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La storia di un “uomo qualunque”.
La storia di un “uomo qualunque”.
Dei gulag di Stalin, i famigerati campi di prigionia situati in Siberia, abbiamo più di una testimonianza letteraria, dal noto Ho scelto la libertà, di Viktor Andrijovy? Krav?enko al più conosciuto Arcipelago Gulag, di Aleksandr Isaevi? Solženicyn. Sono opere di denuncia, di chi vi è stato rinchiuso e che ha inteso così testimoniare la brutalità di un regime totalitario che si reggeva esclusivamente sul terrore. Si tratta però di oppositori, anche se blandi, di un sistema, rinchiusi per aver espresso una semplice opinione e danno un quadro di un’epoca e di un folle dittatore quale fu Stalin che parrebbe irripetibile.
Il sole dei lupi, scritto da Pietro Zerella, è una storia vera, magari un po’ romanzata, della vita di Anatolio Molinari, italiano, nato a Odessa, certamente non un oppositore e nemmeno uno che si lasciava andare a facili commenti. In effetti bastavano semplici sospetti, anche delazioni non verificate, per segnare la sorte di un uomo e questo è il caso del protagonista, non un politico, né un rivoluzionario, nemmeno un eroe, ma un semplice uomo qualunque, uno come la maggior parte di noi.
Se la narrazione di Zerella si fermasse a questa fase dell’arresto, del processo farsa, dei lunghi anni trascorsi in un gulag fino alla liberazione, Il sole dei lupi sarebbe un libro che avrebbe il senso del déjà vue, non raccontando sostanzialmente nulla di nuovo rispetto a quanto già non sia a nostra conoscenza grazie al lavoro letterario di Solženicyn.
Invece, il romanzo assume inaspettate valenze con il ritorno in Italia del protagonista, in piena epoca fascista, con quell’inevitabile raffronto fra due regimi sostanzialmente analoghi, fatta eccezione per la più blanda repressione di quello mussoliniano. Però è la stessa aria che si respira, c’è l’identica paura di esprimere un’opinione, e nemmeno vi sono differenze sul concetto di cittadino, da considerarsi al servizio dello stato e non viceversa.
Zerella però va ancora più in là, a un dopoguerra di speranze, di libertà, di eguaglianza, in cui tuttavia ci sono i germi, sempre presenti, di un tentativo di prevaricazione, come se fosse nel codice genetico dell’umanità. L’autore campano scrive, a proposito della competizione elettorale all’epoca del Fronte popolare: “ Tutti parlavano di libertà, progresso, pane e lavoro. Tutti erano bravi ad illustrare i loro programmi. Ognuno era il migliore, il più bravo, il più capace. Gli altri erano chi servi dei russi e chi dell’America.”.
Insomma, non avversari, ma nemici, per quanto in politica si debba rimanere sorpresi di quanto i programmi siano analoghi, pur in fazioni nettamente contrapposte.
Quel definire il contendente o servo dei russi o dell’America non era una semplice risorsa elettorale, ma nascondeva la realtà e cioè che il Fronte popolare era foraggiato dai sovietici e che la Democrazia cristiana esisteva solo grazie ai fondi americani.
In pratica erano tutti servi di qualcuno e l’essere tali comportava anche la supina accettazione degli ordini o delle immagini di comodo predisposte dai padroni, il terreno ideale per coltivare nuove dittature.
Anatolio è un personaggio che desta subito simpatia, è l’umile che entra nella storia non per sua scelta e lotta strenuamente per conservare la sua silenziosa dignità. Non crede a nessuno, riflette, pensa e parla solo il necessario. Tuttavia dentro di lui c’è una fierezza che lo porta a essere il naturale oppositore di qualsiasi regime che soffochi la naturale personalità. Zerella sembra volerci dire che qualsiasi dittatura può privarci della libertà, tranne quella che conserviamo dentro di noi, a patto che lo vogliamo e che siamo disposti a non cavalcare l’onda, ma a farci portare passivamente da essa.
Il sole dei lupi, per la sua originalità e il suo messaggio, è un libro che merita sicuramente di essere letto, da tutti, ma soprattutto dai giovani, affinché sappiano che la libertà si deve conquistare e poi difendere ogni giorno.