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Il ribelle, di Emma Pomilio
EMMA POMILIO - IL RIBELLE, recensione di Francesca Romana Melchiorre
Allo sguardo di Larth, in fuga da Tarquinia dopo aver commesso un efferato delitto, la bassa valle del Tevere si presenta come un mondo misterioso e affascinante. Tra boschi e pascoli, acquitrini e paludi coperti di canneti e piante acquatiche, scorre lento il Tevere. Le acque del grande fiume, preziosa arteria di collegamento tra nord e sud, entroterra e costa, favorendo contatti sempre più intensi fra Etruschi, Latini, Greci, Campani e altri popoli ancora, sono veicolo di progresso e civiltà. Ed è nell’isola tiberina, guado sul Tevere e crocevia di popoli e merci, che si concentrano in modo straordinario tali potenzialità di sviluppo. Ma i rustici villaggi, disseminati sulle cime e sui pendii boscosi delle colline, denotano una società agricolo-pastorale, per ora incapace di canalizzare le prerogative del territorio verso un futuro di sviluppo e innovazione. Il gran numero di povere capanne raggruppate attorno ad abitazioni più grandi e raffinate, evidentemente appartenenti ai più ricchi, parla di una società non ancora ben strutturata, dove il solo criterio di aggregazione è la parentela, l‘unica distinzione sociale la ricchezza. È così che, impercettibilmente, il lettore, lasciatosi alle spalle l’immaginario etrusco in fuga, si trova nel Lazio verso l’VIII secolo a.C.
È già per quest’epoca, appunto, che reperti archeologici e alcuni riti celebrati anche in epoca storica testimoniano che l’iniziale collaborazione tra villaggi si trasforma in vera e propria federazione. È esattamente ciò che accade nella città dei Quiriti prospiciente il guado sul Tevere. Qui, Palatium e Germalus sul Palatino, Velia sprone di passaggio verso l’Esquilino, Cispius, Oppius e Fagutal sull’Esquilino e Caelius si uniscono a formare il Settimonzio, delimitato da mura. E se si pensa che è proprio il Settimonzio a dominare il guado sul Tevere quando Larth lo attraversa, non si può far a meno di apprezzare la naturalezza con cui la scrittrice sa fondere fantasia e storia in un inscindibile legame. Nel panorama di questi insediamenti disseminati sulle alture e guidati dall’aristocrazia, emerge Albalonga, capitale dei Latini federati, unica città governata da un re. È un aggregato di villaggi di contadini e pastori, che trovano sicurezza nella posizione rilevata e naturalmente fortificata ai margini del lago di Albano, oltre che nel sostegno e nel prestigio del santuario di Giove Laziale. Posto ai piedi del Monte Albano, questo infatti costituisce per tutti i Latini un importante punto di riferimento. Proprio la fede in questa divinità che unisce il popolo, e l’aura religiosa che circonda il santuario, consentono al re, favorito dalla sua ricchezza, di far riconoscere la propria autorità da tutti gli abitanti. Ma in una società agricolo-pastorale, dove la ricchezza consiste in terre, animali e pascoli, la persona intraprendente e senza scrupoli, capace di procurarsi terre con la prepotenza e di acquisire animali con frequenti razzie, facilmente diventa ricca, aristocratica, capace di aspirare al comando.
Sarebbe possibile, quindi, identificare tale persona con Amulio, il re che riesce a togliere il regno al fratello, che non si è preoccupato di accumulare la necessaria ricchezza. Romolo e Remo, che pascolano gli animali di Amulio e contemporaneamente si comportano da briganti, personificano i numerosi pastori, che col furto di animali cercano di procurarsi un gregge proprio, onde evitare di essere per tutta la vita al servizio di qualcuno. D’altronde, la struttura di Albalonga riproduce fedelmente l’abitato di altura che caratterizza l’VIII secolo a.C. in molti luoghi dell’Italia centrale, dove i santuari fungono frequentemente da punto di aggregazione, ma dove la lontananza dalle grandi vie di comunicazione costituisce il presupposto per la futura decadenza. Di conseguenza, poiché l’Albalonga della leggenda sulle origini di Roma risponde proprio a tali criteri, la Pomilio, sulla scia di una scuola archeologica e di pensiero, la considera fondamentalmente vicina alla verità storica. D’altronde, sono la forza, la determinazione e l’intelligenza che in ogni contesa permettono a un gruppo di prevalere sull’altro, anche quando è costretto a riscattare torti precedenti. Ed è proprio questo ciò che fanno Romolo e Remo insieme ai loro seguaci, per smascherare l’usurpazione di Amulio e ridare il potere a Numitore. Inoltre, una prova di forza e di abilità strategica rende sempre la parte vincente consapevole delle proprie capacità, inducendola ad un salto di qualità, a prendere iniziative autonome, rifiutando la precedente servitù. E solo in questa nuova ottica è possibile valorizzare, col contributo proveniente da altre culture, le potenzialità del luogo.
Imprescindibile punto di partenza, in tal senso, è l’unificazione, in vista di un comune obiettivo, delle forze in campo spesso frammentate e contrapposte tra loro. A tal fine, i nobili Quiriti, i “fiumaioli” che abitano vicino al fiume, gli abitanti dei boschi (Luceres), possibilmente i Sabini, che numerosi e potenti risiedono sul Quirinale, la sempre più folta schiera di coloro che cercano, come Larth, una nuova patria, devono tutti necessariamente entrare a far parte di una nuova compagine statale. Non è, dunque, dal nulla che nasce la Roma Quadrata, ma dal lungimirante progetto di un’équipe aperta alla innovazione e al contributo degli stranieri come Larth e guidata da un unico re. Al re sono necessarie autorevolezza, forza, riflessione, capacità di mediazione, pazienza e fermezza. Egli non può favorire la pace tra i sudditi se si limita ad usare la forza e a diffondere timore. Ed è appunto questo che la leggenda vuol simboleggiare con la morte di Remo, troppo propenso a risolvere ogni cosa con la forza. Il re, dunque, estendendo il territorio dei Quiriti a settentrione del Palatino, e istituendo tre nuove curie oltre quelle esistenti, riesce a dare ad ogni cittadino una precisa collocazione sociale e i mezzi per sopravvivere: i Ramnes (da rumon = fiume), coloro che abitano vicino al fiume; i Luceres, gli abitanti dei boschi, che diventano così cittadini a tutti gli effetti e, di conseguenza, strenui sostenitori del re.
Chi invece non intende appoggiarlo, pur riconoscendone la superiorità militare, sono i nobili Quiriti e soprattutto i Tities, i Sabini, ricchi e numerosi, stanziati sul Quirinale. Non è possibile per i Romani fare a meno della loro alleanza. La prosperità e la pace dipendono proprio dalla capacità dei romani di coinvolgere nell’epica avventura della nuova città i potenti Sabini, la cui inimicizia sarebbe distruttiva. Ecco, allora, che la leggenda del ratto delle Sabine, enunciando un grave problema reale pur sotto le parvenze di una fiorita metafora, assume una valenza di carattere storico.
Su questo sfondo storico-leggendario s’impone la figura di Larth, ponte tra civiltà diverse, tra passato e presente. Egli, portatore dell’esperienza, della tecnologia e dell’organizzazione etrusche, costituisce lo stimolo verso l’innovazione e il progresso e, contemporaneamente, verso il rispetto dei riti e della tradizione. Anche se le vicende contingenti lo hanno indotto ad uccidere la moglie infedele e a lasciare la sua città, egli sente il bisogno di radici e di amore. Egli fa parte di quella schiera di uomini che, in ogni tempo della storia, affrontano avventure e pericoli, pur di avere una patria a cui appartenere, con cui identificarsi. È per la sua nuova patria che Larth trasforma pastori e briganti in soldati orgogliosi del loro nuovo ruolo. L’Etrusco organizza, infatti, una milizia forte, efficiente e ben armata, permettendo alla nuova città di Roma di imporre sui popoli limitrofi la propria superiorità militare.
Anche l’amore vero è ciò che cerca Larth. Ed anche questo sarà per lui una faticosa graduale conquista. Claudia, la donna che egli ama, è una ragazza giovane, dallo sguardo intelligente e apparentemente schivo e dal corpo elegante e flessuoso. Si mostra pudica, come impongono i costumi dei padri, ma nel momento opportuno sa farsi ammirare, guardare il suo uomo e fare la sua scelta. È lei, infatti, che al momento del ratto delle Sabine implora Larth di rapirla. Le tradizioni e le norme a cui la ragazza è attaccata, dunque, non le impediscono di aprirsi al nuovo e al futuro.
Numerosi e ben caratterizzati sono gli altri personaggi come, ad esempio, Appio Claudio, padre di Claudia. È un ricco e austero sabino tradizionalista, che considera il matrimonio della figlia come un contratto, in cui conta la solidità dei patrimoni che si uniscono, non l’attrazione tra gli sposi. Ma poi anche Claudio è costretto ad aprirsi al futuro, accettando Larth come genero.
Efficaci sono anche le figure di Romolo e Remo, inizialmente accomunate dalla prorompente bellezza mediterranea, caratterizzata in particolar modo da intensi occhi scuri e ironici; in un secondo momento, differenziate dalle doti adatte a chi governa, che pian piano Romolo riesce a mettere in luce.
Nel complesso. “Il Ribelle” appare come una travolgente avventura che, portando i protagonisti da un mondo primordiale verso la civiltà e la realizzazione di un grande progetto, fa emergere con spontaneità la storia dalla leggenda.
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