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PER COMPRENDERE QUEGLI ANNI
“M L’uomo della Provvidenza” è il secondo volume della biografia romanzata di Mussolini scritta da Antonio Scurati. Rimando alla mia recensione del primo volume (“M Il Figlio del Popolo”) confermando qui il giudizio positivo per la capacità dell’autore di raccontare quegli anni in forma nuova, potente e coinvolgente.
Nel periodo che va dal 1925 al 1932, oggetto di questo volume, si assiste alla definitiva mutazione del regime con la definitiva scomparsa delle istituzioni democratiche cui si aggiunge un forte ridimensionamento del ruolo del Partito Fascista e l’accentramento dell’intero potere nelle mani del dittatore.
Sono gli anni del massimo consenso per Mussolini suggellato dal trionfo elettorale del 1929, rafforzato dall’universale apprezzamento del regime da parte dell’intero consesso internazionale, consacrato dal Concordato con la Chiesa Cattolica (“L’uomo della Provvidenza” è l’appellativo riservatogli da Papa Ratti) e glorificato dalle vittorie militari vere e presunte nelle guerre libiche.
Sono anche gli anni che vedono l’affermazione del mito di Mussolini quale padre della Nazione, invincibile guida del popolo, instancabile lavoratore, infaticabile amante, cavallerizzo, nuotatore, contadino, operaio, ma anche uomo di lettere e di intelletto.
Un super-uomo che progressivamente pare distaccarsi dalla frustrante gestione delle beghe quotidiane. Liti interne tra funzionari di partito o tra vertici dell’esercito mossi da meschine ambizioni lo lasciano sempre più indifferente. Persino le tensioni familiari e gli affari donneschi, amori e gelosie, non rivestono più la stessa importanza di un tempo. La missione di cui si sente investito è ben più alta, i suoi orizzonti lontani. C’è da costruire una Nazione fascista, un nuovo popolo fascista che guidi il Paese verso orizzonti di gloria.
E così l’uomo si ritrova solo al comando. In questa solitudine, Scurati intravede un senso di amarezza e di delusione che emerge chiaro nelle ultime pagine del romanzo assieme alla consapevolezza che quel popolo italiano, che egli è chiamato a guidare, appaia più incline a perseguire meschini vantaggi personali piuttosto che i grandi e gloriosi ideali fascisti.
Mussolini è ovviamente al centro della narrazione, ma le pagine forse più riuscite del romanzo son quelle che tratteggiano i personaggi secondari, comprimari di una incredibile storia di quasi un secolo fa. In queste pagine, le vite parallele che a tratti si intersecano con quelle del protagonista, restituiscono il senso autentico di quel periodo con grande vividezza.
L’amara parabola di Margherita Sarfatti, colta e affascinante seduttrice e amante del Duce. E’ lei che dopo aver plasmato il “figlio del fabbro” rendendolo presentabile nei salotti che contano, si ritrova crudelmente scaricata non appena i suoi servigi divengono inutili e la giovinezza svanisce.
La triste esistenza di Arnaldo Mussolini, fratello del Duce e fervente cattolico. Un uomo dolorosamente affaticato dal fardello del figlio gravemente malato e che appare figura quasi mite in un contesto di lupi. Forse l’unica persona di cui il Duce si fidasse veramente.
Il tragico destino di Agostino Turati, fedele e capace segretario di partito che per oltre cinque anni si prodiga di ripulire e “normalizzare”. Vittima di una atroce campagna diffamatoria orchestrata dai suoi nemici, Agostino subirà l’onta del disonore implorando inutilmente aiuto agli amici di un tempo.
Su molti altri ancora occorrerebbe soffermarsi: l’irrequieta Edda Ciano-Mussolini, il pusillanime Re Vittorio Emanuele III, il feroce e ingestibile Farinacci, l’ostinato generale Graziani … Ciascuno di essi è parte integrante di questo romanzo corale e la narrazione delle loro storie restituisce il clima di quegli anni.
Infine una menzione a parte merita la descrizione di guerre e battaglie volte a piegare l’irriducibile resistenza libica in Cirenaica e Tripolitania. Il racconto delle estenuanti marce di eserciti cammellati, composti da truppe eterogenee che vagano in sconfinati deserti alla ricerca di un nemico sempre sfuggente, resta impresso nella memoria del lettore. Con esso, resta pure il “J’accuse” per le atrocità commesse dai nostri connazionali: dai bombardamenti con l’iprite, ai campi di concentramento, dalle deportazioni in massa di civili alle esecuzioni sommarie. Per la serie: gli Italiani non sono brava gente.
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Per il momento, l'ho evitato.