Dettagli Recensione
Direi piuttosto Scolosseum
ATTENZIONE: leggeri spoiler che comunque non influiscono sulla lettura del libro
Mai un libro era riuscito a ingannarmi in modo simile. L'autore si propone di romanzare la storia della costruzione dell'Anfiteatro Flavio seguendo le vicende di due uomini realmente esistiti, Verus e Priscus, gladiatori che combatterono nei giochi inaugurali del Colosseo nell'anno 80 d.C. come narrato dal poeta Marziale.
L'inizio parte bene, un po' banale, ma tutto sommato godibile, uno dei tanti emuli del successo di Scarrow. Ma con un dettaglio di quel "nomen omen" dato al protagonista che avrebbe dovuto mettermi in guardia su quello che stava per arrivare. I problemi iniziano all'incirca ad un terzo del libro, con, ed esattamente come, la Peste (che nella realtà era più probabilmente febbre tifoide e non Peste bubbonica): si nota l'insistenza delle descrizioni gratuitamente grafiche, una pornografia verbale del sordido che inizia a farsi prepotente a discapito della narrazione (e della verosimiglianza, quando descrive una latrina che mai un romano avrebbe tollerato esistere, men che meno in una scuola gladiatoria).
Inoltre diventa sempre più pesante lo stile di scrittura, con continui tentativi di frasi ad effetto, di chiose salomoniche e di frasi fatte degne del peggiore filmaccio noir poliziesco. Frasi tipo: "la lupa(Roma) dormiva dopo il pasto di sangue, benvenuto a Roma, bastardo!", vengono ripetute alla nausea, siamo a metà libro e praticamente ogni paragrafo finisce in questo modo.
Poi il "colpo di genio" dell'autore, inserire un triangolo amoroso forzato all'inverosimile in quello che poteva benissimo essere la storia di due uomini, e che anzi avrebbe beneficiato dell'essere unicamente incentrato sui due personaggi storici romanzati, simili e contrapposti, fratelli e tuttavia costretti a lottare fino alla morte, senza dover per forza inserire il solito love interest per cui il protagonista si strugge, non ricambiato, nel suo amore impossibile, fino a quando ovviamente non salverà la damigella in pericolo dai cattivi che vogliono abusare di lei.
Siamo al culmine del libro, l'originalità ha ormai abbandonato la scena da un pezzo, e fra l'uso sempre più pesante e palloso di aggettivi inutili e forzati per descrivere ogni cosa, come: "...l'elmo disegnò un arco saccente (un arco saccente?!?) nell'aria...", l'autore spinge al massimo sulla caratterizzazione molto sottilmente inculcata a martellate dei due personaggi: Verus, il toro scatenato, guerriero di fuoco, contro Priscus, il texano dagli occhi di ghiaccio, fino a descrivere minuziosamente come le armature dei due ricalchino il loro stereotipo. Non manca poi la descrizione fantasiosa dei giochi inaugurali del Colosseo, con assurdità incomprensibili (coccodrilli ammaestrati, ippopotami che nuotano sul dorso in figure improponibili e vele gonfiate dal vento che soffia dentro lo spazio chiuso del Colosseo) e descrizioni cruente e crude.
Quello che é importante é che questo libro ha anche un finale, e ovviamente il finale é il più scontato possibile, in cui la pietà e la forza dell'amore smuovono il cuore peccaminoso della giovane patrizia viziata, e in cui i due amici, dopo aver tentato senza esitazione di ammazzarsi con ogni mezzo, anche inverosimile (ridicolo inserire pugni di ferro e coltelli nello stivale in un combattimento fra gladiatori, che avevano arbitri e regole ferree), come nel più classico film di Hollywood, ritrovano la loro profonda unione, per poi sparire nelle trame della Storia.
Concludendo si può dire che senza dubbio gli elementi più pesanti di questo libro siano lo stile, troppo pesante, ridondante nella ricerca della frase ad effetto, pedantemente infarcito di allegorie, e troppo gratuitamente scabroso, tanto che a tratti sembra quasi l'autore ne trovi godimento, e davvero penso che di più sordido ci sia soltanto J.N. Schifano nelle sue Cronache Napoletane, e ho detto tutto.
Appare inoltre chiaro che per quanto l'autore si sia evidentemente documentato sugli avvenimenti e sui dettagli storici, non é riuscito a comprenderli a pieno, mostrando spesso una comprensione sommaria, o abbia preferito reinterpretarli, piegandoli alla narrazione invece di incentrare la narrazione su di essi, una mancanza che risalta agli occhi del lettore, soprattutto a quelli del lettore di romanzi storici.
Ma il suo maggior peccato a mio parere é quello di non aver saputo sfruttare neppure l'unica felice intuizione avuta, il complesso rapporto fra i due protagonisti, che poteva reggere da solo la trama del libro, e con maggiore rilevanza di un banale triangolo amoroso. Ma d'altronde, se l'autore stesso nei ringraziamenti parla della sua come di una "fantasia Hollywoodiana"...