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“Noi e Anna Achmatova”
Sebbene più volte l’autore lo definisca un romanzo, man mano che mi addentravo nella lettura de “Vi avverto che vivo per l’ultima volta” non avevo l’impressione di trovarmi tra le pagine né di questo né di una biografia in senso stretto.
Fatto sta che la più recente pubblicazione di Paolo Nori, uscita lo scorso mese di febbraio con la Mondadori, è un libro sorprendente, potente e di grande originalità che riesce ad andare ben oltre le sopraccitate categorie letterarie intrecciando sapientemente vivacità narrativa e approfondimento storico-biografico, e che sa inoltre farsi amare. Un libro che, come già precisa sin dalla copertina il sottotitolo, pone al centro dell’attenzione la straordinaria figura di donna e poeta che fu Anna Achmatova, ma nel contempo pure noi e questa scellerata, rinnovata epoca bellica che, nostro malgrado, stiamo vivendo. Il titolo riprende un verso della stessa Achmatova, tratto dalla Poesia 5 del ciclo “Nell’anno Quaranta”, tra i cui testi confluiscono il suo destino personale e la profonda tenebra calata con la guerra sull’Europa:
“Ma io vi avverto
che vivo per l’ultima volta.
Né come rondine, né come acero,
né come giunco, né come stella,
né come acqua sorgiva,
né come suono di campane
turberò le persone
né visiterò i sogni altrui
con gemito insaziato.”
[citazione dal volumetto “È flebile la mi voce e altre poesie”, a cura e traduzione di Paolo Galvagni, Edizioni Via del Vento, edizione ampliata 2021]
Classe 1963, Nori è un noto scrittore emiliano e traduttore dal russo. Il suo amore viscerale per la Russia, la sua lingua, la sua letteratura pervade ogni singola pagina di questo volume. Nell’inverno del 2022, poco dopo l’inizio del conflitto armato tra Mosca e Kiev, gli venne bloccato, “per evitare tensioni”, un intero seminario di quattro incontri su Dostoevskij che lui avrebbe dovuto tenere all’Università degli Studi Milano-Bicocca; a suo tempo, si parlò a lungo di quel caso, e l’autore medesimo non manca di esporre tale assurdità nel suo libro.
E Anna Andreevna Achmatova, chi era costei? Il suo è stato uno dei grandi nomi della poesia russa del cosiddetto “secolo d’argento” e del Novecento in generale, nonché di quella a livello mondiale, in Italia conosciuto senz’altro dagli appassionati di versi, ma non famoso proprio come quello di Tolstoj o altri autori celebri della letteratura russa. La sua scrittura, così autobiografica e pregna di dignitoso dolore, conduce nelle ferite profonde inferte alla Russia dal regime sovietico. Lei stessa – come moglie, madre e artista – patì in prima persona l'oppressione della terribile epoca staliniana.
Nata nei pressi della città di Odessa nel 1889, l’Achmatova legò la sua vita in modo particolare alla città di Pietroburgo (ribattezzata dapprima Pietrogrado e poi, dal 1924, Leningrado), dove iniziò a prendere forma la sua poesia. Achmatova non era il suo vero cognome (Gorenko), ma lo prese da una nobile antenata tartara quando il padre, venuto a conoscenza dell’attività poetica della figlia, le proibì di disonorarlo in tal modo. L'Achmatova, estremamente colta, si mosse in seno al movimento letterario russo acmeista insieme al primo marito Nikolaj Gumilëv, padre del suo unico figlio, Lev, e giustiziato nel 1921, tre anni dopo la loro separazione. La vita familiare dell'Achmatova sarà segnata anche da altri arresti e detenzioni (anzitutto, quelli del figlio negli anni Trenta); malgrado la lunga censura, il trasferimento in Uzbekistan durante il secondo conflitto mondiale e le gravi difficoltà economiche (era stata privata della tessera alimentare) non lasciò la patria, vedendosi "riabilitata" soltanto a partire dalla metà degli anni Cinquanta. Morì nel marzo del 1966, all’età di settantasei anni, in un sanatorio vicino a Mosca.
Tutto questo (e anche altro) viene raccontato in dettaglio da Nori attraverso una prosa molto coinvolgente che scivola volutamente nel colloquiale, mentre i paragrafi dei venti capitoli di cui si compone il volume alternano con ammirevole naturalezza passato e presente, la Russia di ieri e quella di oggi, così pure la vita dell’Achmatova scavata fin nel profondo e la vicenda personale dello scrittore stesso ripercorsa spesso con nostalgia, non senza lanciare preoccupazioni e interrogativi in merito al futuro che l’Occidente si sta costruendo con l’insensatezza, l’aggressività e il ritorno alle armi. Un libro davvero molto bello, questo, in cui non può non trovare ampio spazio la letteratura (non solo russa), così come l’orribile guerra sul fronte russo-ucraino (“tra fratelli e sorelle”) che si trascina ancora dopo ben oltre un anno e mezzo di combattimenti e di veleni per così dire mediatici. Leggerlo significa anche acquisire informazioni particolari su ciò che sta accadendo, farsi un’idea più precisa su una realtà molto più complessa di quanto appaia alla miopia del nostro sguardo.
E Paolo Nori, come infine confessa, ha paura: paura che per le generazioni future sia ancora necessario augurarsi la pace come si faceva un tempo; paura che noi, che viviamo per l’ultima volta, “ci facciamo invadere dalla bestialità. Che non ci rendiamo conto di quello che stiamo diventando e che, forse, siamo già diventati.”
Un sentito plauso all’autore, dunque, poiché ha anzitutto il merito di raccontare e raccontarsi con semplicità e umiltà, suscitando curiosità, riflessioni e, cosa notevole, appassionare addirittura il lettore abitualmente poco o nulla appassionato – come la sottoscritta – di letteratura russa. Quella letteratura rivelatasi, a conti fatti, “più forte dell’esercito sovietico, del Politburo, del terrore, della guerra, dei gulag”. La stessa che resisterà anche alla piccolezza e all’ipocrisia dei “poveri burocrati occidentali”.
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E nemmeno una biografia in senso stretto.
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Comunque l'ho letto gradevolmente anche se mi maggior centralità della grande poetessa russa.