre persone, che mi trasmetta sentimenti e che mi faccia vivere di quelli. Qui, purtroppo, non succede e questo mi ha rovinato gran parte del libro.
Lo consiglio solo se si è molto sicuri di volerlo leggere: se già avete dubbi, lasciate perdere, o al limite prendetelo in biblioteca.
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faticoso
L'opera ricalca l'anabasi di Senofonte e l'avvio è avvincente e misteriorso: tre ragazze assistono alla lapidazione di una donna, ma quando si avvicinano al corpo della sventurata scoprono che è ancora in vita: si chiama Abira ed è reduce da un'avventura incredibile insieme a oltre 10.000 mercenari greci che, al soldo di Ciro il giovane, sono arrivati in marcia fino al cuore della Mesopotamia. Abira si è innamorata di Xeno, lo scrittore (che altri non è che Senofonte in persona) e per questo motivo si è unita alla moltitudine di gente in marcia. L'intento di Ciro è spodestare dal trono il fratello Artaserse (ancora Caino e Abele, Romolo e Remo ecc) e riesce parzialmente nel suo piano: le sue truppe vincono, ma lui muore. Come si dice in chirurgia, l'intervento è riuscito, ma il paziente è morto.
Non resta che il ritorno tra mille difficoltà.
Un caro amico, che purtroppo ora ci ha lasciati, mi parlò euforico del libro e corsi a comprarlo. Purtroppo però sono rimasto deluso: Manfredi è un grande storico, ma non è uno scrittore... Le descrizioni sono accurate anche se spesso ripetitive fino allo stremo, ma lo stile ha il peso specifico del piombo, senza sussulti nè emozioni: si arriva faticosamente alla fine. Ho letto di peggio, ma non mi ha entusuasmato.
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nei territori del Gran Re
vmm è riuscito con spigliatezza e competenza ad incuriosirci ed anche emozionarci in questo, possiamo dire? cammino iniziatico, in cui il valido contraltare di senofonte diventa un immaginario femmineo che ci narra le vicende dal suo punto di vista of course, ma ampliandole di contenuti che, seppur non del tutto suffragati sul piano storico, fanno quasi assomigliare la narrazione, con una pista percorsa sin dall'inizio ed una sequela di colpi di scena coinvolgenti e plausibili, ad un'intricata spy story in cui l'archetipo di tutti i tradimenti, il cavallo di troia, diventa quasi cavallo a dondolo. e dunque quella che era l'asciutta e notarile narrativa senofontea, viene qui plasmata ed attualizzata dall'accativante stile del manfredi che, oltremodo competente sul piano storico e delle fonti - poliedrico e sfaccettato archeologo/narratore/traduttore/storico/documentarista ha oltretutto personalmente ripercorso a ritroso con una spedizione archeologica l'intero tragitto dei diecimila - ci fa rivivere dal di dentro quelle che furono anche le umane vicende psicologiche, sociali e di contorno della tragica spedizione greca nella profondità dell'impero persiano. certo l'originalità del tema trattato è solamente trasmutato e reso flessibile ma l'attenzione e la sicurezza con cui l'epopea viene disbrogliata rendono consigliabile la lettura di questo libro magari, potendo e volendo, in accoppiata con l'originale anabasi.
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Non il miglior Manfredi
Sinceramente l'ho trovato un po' troppo lungo e, a tratti, faticoso da leggere. Credo che Manfredi avrebbe dotuto snellire l'opera evitando di ripetere ossessivamente certe situazioni: Abira che prepara la cena, l'armata che saccheggia i villaggi e trova capre, foraggio, birra (cos'altro avrebbero dovuto trovare? il biglietto vincente della lotteria di Merano?), e altre scene che sicuramente si si sono ripetute giorno dopo giorno nella vera spedizione, ma che in un libro finiscono per appesantire la lettura. Lo stile è quello classico di Manfredi, ricorda più un commentario che un romanzo, anche se di tanto in tanto Manfredi si concede slanci poetici (non sempre felici, secondo me).
Per quanto riguarda la trama, che è la cosa che più mi interessa in un libro, l'idea di raccontare la storia dell'armata dal punto di vista di una ragazza al seguito dell'armata è sicuramente buona e in generale la vicenda romanzata si interseca bene con la storia narrata da Senofonte; ho delle perplessità sulle dinamiche dell'innamoramento tra i due che mi sembrano molto leggere, ma d'altra parte è un romanzo, quindi lo accetto; quello che non mi è piaciuto è il finale. Fino a poche pagine dalla fine la trama, bene o male, regge, ma nelle ultime pagine Manfredi è come il cavallo che rompe in dirittura d'arrivo.
- SPOILER non leggere se avete intenzione di leggere il libro -
Senofonte la ama alla follia, è pronto a morire per salvarla quando viene scoperta nella tenda di Sophos e poi, al momento clou, le propone di seguirlo ad Atene come serva perché deve sposarsi con una che neanche conosce? E' chiaro che Manfredi si è trovato nella condizione di dover far combaciare il percorso di vita del suo Xeno con quello del vero Senofonte, che non risulta essersi mai sposato con una paesana siriana, e quindi in qualche modo ha dovuto "far fuori" Abira, ma il modo che ha scelto non mi ha convinto. Il vero problema del finale, comunque, è la ricomparsa di Menon del quale perdiamo le tracce quando i persiani privano l'esercito greco dei suoi generali, lo rivediamo quando salva la vita ad Abira nella bufera di neve (ho capito subito che era lui, il mantello candido...) e poi alla fine quando va a prendere Abira. Bene. OK. Le motivazioni del suo amore per Abira sono ancora più traballanti di quelle di Xeno, ma lasciamo stare. Le domande che mi pongo sono: quando si è liberato, perché non è rientrato nei ranghi dell'esercito ma ha preferito seguirlo a distanza? non ha senso, ha lasciato i suoi uomini senza il loro leader. Perché? Manfredi allude al fatto che sia sempre stato innamorato di Abira, ma l'unica volta che i due si trovano insieme da soli durante il romanzo lui sta facendo il bagno e chiede alla ragazza di spogliarsi e unirsi a lui (doppio senso); non mi sembra proprio una gran dimostrazione di rispetto per la donna della quale sarebbe teoricamente innamorato. Ultima domanda: perché non si presenta ad Abira quando Xeno la "ripudia"? perché le fa fare un viaggio di quasi due mesi in compagnia di una banda di beduini fino al suo villaggio? a parte che secondo me una bella donna che viaggia sola sarebbe stata stuprata e/o fatta schiava dai carovanieri, altro che accompagnarla fino a casa, ma tant'è... Capite che il comportamento di Menon non ha senso, a meno che non si voglia pensare che il greco non abbia seguito la carovana ma sia arrivato al villaggio per i fatti suoi. E allora uno si chiede come facesse a sapere che Abira era diretta a casa (ammesso che Menon sapesse/si ricordasse il nome del villaggio di origine di Abira)
- FINE SPOILER -
In conclusione, è un buon libro che si può leggere anche se non è, secondo me, uno di quelli che leggeresti tutto d'un fiato e che non vedi l'ora di finire. Lo stile è quello solito di Manfredi quindi chi ha già letto altre sue opere non avrà problemi, la trama regge abbastanza bene fin quasi alla fine, ma purtroppo naufraga miseramente in un finale che sembra un tentativo malriuscito di sorprende il lettore.
C'erano le basi per qualcosa di meglio.
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l'armata perduta
Questo è uno di quei romanzi che quando arrivi alla fine ti dispiace terminare e iniziarne un altro ti sembra quasi un sacrilegio.
Io in questo caso di solito mi butto su un rassicurante Montalbano per " disintossicarmi" pian piano da quei personaggi che mi hanno stregata.
E mi ha proprio stregata questo romanzo di V.M. Manfredi, l'ho trovato avvincente dalla prima all'ultima pagina, scritto magistralmente e fedele quanto basta all'Anabasi di Senofonte di cui è la trasposizione romanzata.
V.M. Manfredi fa raccontare la grande avventura di quell'esercito che tornò dall'odierno Iraq attraverso l'Armenia fino al Mar Nero, ad una donna. Abira è una giovane barbara che decide di abbandonare il proprio villaggio per seguire il guerriero Xeno di cui si è innamorata. Non mancheranno battaglie, agguati, marce forzate per deserti e cime innevate a sfiancare i guerrieri nel corpo, ma le battaglie sono anche quelle intime dei sentimenti che legano semplici compagni, amici e innamorati e che a volte feriscono più della spada.
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Manfredi appannato
Di Manfredi (del quale ho letto tutti i libri) ho sempre apprezzato la capacità di caratterizzare molto bene i personaggi storici, facendoteli amare o odiare, quasi ce li avessi di fronte. Come alessandro magno, con tutte le sue controversie, così ben delineato, altro che l’Alexander che poi ho visto al cinema. La prosa, inoltre è sempre stata leggera e gradevole. Forse le scene di sesso le avevo trovate un po’ banali, ma questo non significa nulla, in un romanzo storico si limitano a tre quattro righe in tutto. In questo libro ho visto ben poco di queste caratteristiche. L’idea di una donna che scappa con Senofonte e lo accompagna lungo tutta la sua peregrinazione in Asia, mi è sembrata un po’ scialba. Inoltre i mercenari greci si ritrovano tutto d’un tratto sperduti e senza guida, così, in un battito di mani. Non l’ho finito, non mi ha preso eho preferito andare a leggere, tanto per curiosità, l’Anabasi di Senofonte, la reale cronaca di quell’avvenimento. Lo stile era molto più semplice e diretto, un resoconto di un’avventura incredibile, come dovrebbe essere. Questo romanzo, credo, è l’eccezione che conferma la regola: se ti prendono sin dall’inizio, i romanzi di Manfredi si fanno divorare, altrimenti meglio lasciar perdere.
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L'armata perduta
L'Armata perduta tratta della storia dei mercenari greci che parteciparono alla spedizione di Ciro il giovane. La storia è vista con gli occhi di una donna che ha abbandonato il suo villaggio natale per seguire uno di questi mercenari. Il romanzo è facilmente leggibile e fa capire facilmente al lettore la situazione politica e storica in cui si svolge questo racconto. La storia prende e dimostra ancora una volta che Valerio Massimo Manfredi è uno dei migliori scrittori di romanzi storici,se non il migliore in assoluto. Consigliato soprattutto per gli appassionati di questo genere e per gli amanti della storia antica
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Lo stereotipo del libro medio del Manfredi
Non penso si possa dire che V.M.M. non sia uno scrittore di successo: sa fare sicuramente il suo lavoro ed è una delle massime autorità in questo. Peccato che leggendo i suoi libri ci si renda subito conto che il suo lavoro non sia quello dello scrittore: la storia è avvincente, di questo bisogna dare merito, e ovviamente, essendo uno storico, le indicazioni sono precise ed i fatti verosimili. Ma lo stile è, purtroppo, quello che è: eccessivamente pesante, discontinuo, incapace di creare suspence o di emozionare con l'uso delle parole. Il risultato è sufficiente, per carità, però la sensazione è che se il caro Manfredi sapesse utilizzare le parole come uno scrittore di professione ci troveremmo di fronte ad un autore degno di essere ricordato negli anni.
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Delusione
Manfredi sa scrivere? Mica tanto. Un polpettone di 400 e rotte pagine che poteva essere lungo la metà. Voglio dire: non si può riproporre la metafora dell'esercito come quella di un serpente per quattro volte. Lo stile di Manfredi sembra quello delle soap opera: ogni cinque capitoli riassume la vicenda. Come divulgatore storico e archeologo, tanto di cappello. Ma come romanziere non mi sembra valga granché, almeno in questo libro. A Senofonte aggiunge una storia d'amore con un barbara mai uscita dal suo villaggio che, ad un certo punto, capisce gli intrighi geopolitici dell'antichità meglio dei condottieri. Deboluccio, non vi pare? Un ultima cosa: ma siamo nell'antica Grecia o nel Medioevo? Perché ad un certo punto, dalle descrizioni dei guerrieri, mi sembrava di leggere la storia di re Artù...
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Una lettura deludente
Un libro utile soltanto a far conoscere l'esistenza dell'Anabasi a tutti coloro che non sapevano che esistesse, piuttosto deludente per chi già la conosceva e sperava, vista la caratura storica ed archeologica dell'autore, di approfondirla ulteriormente. La storia d'amore inserita a renderla romanzo storico è piuttosto piatta, spesso noiosa, e troppo forzato, e quindi poco riuscito, appare il tentativo di "coup de theatre" finale. Sinceramente un pò poco per un Premio Bancarella.
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Buono
Manfredi sa scrivere, ragazze e ragazzi...altro che il premio befana di quest'anno!!!! Non sono un patito del genere ma lo stile e la cultura dell'autore fanno la differenza rispetto a scrittorucoli qualunque(P.s. ma come fa un esordiente a pubblicare con Monda? Ah è il talento, scusate...)Certo parliamo di generi diversissimi ma se Manfredi scrivesse due righe su quello che ha mangiato a cena sarebbe di livello superiore rispetto a certi romanzi...ad ogni modo non sono un amante delle ricostruzioni storiche (non di tutti i periodi almeno, io prediligo il medioevo-vedi Follett-I pilastri della terra) però questo è un bel romanzo che racconta una bella avventura. La chiusura poteva farla meglio, forse...
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Affascinante
La storia incomincia male, va avanti meglio e finisce inaspettatamente. Tutto il libro è un susseguirsi di personaggi dal malcelato proposito d'impadronirsi del potere, approfittando della situazione e, anche se non sembra vero, lo scopo finale della spedizione non è quella che tutti immaginiamo.
Stile avvincente, con un ritmo incalzante e un savoir faire proprio d'un maestro.
Storia classica, ripetuta mille volte nei libri di storia, ma ripresa in modo magistrale da un vero Autore del classico.
Veramente, una must dei romanzi storici.
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immerso nela lettura
Premettendo il fatto che non sono un esperto di romanzi storici, posso affermare di aver letto appassionatamente questo libro.
Devo ammettere, il finale abbastanza forzato e improbabile, ma tutto fa brodo in un romanzo così avvincente e emozionante come questo.
Per chi dice che questo romanzo fa pena come " Storico" gli chiedo di interpretarlo come un Romanzo in generale e non per la storia di base ma per le vicende e i costumi che manfredi a saputo riportare cotanto abilmente.
Un consiglio a tutti, leggete questo libro, e quando lo finirete una parte di cuore resterà con lui.
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