La notte di Roma La notte di Roma

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Carlo77 Opinione inserita da Carlo77    14 Ottobre, 2010
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Lento, ma ben scritto

Scordatevi l'azione di manfredi o di cervo (la battaglia di Teutoburgo dura tre pagine); scordatevi il giallo della Comastri (non c'é l'assassino al massimo un piccolo mistero).
In fondo è una bella storia d'amore ambientata nella Roma imperiale raccontata con dovizia di particolari tra un patrizio ed una principessa germana.
Interessante l'ambientazione nei primissimi anni del principato in cui i nobili iniziavano a contare molto poco ma non erano ancora abituati a questa nuova situazione.
Rimane un libro lento anche se ben scritto, il finale forse un pochino tirato via lascia un poco l'amaro in bocca.

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alexandros Opinione inserita da alexandros    07 Giugno, 2010
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Intrigante

Un romanzo molto bello di Emma Pomilio dove l'auriga Lucio Cornelio lotta per affermare il suo diritto ad esistere in un mondo che, anche nell'epoca della Roma Antica, è fatto soprattutto dai e per i grandi. Emma Pomilio ha fatto la scelta intelligente di puntare sui minori cioè quelli che per la grande storia non sono esistiti visto che nessuno parla di loro, ma sono vivi come nel suo romanzo. Mi è piaciuto soprattutto il ritmo incalzante, il continuo cambiamento degli scenari e in particolare la descrizione di quel mondo oltre il confine dell'Impero Romano e di coloro che lo vivevano, dei protagonisti di quella realtà legionari, barbari, mercanti e affaristi di ogni sorta.

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Lo consiglio a tutti gli appassionati della storia di Roma, sicuramente ben scritto , un libro mai noiso e con un punto di vista femminile molto interessante
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Opinione inserita da Gianni d'andrea    03 Luglio, 2008

Il volto di Arminio e la Notte di Roma

Arminio è stato, con Annibale di Cartagine, il Re Parto di Carre e pochi altri il solo che abbia battuto sonoramente le legioni di Roma in una battaglia anche se, a mio modesto avviso, Annibale Barca rimane il solo ad aver raggiunto tale risultato in una battaglia campale nella quale le masse manovriere e manovrate della legione e delle fila cartaginesi operarono al massimo grado dell'arte militare dell'epoca. Arminio è indubbiamente l'antesignano di tutti i terroristi di ogni tempo, piuttosto.

Emma Pomilio ha fatto di lui una figura più complessa delle scarne notizie storicamente accertate, ma un romanzo storico può e deve avere una sua propria autonomia e, quindi, l'operazione è quantomeno legittima ad ogni buon conto.

Publio Quintilio Varo viene presentato forse assai meglio di certa storiografia recente che risale agli studi di Luttwak sulle strategie dell'ars militare romana. Tuttavia, Varo, più che la bravura di Arminio, fu responsabile della disfatta a Teutoburgo, per leggerezza, superficialità e quel pizzico di superbia che in un comandante dovrebbe essere sempre contemperata dal giusto senso delle cose.

Ma forse, il reale responsabile della disfatta è, invece, quell'Augusto che la pianse assai a lungo e che non avrebbe dovuto scegliere un comandante abituato alle impervie vie di Grecia o ai deserti di Siria per le tetre foreste della Germania. Augusto il baro, augusto il principe non ancora imperatore, Augusto l'ipocrita sostenitore delle dignità senatoriali e, infine, Augusto la figura in ombra ma non per questo meno presente nel romanzo di Emma Pomilio. Ho letto nella recensione d'un collega che Emma Pomilio farebbe parlare Augusto attraverso Livia: sono d'accordo fino ad un certo punto! Livia aveva il suo tornaconto nell'essere la consorte di Augusto ed Emma Pomilio lo conferma.

Ho letto che molti hanno scritto delle figure femminili e mi sento di confermare quanto hanno scritto: voglio aggiungere di mio che senza di esse Lucio Cornelio sarebbe poca cosa di per sé.

Tuttavia, anche lui ha sue proprie qualità: il dubbio, la insicurezza propria di quel tempo e di certi patrizi e comunque dà l'impressione di crescere durante l'avanzare della storia, quasi che come certi personaggi teatrali acquisisca coscienza e consapevolezza di sé man mano che vive. Se debbo criticare qualcosa, debbo farlo nei quadri narrativi che talvolta sono un po' distanziati come in un certo Grisham. Comunque si tratta di un buon romanzo.

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La Biografia di Augusto di Spinosa, Il testo sempiterno di Mommsen, Le vite dei Cesari di Svetonio, gli articoli di Fini, l'intramontabile Tacito, Giannelli, Trovatori, Villani, De Rosa, Giannantoni, Luttwak, Granzotto, Montanelli, Grant, Gehrke.
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Opinione inserita da marcello de michelis    03 Luglio, 2008

Un romanzo interessante

Il fatto che molti autorevoli colleghi abbiano scritto su questo romanzo mi ha spinto a dire la mia, anche perché ho letto il romanzo di Emma Pomilio e l'ho trovato interessante.

Ho notato che le precedenti recensioni l'hanno sviscerato e ne hanno dato un giudizio nel complesso positivo, cosa questa dalla quale non mi discosto neanch'io.

Mi piace il romanzo storico e ne apprezzo l'architettura e la struttura d'assieme per i suoi indubbi legami alle fonti che dovrebbero essere il punto di partenza e di arrivo di ognuno di noi storici.

Il libro della Pomilio è interessante per l'ambientazione, per i personaggi e per le situation, direi all'inglese, e anche per gli interrogativi che pone.

Dei personaggi ho apprezzato la "nonna del corsaro nero" quell'Emilia cioè che fa la differenza tra la donna comune e la domina d'un tempo che non è più, sostituita dalle intriganti donne di palazzo. Mi scusino tutti per la "nonna" che non vuole essere dileggiativo ma solo la maniera per sintetizzare un voler essere controcorrente, ed emilia lo è, rispetto al montare d'un nuovo costume affatto romano nel vero senso della parola.

E' da apprezzare Dafne, raffinata etera ma anche donna spontanea come solo una "escort" può saper essere, almeno stando anche a quella malalingua di Svetonio.

Indubbiamente va analizzata la figura di Arminio: ne sappiamo poco nei fatti ma quel poco Emma lo fa vivere in modo assai interessante.

Le sue donne sono interessanti.

Un po' meno forse è Lucio Cornelio perché sembra un po' posteriore ai fatti.

Non giudico lo stile paratattico ma piuttosto scenico e teatrale e in sintonia con la letteratura storica anglosassone che preferisce la scena a thriller.

Buon lavoro in ogni caso.

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Eutropio ("Breviarum ab urbe condita")<br />
Luttwak ("Le strategie dell'impero romano")<br />
Will e Ariel Durant ("Cesare e Cristo")<br />
Svetonio ("Vite dei Cesari")<br />
Mommsen<br />
Giannelli<br />
De Rosa<br />
Asor Rosa<br />
Spinosa ("Augusto")<br />
Grant ("Declino e caduta dell'impero romano")<br />
Eco ("Come si fa una tesi di laurea")<br />
Montanelli ("Storia di Roma")
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Opinione inserita da vincenzo michelotti    27 Giugno, 2008

Romanzo storico o d'altro genere?

Ho visto che su questo romanzo c'è ormai una specie di forum aperto con l'apporto anche di alcuni storici professionisti, il che denota bene!

Non concordo con quanto finora scritto: un romanzo storico vive una sua vita propria e non può essere mai ricondotto a schemi precostituiti. Ciò vuol dire che Eco è Eco, Cervo è Cervo e Emma Pomilio è Emma Pomilio. Indubbiamente "Il Centurione di Roma" è una gran bella storia su Teutoburgo e, forse, supera "La notte di Roma": ma due romanzi così diversi, possono dirsi davvero in competizione? Il romanzo di Cervo è più legato alla historia militare e alle fonti classiche, mentre il romanzo di Emma Pomilio è più incline verso talune fonti più moderne se non contemporanee.

Credo che Lucio Cornelio sia meglio delineato rispetto a quanto sostengono gli altri recensori ed alcuni colleghi in particolare. Soprattutto va ricordato che egli è in linea col periodo che si dice ancora principato, piuttosto che imperium vero e proprio. Credo che Hanson abbia scritto nel merito di questo aspetto in un suo testo che credo sia stato volgarizzato in Italia da Garzanti.

Credso non sia errato attribuire alla Notte di Roma un qualche connotato d'appendice poiché esiste una matrice avventurosa entro la quale si dispiega l'azione dei personaggi. Bella è l'immagine d'una recensione che da a Varo l'aria d'un uomo fatale nel senso che il suo destino è segnato.

Varo aveva ben operato in Siria ed Augusto potrebbe aver scelto bene se non fosse, come avverte Luttwak, che un conto è manovrare sugli ampi spazi delle aride praterie siriane dove la Legione si dispiega in tutta la sua potenza sia d'urto che di contenimento ed un altro è quello di formare dei quadrati stretti (o testudo che dir si voglia) lungo un pertugioso sentiero in una foresta germanica.

Publio Quintilio Varo, uomo di valore sui campi di battaglia dell'oriente antico, segna il passo sui campi di Germania ed è sconfitto per varie ragioni: un eccesso di fiducia in Arminio, un eccessiva fiducia nella flessibilità della massa manovriera delle legioni, una generale sottovalutazione del campo di battaglia, una cattiva conoscenza delle tradizioni e degli usi germanici e l'lenco delle negatività del nostro generale possono andare avanti all'infinito.

Dunque la sconfitta porta più la firma di Augusto che quella di Varo proprio perché non avrebbe dovuto mandare in Germania un uomo che aveva combattuto prevalentemente in Oriente: Cesare non lo avrebbe fatto! Bisogna ricordare che Cesare si curava assai molto della cavalleria alla quale destinava gli ufficiali migliori. Varo non fece altrettanto anche se è pur vero che la cavalleria poco avrebbe potuto fare nella selva germanica.

Dunque? Varo è forse davvero figura in anteprima di quei Carbone, Roatta, Castellano e Badogli che la nostra storia più recente ha collezionato e, per certi versi, ripresenta le stesse peculiari caratteristiche di Lucio Emilio Paolo, lo sconfitto di Canne, anche se Arminio non è certo alla pari con Annibale di Cartagine.

Pensando alle donne di Emma Pomilio lo sguardo cade giustamente su Livia che sembra la bocca di Ottaviano, lontano, silente ma davvero foscamente presente nel romanzo. Emilia rammenta vagamente le grandi domine dei tempi d'oro della repubblica o dei tempi mitici in cui Roma era solo la cinta muraria intorno ai sette colli. Una specie di Cornelia dunque anche se Lucio non è figura di nessuno dei Gracchi.

Dafne è interessante e anticipa un po' la figura di quell'Acte che farà parlare tanto di sé all'epoca di Nerone: non ha lo spessore di quest'ultima ma, indubbiamente, possiede il fascino della cultura e della determinazione imperniate su una certa sfrontatezza che richiama l'attuale mondo delle escort di oggi tanto chiacchierate ma pure tanto ricercate.

Mi sono accorto che si parla molto dei personaggi ma resta un po' in ombra lo scenario della narrazione: forse perché il palcoscenico è un po' considerato un fatto minore rispetto agli eventi tragici raccontati.

Comunque il titolo è errato perché il romanzo non è su Teutoburgo, su Varo, Arminio o che so io la sconfitta peggiore di Roma dall'epoca di Canne: il vero protagonista è Lucio Cornelio, un patrizio distaccato dal suo mondo nel quale non si riconosce più e, forse, non vi si è mai riconosciuto. Il titolo vero avrebbe potuto essere "Viaggio in sé stesso di Lucio Cornelio" poiché di una cosa sono ben certo: ad ogni pagina, Lucio Cornelio sembra crescere in consapevolezza rispetto al suo mondo ed alla sua esistenza reale.

In ogni caso, mi sembra sia un romanzo che sta facendo discutere, la qualcosa è utile a diffondere l'interesse per la storia in questa Nostra Italia che come diceva Montanelli ha un problema davvero grosso, ha infatti per capitale una città con un nome spropositato per un popolo che quando grida "Forza Roma" pensa solo ad una squadra di calcio!

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Gehrke, Durant, Spinosa (biografia di Augusto), Svetonio, Vegezio, Tacito, De Rosa e Giannelli.
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Opinione inserita da ercole martini    26 Giugno, 2008

un romanzo storico è comunque un po' di storia...

Bene, bene! Ho visto per caso questo sito ed ho scoperto che, come me, alcuni illustri colleghi, hanno letto questo romanzo che risulta comunque interessante, anche se ho letto proprio su Teutoburgo un altro romanzo, senz'altro più bello ed intessuto, che è stato edito da Piemme. Dico comunque interessante perché a chi interessa la storia, interessa anche ciò che, pur non essendo storia, ne è impastato.

Il romanzo in sé non è del tutto lineare e presenta a mio avviso un taglio digressivo che è più adatto al thriller americano (Twining ad esempio o Grisham) che al romanzo storico propriamente detto.

Tuttavia, pone alcuni problemi interessanti sui quali forse varrebbe la pena di incentrare una qualche ricerca storica più erudita.

Non che il romanzo della Sig./ra Pomilio non lo sia, tuttavia, il tratteggio di talune figure è un po' fuori del tempo d'ambientazione del romanzo. Il Cornelio protagonista appare piuttosto tipico di una scena ambientata ai tempi di Claudio, ma non voglio a tutti i costi dire che Lucio Cornelio sia fuori del suo tempo, ma solo che presenta una qualche incongruenza, per così dire, somatica rispetto al tempo della narrazione: Roma è appena uscita dalla ristrutturazione della repubblica trasformata in impero; l'aristocrazia capitolina è uscita con le ossa rotte dalle guerre scatenate da due triumvirati e il senato stesso ha perso un bel po' di componenti. La fronda se c'è a palazzo reale non viene certo dal patriziato: sono ancora lontani i tempi di Lucio calpurnio Pisone, o di Seneca o della lotta di palazzo con tanto di pretoriani assoldati ora da uno ed ora da un altro!

Cornelio scimmiotta Petronio arbiter in qualche sua manifestazione e c'è un'ombra di Vinicio in alcuni suoi atteggiamenti: ma questo vuol dire che Emma Pomilio ha preso a modello il classico Quo Vadis? Non credo! Piuttosto occorre prednere atto che esitono dei riferimenti comuni a tutto il romanzo storico che vuole il protagonista e, insieme, la protagonista. Concordo con la collega Dominici sul fatto che le figure femminili siano la migliore invenzione della Pomilio.

Arminio sembra ben più importante di quanto non sia stato e Publio Quintilio Varo appare quasi come uno di quei personaggi della tragedia greca, intrappolati nel cieco disegno del Fato.

Non sono d'accordo col fatto che Teutoburgo non sia stata la "notte di Roma", almeno è stata la notte peggiore di Augusto e Augusto, all'epoca, era Roma.

Forse l'errore che può essere imputato all'Autrice può essere quello di non aver mai fatto intervenire il Principe. In fondo la fosca figura di Ottaviano aleggia in tutto il romanzo quasi un'ombra proiettata sullo sfondo e nulla più, ma la ragione c'è ed è che Livia lo personifica. Strano destino, nel romanzo, quello del principe rappresentato dalla principessa o, comunque, dall'imperatrice che sarà repsonsabile della immissione di Tiberio nella linea successoria con quel che seguì.

Tempo addietro, un'audace laurenda, oggi alla Sorbona, mi propose che Teutoburgo avrebbe potuto essere evitata se solo al posto di Varo ci fosse stato un Lepido, un Labieno oppure un Quinto Fabio Cunctator, cioè delle figure minori che avevano avuto per maestri Cesare o uno dei tanti Scipioni (guarda caso un avo di Lucio Cornelio), è un'ipotesi che mi piacerebbe sottoporre ai colleghi, a Manfredi e a Luttwak che ha studiato esemplarmente la storia militare romana. La mia allieva concluse che Varo era un "fiducioso" e un "malaccorto", in La notte di Roma, come ho detto, mi appare legato al suo fato: e comunque un romazno storico è pure esso storia e magari può suggerire, concordo con altri, spunti di riflessione e ricerca.

certo, che ora che ho finito questa mia riflessione, mi accorogo che per un romanzo che non m'è propriamente piaciuto, ho finito per scrivere un bel po': scherzi della storia o del romanzo? per concludere ad effetto vale la pena di dire: ai posteri l'ardua sentenza o, se volete, ai lettori...

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I romanzi di Valerio Massimo Manfredi, Dumas, Eco, Scott e perché no, anche il buon Manzoni che di storia se ne intendeva. Per chi vuole approfondire il tema proposto direi che la biografia di Augusto di Antonio Spinosa può essere utile.
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Opinione inserita da Luisa Dominici    22 Giugno, 2008

Romanzi storici di oggi

Valerio Massimo Manfredi ci ha abituato ad un romanzo storico incentrato su una potente ed approfondita documentazione basata sulle fonti classiche e su quelle contemporanee, e che non rifugge all'inserimento, nella narrazione, di ipotesi azzardate, talora, ma suggestive soprattutto ove trovano indizi di conferma in fonti legate ad altre civiltà e popoli.

Leggendo la recensione del collega Scinniscalzi, col quale non sempre mi sono trovata d'accordo in passato, ed avendo letto il romanzo di Emma Pomilio, ho pensato di portare il mio modesto contributo a quella che mi sembra, viste le altre recensioni disponibili, una discussione già avviata e ricca di spunti interessanti, quantomeno!

A prescindere dalle valutazioni stilistiche, per le quali una volta tanto sono d'accordo col collega Scinniscalzi, mi pare sia da sottolineare il filo sottile che lega, almeno idealmente, la ricerca storica di Emma Pomilio a quella di altri romanzieri, quali Cervo, il "fasullo" Wallace della "Notte del Gladiatore" e lo stesso Manfredi che, tuttavia, come archeologo occupa una nicchia a sé stante. Il filo sottile è appunto tale perché in effetti la ricerca di Emma Pomilio non è approfondita come negli altri casi e la cosa è forse imputabile al fatto che il romanzo sulla "Notte di Roma" ha i caratteri del romanzo d'appendice, quello alla Dumas per intenderci, dove la storia è talora asservita alle esigenze della narrazione. Mi ha colpita assai il tratteggio fatto da Emma Pomilio della figura di Livia e di quella di Giulia: le due grandi donne della vita di Ottaviano Augusto che nella historia major richiamata da Scinniscalzi non sembrano parlare poi così tanto...

Emma Pomilio ha proposto una serie di dialoghi che danno uno spessore diverso, interessante, a queste due donne: la prima, quasi ieratica presenza alle spalle e all'ombra di Augusto Princeps e capace di impersonare una sorta di nume tutelare del "capo", la seconda, invece, conturbante e disturbante presenza capace, addirittura, di mettere a rischio l'imperium Octaviani se non la moralità della stessa famiglia imperiale.

Credo che le donne della "Notte di Roma" vadano indagate assai più a fondo degli uomini che talora sembrano manichini dechiricheschi, immote presenze cariche di enigmatici dubbi e incongruenze con profonde ramificazioni psicologiche che annidano, le loro origini, in nascosti recessi dell'essere.

Immagino che qualcheduno abbia voluto rintracciare vezzi filosofici e psicologici in questa narrazione di Emma Pomilio e sui suoi personaggi. Forse questi vezzi possono essere più nella mente di scrive che nell'opera di Emma Pomilio e non perché le manchino spunti in tal senso (è pur sempre figlia di uno studioso che ha avviato più d'una riflessione filosofica in vita sua), perché, ed è questo il punto nel quale concordo con Scinniscalzi, il romanzo storico, ove anche presenti spunti di riflessione filosofica, essi sono difficilmente filosofici in senso stretto ma piuttosto legati ad un tormentato esistenzialismo dei personaggi che mostrano il loro appartenere al limitato scenario della historia minor mentre invece vorrebbero acquisire l'onore della scena maggiore.

Dissento da Scinniscalzi sul valore della historia minor: credo che lo scrivere di essa può essere, se non si è supportati da fonti storiche attendibili, pericolosa ricerca poiché pone l'ipotesi di fatti che non possono essere dimostrati.

I romanzi storici di oggi hanno il pregio di fondarsi su una complessa ricerca bibliografica ma non riescono a liberarsi dallo spettro di Eco e della sua erudita base bibliografica di sviluppo delle trame.

Con la differenza che Eco le sue fonti le dichiara, mentre i romanzieri di oggi, se lo fanno, mettono qualche nota in appendice. E dopo Eco, non ho letto romanzi assolutamente storici.

Non me ne vogliano Manfredi, Cervo e la stessa Emma Pomilio: ma le citazioni, le frasi dalle fonti dove sono per dare credibilità e spessore ai loro personaggi, alle loro trame ed alle loro storie?

Comunque, il valore maggiore del romanzo di Emma Pomilio lo rintraccio nelle sue figure femminili: troppo spesso la donna resta estranea al romanzo storico come protagonista. Invece, qui, le donne parlano e forniscono dimostrazione di una loro partecipazione attiva ai fatti della historia major (che magari è solo pura fantasia!).

Volendo arrivare ad un giudizio conclusivo, direi che il romanzo di Emma Pomilio sia più vicina a Dumas che ad Eco e più vicina ad un certo Manfredi (quello delle "Paludi di Esperia") che non al meglio documentato Guido Cervo. Ho notato che altre recensioni hanno citato Cervo: quindi non sono la sola ad aver collegato tra loro questi romanzi storici di oggi...

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"Augusto" di Antonio Spinosa, "Breviarium ab urbe condita" di Eutropio, "De vitae Caesarorum" di Svetonio, "Cesare e Cristo" di Will ed Ariel Durant, "Breve storia dell'antichità" di Gehrke, l'ormai introvabile "Testimonianze" di Giannelli, Memorie varie di Gabriele De Rosa e anche qualcosa di Giacalone.
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Opinione inserita da francesco saverio scinnis    21 Giugno, 2008

Historia major ac historia minor...

Ho assai a lungo riflettuto prima di decidermi a scrivere questa recensione per svariati motivi.

Il primo è che, purtroppo, di professione fo' lo storico anche se nell'ambito di un settore assai specialistico quale la paleografia e le scienze bibliotecarie e, quindi, sono considerato alquanto pedante. La seconda è che sono sempre assai restio a giudicare il lavoro di chi si cimenta in una letteratura assai particolare come quella del romanzo storico che molti confondono con l'affine romanzo d'appendice il che è come confondere Manzoni con Dumas o limitarsi a dire che Eco ha scritto dei romanzi gialli.

Immagino che questa seconda posizione faccia pensare a qualcheduno che disapprovo il romanzo d'appendice: nulla di più falso! Se abbiamo una qualche idea visiva di come fosse la vita nel diciassettesimo secolo e nella Francia che vedeva la fine del regno precedente e quello del Re Sole, lo dobbiamo indubbiamente alla penna di Dumas e a quel suo mettere la storia a servizio della narrazione ("la storia è il chiodo al quale appendere i miei romanzi" soleva dire). In un certo senso, il libro di Emma Pomilio ha un qualche vezzo del romanzo d'appendice, e basta pensare all'intrigo di Giulia, fugace apparizione ma colma dell'idea di voler provare a fornire una chiave di lettura di uno dei grandi segreti della vita di Augusto, o al ritrovamento di quell'aquila che avrebbe potuto riscattare i reduci di un massacro dall'accusa infamante d'aver fallito.

Molti "professori" urleranno a questa mia uscita, diranno che sto riducendo il valore dello scritto della nipote di Mario Pomilio, ma io credo che l'intelligenza evidente dell'Autrice terrà lontano da questo povero storico questa accusa poiché chi scrive un romanzo storico sa rendersi conto dove il gioco ha termine e dove esso si innesta sulla storia, quella vera, e su quella un po' minore, quella dei Tizi e dei Caii, che non trovano posto in Svetonio ma che vissero all'ombra dei Cesari e, talora, forse ed in circostanze rimaste sconosciute ne determinarono addirittura qualche scelta. Ma il giuoco sulla historia minor è legame indiscusso al romanzo d'appendice, perché il Tizio è andato a trovar monsignor de Treville e non v'è traccia, nella historia major, né dell'incontro e né, tantomeno del Tizio. Così Giulia, l'intoccabile al punto che fu inviata in esilio ove altri sarebbero stati invitati ad un colpo di spada o ad un calice di veleno, riceve visita da un Cornelio...

Emma Pomilio ha una certa frequentazione con i personaggi veri che reimmette nei romanzi suoi: è stata la ventura di Caio Cedicio (ne sono esistiti tanti di eroici, addirittura fissati sulla pergamena da Catone il Censore come fu per il tribuno all'epoca della prima o seconda guerra punica) ed è quella di Lucio Cornelio. Trovo il secondo poco convincente perché la sua totale disillusione mi sembra più tipica dei nobili patrizi della fine dell'impero e non del periodo nel quale l'Imperium Caesarorum è nel suo pieno fulgore di sole nascente nella storia del mondo.

Daniela Comastri Montanari ci ha dato un buon esempio di questa aderenza storica all'epoca di Aureliano (se non erro!). Ma forse Emma Pomilio ha voluto porre l'accento sull'esistenza di un dissenso verso il Principe già all'epoca di Augusto: può essere un'ipotesi di lavoro anche per noi storici, tuttavia, un Cornelio (e non sono del tutto sicuro che la famiglia principale già all'epoca non fosse più semplicemente questa anche se un Cornelio fu console all'epoca di Claudio nel 295 d. C. stando ai Fasti Consolari) con quel po' po' che era stata la storia dei Gracchi, degli Scipioni e degli stessi Giulii non mi sembra verosimile nel ruolo di dissidente poiché i Cornelii furono soprattutto uomini di potere e dei veri autocrati piuttosto che dei legittimisti o, peggio, dei repubblicani se non degli oppositori al regime imperiale che, in qualche modo, avevano creato col loro appoggio a Caio Giulio Cesare. Sulla figura di Arminio e su quella di Varo, vorrei rinviare ad alcuni scritti, forse un po' eretici rispetto alla storiografia principale, che danno del generale una interpretazione assai critica e riducono il trionfo del germano mostrando la causa reale del rovescio e cioè la frivola sicurezza di Varo nell'affrontare chi veniva ritenuto un barbaro e quindi incapace di concepire una qualche strategia. Il fatto che le genti germaniche avrebbero fornito il fior fiore degli ausiliari di lì a qualche secolo lascia capire che si trattava di soldati almeno capaci e comunque Varo sembra un po' quei generali italiani della Seconda Guerra Mondiale che furono causa insieme a Mussolini di grandi rovesci.



Su come presenta Varo, non sono d'accordo con Emma Pomilio ma la mia critica non deve spaventarla: l'aver letto Luttwak è stato per me fonte di riflessione soprattutto analizzando la struttura delle legioni di Roma e la loro fluida realtà operativa e funzionale.

Non vorrei che questa recensione suonasse come una stroncatura, perché non lo è: essa vuole essere, invece, il tentativo di avviare un discorso sul romanzo storico che merita un posto ben maggiore nella letteratura contemporanea dove adesso sembra esserci un altro Pomilio. Ho avvertito, nella prima recensione, il tentativo di uno studio stilistico sul romanzo di Emma Pomilio dal quale dissento totalmente poiché mi appare come il voler ridurre a tutti i costi un ente ad un altro a scopo classificatorio secondo un assioma che non può applicarsi al romanzo storico che ha classificazioni sue proprie, sia stilistiche e sia categoriche.

Ho apprezzato molto il lavoro di Guido Cervo, che ha mantenuto un livello elevato di narrazione con un'aderenza storica rilevante non a schemi classici ma a quella storia verificata attraverso le fonti. Il lavoro di Emma Pomilio mi appare comunque interessante e meritevole di essere approfondito anche in un confronto con quello di Cervo e spero che l'analisi sia condotta non sulla historia major o solo su quella minor, ma su quella delle fonti che, per quello che se ne sa, sono l'unica verità sia pur parziaria o deficitaria.

Ad Emma Pomilio l'augurio che la sua ricerca storica, anche se dovesse trovare poco accordo, vada avanti perché finché c'è ricerca storica c'è possibilità di leggere meglio i fatti di oggi che sono davvero legati ai duemila e passa anni della nostra historia major ed a quella minor dei milioni di individui che o l'hanno subita o che hanno contribuito a farla sui campi del Trebbia, a Canne e anche a Teutoburgo!

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"Il Legato Romano" di Guido Cervo, "Teutoburgo" edito da Piemme, "Il Gladiatore" di Wallace e i saggi di Luttwak, insieme a Will ed Ariel Durant nel loro impareggiabile ed impareggiato affresco sulla storia romana "Cesare e Cristo".
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Opinione inserita da daniele de marchi    16 Giugno, 2008

La notte di Roma?

Non sono d'accordo sul titolo: la vera notte di Roma non è certo la sconfitta di Teutoburgo, grave si ma non decisiva per le sorti dell'Impero, bensì piuttosto il bando d'asta creato dai pretoriani al momento della morte di Commodo per insediare un nuovo imperatore. Non sono d'accordo colla recensione della Sig./ra Letta poiché calca troppo l'accento sul legame che il romanzo avrebbe con i fatti delle legioni distrutte: in fondo la storia base del romanzo è quella del patrizio Lucio Cornelio e delle sue vicissitudini con Giulia, con la sua bella germana (o comunque barbara) e, solo un po' come uno sguardo in tralice, con Varo e le sue legioni.

Si sente una vaga influenza, specie sul finale aperto, con altri romanzi (editi da Piemme), ma si sa il filone del romanzo storico presenta molti collegamenti, spesso fondati sulle fonti storiche e documentative alle quali si è attinto.

Il romanzo di per sé appare ben congegnato anche se la storia fa da sfondo e nulla più. Ho letto una seconda recensione che si pone il problema se ci sarà un seguito: ebbene mi piacerebbe leggerlo...

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I testi impareggiabili di Gibbon, Grant e Will ed Ariel Durant sulla caduta dell'Impero Romano. Utilissima è anche l'opera omnia di Theodore Mommsen, ma i lettori delle biografie di Augusto (ce ne sono diverse anche nel catalogo Mondandori) dovrebbero avere di che approfondire le loro cognizioni.
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Opinione inserita da giovanni maria de pratti    10 Giugno, 2008

Teutoburgo e la Notte di Roma

Ottaviano Augusto ebbe in vita due grandi dolori: uno causato da Giulia, del quale in fin dei conti si è sempre saputo assai poco, ed il secondo rappresentato dalla sconfitta di Varo nella selva di Teutoburgo ad opera dei cosiddetti barbari guidati da Arminio. Nel romanzo di Emma Pomilio questi due fatti si incontrano e si scontrano sulla scena calcata dal protagonista Lucio Cornelio.

E' interessante la questione dell'aquila ritrovata che si rintraccia anche in altri romanzi che più o meno direttamente si ispirano a Teutoburgo.

Giulia e Teutoburgo sono presentati come due momenti della lunga notte di Roma che forse comincia proprio con l'Impero dei Cesari e Emma Pomilio lo lascia trasparire.

Il romanzo resta aperto sulla storia della nuova compagna di Lucio: chissà se avrà seguito?

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Buoni testi sulla Storia Romana compreso il "Breviarum ab urbe condita" di Eutropio e le Storie o Vite dei Cesari (ne esistono di tanti autori).<br />
Anche la "Storia di Roma" di Indro Montanelli è utile come base per affrontare il romanzo di Emma Pomilio e per rendersi conto dello strano caso di Giulia.
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Opinione inserita da Francesca Romana Letta    29 Mag, 2008

La notte di Roma, di Emma Pomilio

Il cupo colore della copertina e il titolo “La notte di Roma” ben simboleggiano l’angoscia e il lutto del popolo romano per la perdita delle gloriose legioni XVII-XVIII-XIX, massacrate nella selva di Teutoburgo dal popolo germanico dei Cherusci (uniti a Bructeri, Marsi, Catti, Angivari e Ampsivari). Ma Emma Pomilio, ancor prima di indagare sulle cause immediate di un così tragico evento apparentemente inspiegabile, con la consueta fedeltà ai dati storici, ne ricerca le cause remote nella struttura stessa dell’impero. È vero: Roma, con il suo valoroso esercito e con la sua sapiente legislazione, è riuscita a costruire uno Stato multietnico e un mercato globale straordinari. Grazie a un efficiente sistema stradale, a una fitta rete di porti e di fiumi navigabili, essa ha reso possibile spaziare in tutto il mondo conosciuto, giungendo anche in luoghi al di fuori dell’Impero... Basti pensare che MARBORD, che “regnava su un’ampia valle verde e ondulata attraversata dall’Elba” e abitata dai Marcomanni, è stato educato a Roma, fa costruire la sua capitale Boviasumen (attuale Budweis nella Repubblica ceca) prendendo a modello i palazzi dei Galli, e di conseguenza usa tutta la sua diplomazia per conservare rapporti amichevoli sia con i Romani, sia con gli altri popoli germanici. D’altra parte, Quinzio e Vestinio, due esperti mercanti romani, si muovono senza posa tra Roma, la Gallia, la Germania e altri luoghi più a nord, per la compravendita di ambre, oro, pelli, schiavi e molte altre merci. Contemporaneamente, nell’Urbe arrivano dall’Oriente oro, pietre preziose, generi del lusso più sfrenato, oltre a schiavi di raffinata cultura, come l’aristocratico greco Emilio. Ma conquistare territori ai limiti del mondo civilizzato, abitati solo da barbari, non può limitarsi ad imporre il dominio di Roma; richiede, invece, una indispensabile collaborazione con le genti sottoposte. “Eppure non possiamo cacciare i barbari, siamo circondati su tutti i confini”, dice la stessa Livia moglie di Augusto. Non solo perché soltanto loro conoscono bene i luoghi, il terreno, il clima, le popolazioni confinanti, ma anche perché Roma da sola non riesce ad arruolare soldati sufficienti a controllare tutti i suoi domini. Ecco, quindi, che Galli, Germani e genti di ogni provenienza, entrano o a far parte del vero e proprio esercito romano, o a costituire le milizie ausiliarie, innestando un costante processo di interscambio tra culture diverse. È questo il crogiolo di una civiltà del domani più aperta, libera da barriere fisiche e ideologiche, che però tende ad appiattire le differenze tra i popoli. Ed è proprio l’avanzata romana ciò contro cui alcuni popoli Germanici si ribellano, a difesa della loro cultura. ”I Romani fanno figli dappertutto, tranne che con le loro mogli; siamo contenti di non somigliare ai romani”, dice il figlio del nobile cherusco Segeste. “I Romani non danno esempio di unità familiare”, deve ammettere Lucio. I Cherusci, dunque, interpretano uno scottante dilemma che coinvolge tutti noi: reagire alla globalizzazione è attaccarsi a gretti particolarismi, o difendere la propria identità e la propria storia? Sotto questo profilo, il libro della Pomilio, che attraverso i problemi dell’Impero Romano sottolinea quelli che attualmente affliggono il mondo, appare di estrema attualità. Come Arminio, capo dei CHERUSCI, avendo fatto sua parte della cultura romana, dimostra di essersi parzialmente allontanato dalla tradizione del suo popolo e di non poter contrastare il corso della storia, così nessun popolo dell’oggi può sottrarsi, volente o nolente, all’interscambio culturale e alla internazionalizzazione dei mercati.

Ma tutto ciò non vuol dire, come afferma Emilia, nonna di Lucio, ”che il progredire della civiltà migliori l’uomo, se non esteriormente”. Un Impero così grande, però, richiede necessariamente un governo unitario, come dimostra l’ascesa al potere di AUGUSTO, nell’immaginario collettivo legato a un’atmosfera di pace e grandiosità. La scrittrice, però, ci invita a considerare ”di che lacrime grondi e di che sangue“ anche il potere di questo principe pacificatore. Augusto, pur nella sua saggezza, come qualsiasi dittatore, deve preoccuparsi di tenere sotto controllo l’opposizione, tutti coloro che non sono dichiaratamente schierati con lui, ma soprattutto i nobili, che si son visti privare del forte potere politico avuto nella repubblica. ”Per non scontrarmi col potere - dice infatti Lucio Cornelio - e poter continuare a vivere nella mia Roma, ho deciso di non partecipare alla vita pubblica”. Ecco, quindi, la necessità di spie, di polizia politica, di allontanamento da Roma dei sospetti, come accade a Lucio Cornelio, principale protagonista del romanzo. Anche la nuova legislazione a favore della famiglia e della moralità pubblica, disattesa dallo stesso Augusto che sposa Livia incinta di un altro, viene spesso usata contro i nemici politici.

Così Giulia, nipote dell’imperatore, viene accusata d’immoralità per non dichiarare che la si sospetta di aver congiurato ai danni dello stesso Augusto. D’altra parte, l’assoluto divieto di parlare della strage di Teutoburgo, la dichiarazione di morte che accomuna tutti i legionari sconfitti, anche i pochissimi sopravvissuti, ci mostrano chiaramente che ogni potere assoluto vuole i suoi eroi, per stupire con la propria immagine e dar lustro al proprio potere. Anche Hitler condannò al silenzio e alla morte morale Von Paulus solo per essersi costui rifiutato di portare a morte sicura tutti i suoi soldati, e Mussolini impedì ai pochi alpini della Julia tornati dalla Russia di mostrarsi in pubblico. Solo partendo da questa complessa realtà, è possibile comprendere il significato della ribellione dei Cherusci, sotto la guida di Arminio, considerato nei secoli eroe nazionale dell’identità germanica, come dimostra la statua in suo onore, eretta a Groteburg, in Assia. In stretta interazione con questa storica rivolta, si svolge la vicenda esistenziale del nobile tribuno romano Lucio Cornelio noto come “l’Auriga”, prototipo di molti nobili realmente vissuti sotto il regno di Augusto, sospetto al potere per essere stato un amante di Giulia. In realtà, secondo un inveterato costume di Roma, le accuse diffuse ad arte sul conto del tribuno servono ai delatori per impossessarsi del suo grande patrimonio. Sistema che, senza dubbio, getta cupe ombre sul decantato diritto romano. Data l’amicizia con Arminio a lungo ospite nella sua casa di Roma, Lucio si reca in Germania, nell’illusione di sfuggire al controllo delle spie, che in realtà lo seguono ovunque. Qui, riesce a cogliere numerosi segnali premonitori dell’attacco dei Cherusci e, dopo il rinvenimento del cadavere del romano Quinzio nel santuario votivo dei Cherusci, mette in guardia Varo, per evitare un disastro. Questi, però, condizionato dai sospetti diffusi da Arminio, non lo ascolta. Intanto il capo dei Cherusci, forte della sua perfetta conoscenza delle tecniche e delle strategie militari romane, proprio mentre si finge grande amico dei romani, unisce sotto il suo comando tutti i popoli disposti alla rivolta. Ad incitarlo, c’è Hilda, una giovanissima profetessa, proprio la stessa di cui Lucio, dopo averla strappata alla forza travolgente delle acque, si innamora, attratto dalla sua bellezza nordica e dalla sua forte personalità.

Per l’“auriga”, razionalista e scettico, anche la tendenza della ragazza a divinizzare le forze della natura (“la dea del fiume non ha l’aspetto di donna. La dea è il fiume con le sue manifestazioni benigne e tempestose”), è una dimensione poetica ormai dimenticata, che egli considera con ammirazione, anche se con apparente ironia. Varo, persuaso della sincerità dei consigli di Arminio, dà ordine alle legioni di percorrere, invece delle sicure strade fortificate da loro costruite, paludi e foreste, dove improvvisamente vengono attaccate e, malgrado l’eroica resistenza, quasi completamente trucidate. Lucio, sopravvissuto all’eccidio con altri tre romani ma ridotto in schiavitù dallo stesso Arminio che vuole salvarlo, dopo rocambolesche fughe, ritrova Hilda, la profetessa, bella, alta, bruna, diversa dalle donne dei Cherusci, con magnetici occhi azzurri”, ormai in disgrazia presso i Cherusci. Ella non discende da questo popolo e, pur amandolo, è profondamente legata alle sue radici e alla madre sacerdotessa, a cui è stata strappata da un nobile cherusco durante una rapina oltre il Danubio. Un preziosissimo bracciale di rubini e smeraldi a forma di serpente, conservato nel santuario dei Cherusci, è la concreta testimonianza di questi tragici eventi. Hilda, che per Lucio è “Armonia, armonia in sé e con tutto quello che la circondava”, non è come le altre donne, non vuole scegliere un marito ed avere dei figli. A causa delle sue profezie è considerata quasi una strega, anche perchè ama un nemico. Lucio, bruno, bello, forte, malgrado le apparenze, ha molte affinità con lei. Anche lui è un “diverso”, innanzitutto perché rispetta i barbari, tanto da indurre Arminio a dire ”Lucio è orgoglioso di essere romano, ma è un uomo rispettoso degli altri e delle loro usanze”. Egli, inoltre, non integrato col potere, è spiato, sospettato e indesiderato nella sua stessa patria. Ma la maggior delusione, che l’auriga riceve nella città da lui tanto amata, gli viene inflitta dal suo miglior amico Caio Valerio che, pur d’impossessarsi del cospicuo patrimonio di Lucio, diventa l’amante di sua moglie Marcella, uccide l’amata nonna Emilia, diffonde sospetti sul suo conto, si serve di una schiera di servi e di spie, per seguire le sue mosse. L’incendio con cui Lucio distrugge la sua meravigliosa casa piena di oggetti preziosi, simboleggia efficacemente l’addio dell’”auriga” alla sua vita precedente, per cominciarne una nuova accanto a Hilda.

Sullo sfondo di magnifici paesaggi ricchi di foreste, paludi, fiumi, importanti città come Magonza, Argentorate, Roma e altre, agiscono anche altri personaggi, personificazioni di specifici modi di vita dei due popoli: Tusnelda, affascinante moglie conquistata da Arminio col rapimento; Varo, fiero del suo ruolo di comandante romano, ma borioso e superficiale; Rufio, forte legionario romano proveniente dalla Siria, pieno di disprezzo per i barbari, tanto da torturare e far prigioniera Hilda.

Il romanzo della Pomilio, dunque, pur essendo un romanzo d’azione in cui i protagonisti si spostano senza posa su uno scenario internazionale, è contemporaneamente un romanzo di critica storica e di attualità. Infatti, anche in questa sua seconda opera, come nella prima “Dominus”, la scrittrice non si accontenta, come abitualmente accade, di contemplare ciò che di stupefacente Roma ha saputo costruire, ma ci guida a scoprirne gli aspetti più reconditi e i problemi più gravi, spesso correlati all’uomo in sé e non solo ad una specifica epoca storica.

Soffermandosi, poi, sulla descrizione di tanti paesaggi, l’autrice ci induce implicitamente a cogliere le profonde differenze tra la luminosa realtà mediterranea a cui Roma era abituata, e le foreste del nord, apparentemente cupe e paurose, ma in realtà ricche di fascino e di acque. Inoltre, molti dei cosiddetti barbari che la Pomilio ci presenta, non sono nient’altro che la personificazione di una dimensione di vita naturale, anche se a volte primitiva, dimenticata dai Romani. Le conquiste, la ricchezza e il lusso, infatti, li hanno allontanati dai veri valori della vita, ivi compresa la sacralità della famiglia. È per questo che, tanto al tempo di Augusto quanto ai nostri giorni, non sono delle semplici leggi che possono consolidare questa cellula base della società.

Nel libro non mancano valide notazioni di carattere psicologico, a proposito della diversità, ad esempio. Per inserirsi bene nella propria comunità, è necessario condividerne valori, metodi, comportamenti. Se attraverso il ragionamento, l’esperienza, il confronto con altri vissuti, si giunge ad acquisire convinzioni e comportamenti più avanzati, più tolleranti di quelli delle persone con cui si vive, si è guardati con sospetto. Un tempo si era considerati streghe o lupi mannari, ora emarginati. Così accade a Hilda e a Lucio, che sentono il bisogno di crearsi una nuova vita lontani dal loro ambiente. Particolarmente apprezzabili sono i toni sfumati con cui la scrittrice delinea la loro delicata storia d’amore, dove non c’è spazio per esagerazioni da telenovela e dove si registra uno stridente contrasto con l’amara storia di Dafne. È una bellissima donna di talento, considerata soltanto come lucrosa merce di scambio, al pari di tante altre donne del passato e del presente che, loro malgrado, si sono trovate a far le prostitute. Ed è per questo che un’atmosfera tristemente malinconica accompagna il solitario declino della donna, rovinata dagli anni e dai maltrattamenti, consapevole di non avere futuro.

Il poliedrico romanzo della Pomilio, dunque, spaziando dalla storia romana alle condizioni della donna, dall’identità nazionale ai problemi psicologici, può veramente definirsi una profonda riflessione sull’uomo, la società, lo Stato, al di là delle epoche storiche e dei regimi politici.

Un’ultima considerazione, sul linguaggio di Emma Pomilio. Nella sua prosa prevale la struttura paratattica, con poche e brevi subordinate. Il ritmo è intenso, con una successione rapida di immagini. Il tono sembra distaccato, come se la narratrice volesse rimanere estranea agli eventi. Ciò dà al romanzo quasi una veste di oggettività, di pura narrazione storica, senza mai cedere alla tentazione di trasformare il lavoro in un melenso e inutile “romanzo d’appendice”.





Francesca Romana Letta

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